sabato 10 dicembre 2016

Defendit numerus / 9

Spacciatori di loto
(di Felice Celato)
Se è vero che i numeri difendono dagli appannamenti delle percezioni – questo, del resto, è il senso di questa spiacevole “rubrichetta” – stavolta i pochi numeri che vorrei proporvi allarmano e, forse, auspicabilmente, svegliano, magari di soprassalto.
Mentre gli italiani “si baloccavano” con la naufragata revisione costituzionale e con l’inutile riforma del sistema elettorale di uno dei due rami del Parlamento (quello che avrebbe dovuto sopravvivere alla naufragata soppressione del sistema bicamerale perfetto), la realtà del paese continuava la sua deriva.
Ce ne dà il senso la nota emessa il 6 dicembre dall’Istat su “Condizioni di vita e reddito” tornando a segnalarci la dimensione delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale; un numero impressionante, non c’è dubbio, e non certo nuovo anche se “affogato” nel chiacchierume di questi tempi così vacuamente verbosi. Dunque in Italia a fine 2015 le persone che rientrano nel doloroso (e pericoloso) cluster appena richiamato ascendono al 28,7% dei residenti (poco meno di una persona su tre, che diventano quasi una persona su due nel Sud e nelle Isole, precisamente il 46,4%). Il dato – in peggioramento rispetto al 2014 (28,3% su base nazionale e 45,6% nel Sud e nelle Isole) – comprende, secondo le definizioni statistiche dell’Indicatore Europa 2020, le persone a rischio povertà (cioè con reddito disponibile inferiore al 60% della mediana di distribuzione del reddito), le persone in situazione di grave deprivazione materiale (cioè che non possono permettersi, per esempio, di riscaldare  adeguatamente l’abitazione o un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, in arretrato col pagamento di bollette, affitto, mutuo, etc,) e le persone a bassa intensità di lavoro (cioè che vivono in famiglie i cui componenti lavorano per pochi mesi all’anno).
A questo contesto sociale abbiamo presentato il quesito referendario, immaginando che avrebbero fatto loro l’ansia di superamento del bicameralismo perfetto; e magari ci meravigliamo dell’esito del referendum, lamentandone l’interpretazione politica anziché l’auspicata lettura riformista.
Per fortuna – leggo dai giornali – chi ha raccolto il successo più ampio da questa consultazione popolare (indubbiamente il Movimento 5 Stelle) e magari potrà presto tradurre il successo in attività di governo ha le idee chiare sul da farsi (intervista di Alessandro Di Battista a Die Welt, ripubblicata ieri da La repubblica): puntare  sull’enogastronomia, una nostra eccellenza, il nostro petrolio”(insomma, sui prodotti che tutto il mondo ci invidia). Peccato che (nota Istat del 6 giugno 2016 su “L’andamento dell’economia agricola”) agricoltura, silvicoltura e pesca sviluppino complessivamente (dati 2015) il 2% del PIL nazionale (33 €mildi su 1636 €mildi del PIL complessivo); se poi si aggiungono le connesse industrie alimentari, delle bevande e del tabacco arriviamo al 3,6% (58 €mildi, sempre su 1636). Meno male che, poi, l’intervistato – più realisticamente – si è pronunciato a favore del turismo; e della cultura, naturalmente. Col micro-credito.
Non è il caso, qui, di snocciolare ricette; solo di numeri volevamo parlare. Di ricette, poi, ognuno, forse, ha la sua; come Di Battista, del resto. La mia, di tutt’altra natura, non è molto popolare ma chi segue questo blog la immagina. E poi – via, non disperiamo! – le consultazioni per risolvere la crisi (politica) sono in corso e non mancheranno – ne sono certo – nuovi…. spacciatori di loto (Chiunque l’esca dilettosa e nuova / gustato avea, con le novelle indietro / non bramava tornar: colà bramava / starsi e, mangiando del soave loto / la contrada natia sbandir nel petto). Forse mi sbaglio (del resto Di Battista ha detto – e qui mi è piaciuto – che non sarà facile governare questo Paese) e siamo alle viste – nei prossimi mesi – di una palingenesi innescata dalla crisi politica, magari partendo con un bel referendum sull’euro o passando subito – come “pensa” Berlusconi – alla doppia valuta (perché, in fondo, a noi che ci importa di Gresham?)

Roma, 10 dicembre 2016

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