venerdì 30 dicembre 2016

5 auguri per l'anno nuovo

Puntiamo tutto sul 17!
(di Felice Celato)
Dopo esserci domandati, fra il serio ed il faceto, che cosa – sulla base dei nostri punti di forza e di debolezza – possiamo ragionevolmente attenderci (opportunità e minacce) per l’anno che viene, passiamo, sempre fra il serio ed il faceto, a farci gli auguri per quest’anno dal numero sinistro. L’augurio, del resto, non è altro che una previsione improntata all’ottimismo più smodato e alla buona creanza; e dunque facciamocelo con questi spiriti, sapendo che, se – come talora accade – non si realizzerà ciò che di buono ci auguriamo, ….la colpa sarà tutta del 17!
Dunque io ci auguro, a tutti noi amici, prima di tutto di essere buoni, che non è poco e non è facile; anzi, misericordiosi, direbbe a ragione il Papa, perché la misericordia è la ricchezza di Dio (Ef. 2,4), il modello della nostra umanità (misericordes sicut Pater, Lc 6,36) e il limite divino imposto al male (Giovanni Paolo II). Nelle cose del mondo, poi, la bontà è virtù derisa, spesso considerata proprio male, tanto da confinare con la fesseria, tanto che buonista è diventato uno stupido insulto; e invece la bontà tiene il mondo sulle ginocchia.
Poi, se ce ne rimangono le energie, auguriamoci di essere intelligenti con costanza (virtù, la costanza, tanto poco italiana), cioè di essere sempre capaci di attribuire un conveniente significato pratico o concettuale ai vari momenti dell’esperienza e della contingenza; di avere cioè sempre la voglia di capire, di non farci incartare nelle altrui – talora interessate – rappresentazioni del reale, misurandone, sempre e con senso critico, le proporzioni, perché non ci venga fatto percepire grande ciò che è piccolo e piccolo ciò che è grande; e, ancora, auguriamoci di dominare le emozioni, non perché esse non facciano parte della nostra natura ma perché non obnubilino i nostri pensieri e non dilaghino nel nostro agire rendendolo…emotivo e più effimero di quanto già non sia ogni umano agire.
Inoltre, auguriamoci di saper sempre rispettare il significato delle parole, perché non venga meno, senza che ce ne accorgiamo, la capacità di capirci fra di noi. Alle nostre parole sono affidati nostri beni preziosi, i significati, i concetti, e, quindi, i sentimenti e, spesso, anche le nostre azioni: le parole – se usate dopo essere state pensate e scelte – sono le custodi della nostra umanità: se si corrompono le parole, se le si usa con scialba noncuranza, si deteriora la nostra capacità di comunicare, una delle essenziali caratteristiche che ci fanno diversi dalle bestie.
Infine, auguriamoci tutti di conservare nel 2017 una giusta dose di buonumore (lo dico prima di tutto per me stesso, che in questi ultimi tempi ne ho perduto un po'), perché ad esso, come diceva Thomas More nella sua celebre preghiera (*), è affidata anche la salute del nostro corpo (che, alla nostra età, di protezione e di cura comincia a domandarne di più).
Buon anno a tutti …e scusate se vi ho fatto degli auguri poco impegnativi!
Roma  30 dicembre 2017

(*) Preghiera del buon umore, di San Tommaso Moro
Dammi, o Signore, una buona digestione e anche qualcosa da digerire.
Dammi la salute del corpo col buonumore necessario per mantenerla.
Dammi o Signore un’anima santa, che faccia tesoro di quello che è buono e puro, ma trovi alla Tua presenza la via per rimettere di nuovo le cose a posto.
Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama “io”.
Dammi o Signore i senso dell’umorismo, concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un po’ di gioia e possa farne parte anche ad altri.
E così sia.


