lunedì 23 dicembre 2013

Lettera a Babbo Natale

Silentium!
(di Felice Celato)
Gli auguri per Natale (quelli seri) ce li siamo già fatti; possiamo, ora, provare a fare insieme una lettera (scherzosa?) a Babbo Natale o, meno laicamente, a Gesù Bambino, come si usava quando s’era bambini?
Vi faccio una proposta, cari lettori di questo blog: chiediamo insieme a Babbo Natale, quest’anno, un regalo grande, un regalo prezioso, stavolta; un regalo raro che forse non è bello chiedere a Babbo Natale perché sicuramente lo mette in difficoltà (quello che ci apprestiamo a chiedere è proprio difficile da “portare”!), ma è veramente un regalo di cui ho (e forse abbiamo) veramente desiderio.
Ebbene: io chiedo a Babbo Natale (e oso pensare di poterlo fare anche a vostro nome, miei interlocutori asincroni) quindici giorni (in fondo solo quindici, Babbo Natale, non sono tanti!) di silenzio dei politici! Ma poi non sono nemmeno quindici, i giorni dalla vigilia di Natale all’Epifania, sono solo tredici giorni, tredici giorni di silenzio, per metterci al riparo dalle lofty platitudes (le pompose banalità) con le quali, i nostri amici e “nemici” della politica, credono di riempire il vuoto delle loro retoriche, al riparo dalla volgarità dei loro linguaggi  che spesso tradisce i loro “pensieri”, al riparo dal loro “parlare del parlare”, al riparo dalle loro reciproche contumelie, al riparo dai loro programmi di fare domani quello che avevano promesso per oggi, al riparo dalle bugie infantili sui piccoli trucchi coi quali disfanno di notte quel che asserivano di aver fatto di giorno, al riparo dalla loro rumorosa accidia, al riparo dai trionfalismi coi quali celebrano i loro insuccessi, al riparo dalle loro millenaristiche previsioni, al riparo dal loro gridare all’altrui indegnità, al riparo dalle parole sproporzionate con le quali esorcizzano la loro impotenza, al riparo dalle camarille  dei loro palazzi, lussuosi e fatiscenti ad un tempo, al riparo dal rumore di cui riempiono l’aria silenziosa che respirano i cittadini oppressi dalla preoccupazione.
Sono solo tredici giorni, cari amici e “nemici” della politica! Prendetevi anche voi una vacanza, magari a spese vostre, stavolta; lasciateci il silenzio per ascoltare il suono delle zampogne e riponete le vostre trombe strepitanti: abbiamo bisogno anche noi di un po’ di pace!
Certo, lo so, cari amici e “nemici” della politica, tutto questo rumore non è solo colpa vostra! Anche i giornali e le televisioni vi danno una mano - e che mano! - nel riempire di vocalizzi l’aria che, in questo periodo, vorrebbe solo risuonare di voci di angeli! Ma se voi ci mettete un po’ di buona volontà, in questi tredici giorni, potremo solo leggere delle celebrazioni religiose e anche dei laicissimi scambi di doni, dei cenoni e delle feste. Ne abbiamo tanto bisogno!
Poi verrà l’Epifania (“che tutte le feste porta via”, come si diceva al mio paese), cari amici e “nemici” della politica, e voi potrete  riprendere il vostro mestiere: state tranquilli, i giornali e le televisioni ricominceranno a seguirvi, a farvi le domande scontate delle quali conoscete a memoria le finte risposte e a pubblicare concettose interpretazioni del vostro vacuo parlare dell’altrui parlare! Riprenderanno i talk show, ove di voi “si spendea la miglior parte”: tornerete protagonisti, statene sicuri, ci sono anche le elezioni europee, non vi preoccupate! Sono solo tredici giorni, andiamo!, vi costa così tanto? E’ solo una parentesi, non vi preoccupate!
Babbo Natale, lo so, è difficile che tu ci riesca, a portarci il dono di questi tredici giorni di silentium dei politici; non ti preoccupare, neanche tu;  se non ce la fai, pazienza!, ci siamo abituati alle delusioni e magari ci riproveremo quest’altr’anno, se ci saremo!

Roma 23 dicembre 2013

mercoledì 18 dicembre 2013

Auguri di buon Natale!

Natale 2013
(di Felice Celato)

Nell’imminenza del Natale, come già abbiamo fatto gli anni scorsi (siamo ormai al terzo Natale di queste nostre conversazioni asincrone!), ci piace pensare solo al Natale.

Lo vorrei fare, quest’anno, con una settimana di anticipo sul calendario, con due pensieri, che per diverse ragioni mi sono sembrati adeguati al senso di smarrimento che ci pervade difronte al rumore scomposto del mondo.

Il primo è di Benedetto XVI (L’infanzia di Gesù, Rizzoli, 2012, pg 78) e ci dà un consolante senso della storia, del quale fatichiamo tanto e tanto spesso a capire le trame nascoste:
“Senza saperlo, l'imperatore [,decretando il censimento fiscale di tutti i cittadini dell’Impero,] contribuisce all'adempimento della promessa: la sto­ria dell'impero romano e la storia della salvezza, inizia­ta da Dio con Israele, si compenetrano a vicenda. La storia dell'elezione fatta da Dio, fino ad allora limitata ad Israele, entra nella vastità del mondo, della storia universale. Dio, che è il Dio di Israele e di tutti i po­poli, si dimostra come la vera guida di tutta la storia.”

