No country for young men
(di Felice Celato)
Stavo leggendo con curiosità e poi ammirazione un
libro (che consiglio vivamente a tutti) scritto, insieme a Stefano Carpigiani,
da un mio ottimo e vecchio amico, spudorato e geniale, Alberto Forchielli (Trova lavoro subito!, Sterling &
Kupfer, disponibile anche in ibook),
dedicato ai giovani Italiani e ai loro genitori, quando, in una fugace
incursione sul Corriere.it di oggi
(per la quotidiana immersione nella nostra poltiglia), mi è capitato sotto gli
occhi un articolo impressionante (http://www.corriere.it/salute/15_ottobre_01/italia-secondo-paese-piu-vecchio-mondo-primo-europa-2ddb5eb0-6825-11e5-8caa-10c7357f56e4.shtml) che, in qualche
modo, sembra fornire argomenti al già tanto argomentato libro del mio amico: “Italia, il Paese più vecchio d’Europa (e il
secondo al mondo)”.
Già leggendo l’Introduzione del libro di Forchielli (dal
significativo titolo: “Perché scappare”),
per paradosso, mi era venuto in mente il titolo di un altro libro, di
tutt’altra natura, scritto qualche anno fa da un romanziere Americano (Cormac
McCarthy: No country for old men, in
Italiano: Questo non è un Paese per
vecchi, Einaudi, 2006): è un libro duro, ambientato nel Texas di una
trentina d’anni fa, che, appunto paradossalmente e sulla scorta della
Introduzione di Forchielli, mi ha fatto pensare che oggi ben si possa dire di
noi che l’Italia, invece, non è (più) un paese per giovani!
E’ un paese vecchio, il nostro, ben più di quanto le
evidenze anagrafiche dimostrino: un Paese fermo (e quindi in regressione
relativa), sclerotizzato da processi
culturali ormai desueti (basta seguire un “dibattito” parlamentare o di
partito, per rendersene conto), indifferenti, nei fatti anche se non nelle parole, alla riduzione
irreversibile dei posti in fabbriche e uffici, anzi spesso accaniti (sui media o nei tribunali) nella caccia all’impresa ed ai suoi spiriti vitali,
perché si pensa che “i posti” li si possa creare col debito dello stato o tutt’al
più, come sembra ritenere la Camusso (v. post
Soluzioni ioniche del 24 agosto
u.s.), per sostituzione di prepensionandi; un Paese convinto di essere l’ombelico del mondo, che si accontenta
di vivere riempiendosi la bocca degli stereotipi con cui si autorappresenta (il bel paese, le spiagge
“che tutto il mondo ci invidia”, le città d’arte, etc.) incurante, se non per brevi fiammate di rumorosa indignazione, delle inazioni
che li distruggono, quegli stereotipi, nei fatti e nei misfatti della
disorganizzazione e della quotidiana sciatteria (Non basta la bellezza per essere attraenti, bisogna offrire comfort e
sicurezza…..E’ meglio un palazzo
storico e fatiscente del Settecento o un edificio pulito del Novecento?, si
domanda provocatoriamente Forchielli).
Esagero? Esagera anche il buon Forchielli? Può
essere. Il dubbio, per me, mi era venuto molte volte; me lo avevano fatto
venire i miei amici e lo giustificava, forse, qualche “rogna” di troppo che mi era
capitato di dover dipanare e che certo non giova all'umore. Ma ora, se lo dice, anzi lo scrive, il mio fortissimo amico, che da trent’anni vive all’estero pur amando intensamente
l’Italia e la sua vitalissima Emilia? Anche lui avvizzito? Se lo conosceste, certamente non lo pensereste. Il suo libro, anche se dedicato a giovani
più giovani dei miei figli e a genitori più giovani di me, per aiutarli a guardare al proprio futuro in ottica globale, mi è stato - nella sua analisi di partenza - di grande
conforto…. nel mio ormai usurato sconforto domestico.
Roma 1° ottobre 2015
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