lunedì 26 dicembre 2016

SWOT Analysis

Sguardo semiserio sul 17
(di Felice Celato)
Tutti quelli che hanno fatto i miei mestieri sanno che cos’è una SWOT Analysis; ma anche fra di essi ci sono – di solito i più giovani – coloro che attribuiscono all’esercizio un valore più solido di quello che in effetti ha. Si tratta, infatti, di un semplice modo di allineare delle valutazioni (per loro natura in buona parte soggettive) relative al presente e al futuro di una situazione (tipicamente: una situazione aziendale) classificandole, quelle riferite al presente, in punti di forza (Strenght, in inglese, ovviamente) e punti di debolezza (Weakness); e, quelle riferite al (prevedibile) futuro, in opportunità (Opportunities) e minacce (Threats). Ne viene fuori, di solito, un “quadrato” di puntuazioni che – a mio giudizio di “vecchio” mestierante – ha solo il vantaggio di porre in ordine le sparse riflessioni di chi considera una certa realtà (ripeto: di solito un’azienda), fra presente e futuro (atteso o sperato? Il confine, nel giudizio degli uomini, è spesso incerto, come dimostra l’esperienza).
Bene, dopo questa “lezioncina” di management, tentiamo di giocare insieme, invece che a tombola, come si usa di questi tempi, ad una SWOT Analysis dell’Italia sul bordo del 2017.
Cominciamo dal presente:
Punti di forza: Beh! Prima di tutto (e come ti sbagli?)  le-cose-che-tutto-il- mondo-ci-invidia: il sole, il mare (anche se ormai la concorrenza a portata di aereo low cost si è enormemente allargata), a pizza ca’a pummarola ‘n coppa, l’insuperabile (e qui sono serio) patrimonio artistico-culturale; inoltre, un certo (sia pur declinante) residuo di simpatia della gente, una certa dotazione di infrastrutture turistiche (di qualità medio-bassa e disomogenea), una buona tradizione del ben mangiare; e poi un’industria meccanica di qualità, alcune filiere produttive leggere ma tuttora efficaci.
Punti di debolezza: Eh! Qui il capitolo sarebbe lungo e, per i lettori di questo blog, anche noioso: istruzione bassa, cultura debole, classe dirigente scarsa, burocratismo, giustizialismo, statolatria dilagante, paradossalmente aggravata dalla debolezza istituzionale, chiacchieronismo imperante, fatuità, etc; e inoltre debito pubblico strabordante, fiscalità oppressiva, sistema finanziario debole, avversione sociale verso l’impresa e, in generale, verso chi fa, etc. etc. etc..
E, ora, ….speranzosamente volgiamoci al futuro:
Opportunità: qui bisogna essere spiritosi per vederne: per esempio, i sindaci potrebbero vietare i negozi di sushi al centro per difendere la pasta e la pizza e a tutela della sacertà del prodotto nazionale; oppure una nuova legge potrebbe vietare (severamente, eh! perbacco! Qui da noi si fanno solo leggi severe!) l’arrivo di troppi turisti perché intasano Venezia (nota per le sue ferventi attività extra-turistiche) o sporcano Roma (nota per la sua pulizia); oppure si potrebbe organizzare un bel referendum sull’euro; e così via, di idiozia in idiozia. Suvvia! Siamo un po’ ottimisti: e vedrete che, se ci mettiamo sul filone delle idiozie, le opportunità di largo successo non mancheranno! Più seriamente: siccome quando si pensa alle opportunità, si deve necessariamente esser ottimisti e presumere che si sarà in grado di coglierle, possiamo almeno sperare che l’evidente fallimento dello stato nel suo ruolo di padre e padrone risvegli finalmente gli animal spirits di questo nostro paese in fondo non proprio scemo; ma bisogna esser ottimisti (e this is not my cup of tea, come direbbe un inglese) per pensare che questo accada nel 2017 con questa classe politica, queste pressioni populiste e questa temperie europea.
Minacce: la norma di vita è che più sei debole più grandi sono le minacce che incombono su di te. E dunque, dal presente abbiamo molto da temere: l’immigrazione gestita come (generosa?) accoglienza senza (ragionata) integrazione; un rialzo dei tassi di interesse che farebbe dilatare il deficit pubblico; una turbolenta fase politica in Europa con elezioni in diversi paesi importanti; l’effetto Trump sull’Europa e sulla Nato; una nuova ”bolla” di terrorismo; una nuova crisi finanziaria; un rischio di elezioni anche da noi (con quale legge elettorale? Boh! Nessuno lo sa ancora); un prevalere del semplicismo come soluzione per problemi complessi o del pressappochismo come chiave universale del sapere e del saper fare; un perdurare dello spaccio di loto politico (il famoso siero della non-verità)  che obnubila le menti e infiacchisce le ginocchia, fino a piegarle.
Vedremo. Il 2016 è stato un brutto anno e dovrebbe essere naturale sperare che il 2017 sia migliore. Ma, come diceva un mio vecchio capo dall’accento toscano, il peggio un’è mai morto. E dunque…no! Lasciamo perdere: non vedo altra via d’uscita che lo sperare (e, magari, chi vuole, pregare).
Roma 26 dicembre 2016

P.S.: un caro amico col quale discuto spesso di speranze intra-mondane mi ha mandato la foto del suo nipotino, di nemmeno tre mesi. Beh! Non c’è argomento migliore per sperare: la vita scorre, noi tramontiamo, altri sorgono; non è difficile attendersi che siano migliori di noi.


giovedì 22 dicembre 2016

Auguri del Natale 2016


La pecora stanca
(di Felice Celato)
Quest’anno ci vuole un gran coraggio a scendere” pensa fra sé e sé il Bambino Gesù di Giannelli (Corriere della sera di ieri) mentre dalle nuvole getta uno sguardo perplesso sulla terra che l’attende per l’annuale ritorno.
Eh già! Ci vuole coraggio. Ma per fortuna all’Atteso, il coraggio, non manca, come non Gli è mai mancato nella storia dell’uomo – anche in periodi più pericolosi dei presenti – da quando ci ha detto “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt. 26, 20).
E tuttavia, il Natale di quest’anno mi fa pensare alla nostra stanchezza, alle mani cadenti e alle ginocchia infiacchite (Is. 35, 3) che non riusciamo a rinfrancare; e allora mi torna in mente una bellissima preghiera di Sant’Ambrogio (dal Commento al Salmo 118, Quaere servum tuum, quia mandata tua non sum oblitus; forse l’ho già citata qui, perché molto spesso la rileggo) della quale vi riporto i passi che mi sembrano i più adatti a ricordarci il nostro bisogno di essere trovati:

Vieni dunque, Signore Gesù, cerca il tuo servo, cerca la tua pecora stanca.
Vieni, pastore, cerca come Giuseppe cercava le pecore (Gn. 37,14).
Ha errato la tua pecora, mentre tu indugi, mentre ti aggiri sui monti.
Lascia andare le tue novantanove pecore e vieni a cercare la sola pecora che ha errato!
Vieni senza cani, vieni senza cattivi operai, vieni senza il servo mercenario che non sa passare per la porta (Gv. 10. 1-7), vieni senza aiutante, senza messaggero.
Già da tempo aspetto la tua venuta.
Infatti so che verrai, poiché non ho dimenticato i tuoi comandamenti.
Vieni non con la verga, ma con carità e in spirito di mansuetudine.
Cercami, perché io ti cerco, trovami, prendimi, portami.
Tu puoi trovare colui che cerchi, ti degni di prendere colui che hai trovato, ti porti sulle spalle colui che hai preso.
Non ti infastidisce un peso che ti ispira pietà, non ti pesa un trasporto di giustizia.
Vieni dunque, Signore, poiché anche se ho errato, tuttavia non ho dimenticato i tuoi comandamenti e conservo la speranza della medicina.
Vieni Signore perché tu solo sei in grado di far tornare indietro la pecora errante e non rattristerai quelli da cui ti sei allontanato. E anche loro si rallegreranno del ritorno del peccatore.
Vieni ad attuare la salvezza sulla terra, la gioia nel cielo.

Con questa preghiera, auguro a tutti di farsi trovare dal Signore che viene.

Roma 22 dicembre 2016

martedì 20 dicembre 2016

Camminando in autunno / 2

In mezzo scorre il fiume
(di Felice Celato)
Prima di scambiarci anche su questo blog gli auguri di Natale (lo faremo fra qualche giorno), vi voglio mettere a parte di alcune emozioni autunnali vissute sempre come C.U.R (Camminatore Urbano Rimuginante).
Prima una confessione, però, per rendervi edotti dell’umore che mi ha accompagnato oggi per le strade di Roma (e forse ha rinvigorito le suggestioni): ero reduce tardivo da un pranzo augurale fra ex colleghi, il cui “capobanda” e ospite-organizzatore è uno dei maggiori gourmand che io conosca. Inevitabile, quindi, l’omaggio patriottico (s’intende!) ai prodotti eno-gastronomici (soprattutto eno!) che-tutto-il-mondo-ci-invidia (per dirla col consueto polifonema cui noi Italiani ci siamo, un po’…ingenuamente, affezionati); e quindi la lunga camminata aveva anche una funzione eupeptica ed espiatoria degli eccessi calorici compiuti con incosciente baldanza.
Bene: in questa beata e blanda euforia, camminando camminando, ho sostato a lungo sul far della sera su un angolo di Roma che io considero fra i più suggestivi della città, il ponte Garibaldi. Sono certo che molti di voi, soprattutto romani, si domanderanno che cosa ci trovi mai di tanto suggestivo sul ponte Garibaldi, il ponte moderno (fine ‘800) che immette da Trastevere verso il centro. Ve lo spiego subito: dunque, sull’angolo estremo verso Trastevere, se vi fermate un momento avrete una sorta di piccola lezione di storia della nostra civiltà (certamente  a Roma non mancano questi scorci, ma questo per me ha un valore simbolico particolare). Sulla destra (venendo dal centro), dietro una corona di platani imponenti che sopra le alte murate accompagnano una piccola curva del Tevere, si staglia lo storico ponte Sisto (la struttura attuale è un rifacimento quattrocentesco, credo dell’antico pons Aurelius), forse il più alto di Roma, elegante nelle sue quattro arcate che si  riflettono (soprattutto di sera) nel Tevere formando  anelli imponenti molto fotografati dai turisti. E dietro il ponte, alta svetta la cupola di san Pietro (disegnata da colui che nuovo Olimpo alzò a Roma ai celesti) memoria – per me – di una fondazione e di una promessa eterna che ancora, ogni volta che me la ripeto (tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam et portae inferi non paevalebunt adversus eam, Mt 16, 18 e s.), mi mette un brivido di forza. Noi siamo parte di quella storia, eredi di quella promessa, fruitori di quella certezza, per quanto indegni ne possiamo essere; e non praevalebunt adversus eam è il nerbo della nostra speranza nel cammino oscuro della storia.
Ti volti a sinistra, verso l’altra riva del fiume e, dietro l’Isola Tiberina quasi trattenuta alla corrente da due piccoli ponti romani (il ponte Cestio e il ponte Fabricio), scorgi, anch’essa imponente, la cupola del Tempio Maggiore (primo ‘900), la sinagoga maggiore degli ebrei romani, che il Tevere separa dall’area una volta extra-cittadina dove, appunto, sorge San Pietro, quasi a ricordare la storica primazia cittadina dell’ebraismo. Dietro alla cupola, appena visibili, si scorgono i fregi alti del Vittoriano di piazza Venezia, simboli pomposi di effimere glorie passate. Le acque del Tevere separano le rive ma non la storia religiosa del nostro mondo (occidentale): le due cupole, tanto diverse per storia e struttura, sono il segno delle nostre radici culturali; dal fiume viene un fisico richiamo al flusso degli eventi (e dell’Evento) che ha segnato le nostre vicende, senza nostro merito e senza altrui colpa. Così è andato il tempo e in mezzo scorre il fiume, silenzioso ma non ignaro.
Roma 20 dicembre 2016