Il secondo è di un grande poeta (Giuseppe Ungaretti) ed è contenuto in una indimenticabile poesia intimista (Natale), scritta in un tempo di pausa di un tempo di guerra:
“Non ho voglia /di tuffarmi/ in un gomitolo/ di strade
Ho tanta /stanchezza /sulle spalle
Lasciatemi così /come una/ cosa/ posata/ in un/ angolo/ e dimenticata
Qui /non si sente /altro/ che il caldo buono
Sto /con le quattro/ capriole/ di fumo/ del focolare”
Napoli, il 26 dicembre 1916

Non mi pare il caso di aggiungere altro, se non l’augurio, per tutti (e per me stesso) di saper riconoscere quelle trame nascoste nella storia e di riuscire a coglierne il senso, vicino alle “ quattro capriole di fumo del focolare” lontano dal gomitolo delle strade; in fondo, abbiamo tutti “tanta stanchezza sulle spalle”.

Roma 18 dicembre 2013






venerdì 13 dicembre 2013

Una lettura importante

Evangelii gaudium
(di Felice Celato)
Ho letto con calma e non senza qualche fatica il lungo testo della prima Esortazione Apostolica di papa Francesco, la cui lettura mi sento di raccomandare vivamente. Il documento si pone in piena continuità con gli insegnamenti dei pontefici degli ultimi decenni, ampiamente e accuratamente citati, come è fin troppo ovvio (ancorché spesso ignorato, per preconcetta antipatia verso alcuni dei suoi predecessori),  aggiungendo ad essi lo stile e le sensibilità di papa Francesco e il suo “vulcanico” (non mi viene altro termine) zelo per la Chiesa e per gli uomini.
Alcuni hanno segnalato (per tutti, si veda Michael Novack, sul Corriere della sera del 12 dicembre), non senza qualche ragione, il disagio che talora possono suscitare alcune espressioni in materia economica, frutto della “novità” culturale del papa “venuto dalla fine del mondo” (in fondo papa Bergoglio è il primo papa non europeo!); espressioni che la trattazione organica (cioè del testo nel suo complesso) e la lettura attenta riconducono poi, gradatamente e in larga parte, al loro significato direi retorico e parenetico più che dottrinale. Cito, fra le parti più problematiche da questo punto di vista, i capitoli da 50 a 60, e forse quelli da 202 a 208, che vanno letti, a mio avviso, avendo sempre presente la straordinaria lucidità dell’enciclica Caritas in veritate (capitoli 35, 36 e 37, soprattutto) ove si introduce la distinzione fra giustizia commutativa (propria dei mercati e delle loro regole) e la giustizia distributiva e sociale (propria degli ambiti più propriamente politici ) sicché “l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici. Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi. Ma è la ragione oscurata dell’uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso. Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale” (Caritas in veritate, 36). E difatti il papa Francesco assai spesso (ed esplicitamente, cfr., ad esempio, par. 184) si richiama alla dottrina sociale della Chiesa di cui la Caritas in veritate è innegabilmente il pilastro più forte e più recente.
L’Esortazione apostolica, lo accenna il papa stesso, non è un’enciclica (che ha un prevalente indirizzo dottrinale, che del resto il papa tanto spesso richiama); è, appunto, un’esortazione, e di questo “genere” alcune espressioni hanno il chiaro imprinting. E, con tale connotazione, il testo dell’Evangelii Guadium si pone come un documento di straordinaria vivacità, spiritualità e ricchezza di ancoraggi biblici e teologici.
Non volendo né potendosi riassumere il contenuto di una tanto appassionata e vasta trattazione (potrei dire, in estrema sintesi, che la sensibilità di Francesco verso il mondo riecheggia lo stile gesuitico delineato dalla sequenza dei tre verbi partecipare, discernere e accompagnare), mi limiterò a segnalare qui alcuni spunti che mi sono sembrati, fra gli altri, di particolare rilievo:
  • il lungo e forte capitolo (dal paragrafo 135 al paragrafo 159) sull’omelia (che – da appassionato del…genere – ho sentito subito vicino);
  • il richiamo al dovere del cattolico ad “esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini” (par. 183): “sebbene il giusto ordine della società e dello stato sia il compito principale della politica, la Chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia”(cfr. anche Deus caritas est, par. 28);
  • la affermazione della natura teologica dell’opzione della Chiesa per i poveri (par.198 e 199);
  • la forte attenzione per i migranti (par. 210 e 211), la riaffermazione della dottrina ecclesiale sull’aborto (par. 213 e 214) ivi compresa la com-passione per le situazioni più dolorose;
  • la riproposizione (par.222-237) dei quattro principi “bipolari”(il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte) che già avevano costituito oggetto di una riflessione dell’allora cardinale Bergoglio (Noi come cittadini, noi come popolo, Jaca Book, pg. 57 e sgg);
  • il richiamo (di sapore Ratzingeriano) all’”indifferenza relativista”(par. 61) e al “relativismo morale”(par. 64);
  • il bel capitolo sulle relazioni con l’Ebraismo (par. 247-249);
  • la bellissima preghiera mariana ed ecclesiologica del par. 288, da leggere in continuità con quella, forse puramente mariana, contenuta nella Spe salvi (par. 50);
  • infine, l'entusiasmante ultimo capitolo sugli "evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo"(par. 259-288), forse il capitolo più compiutamente espressivo della travolgente passione apostolica di papa Francesco, un capitolo che ci conforterà leggere e vivere.


Roma, 13 dicembre 2013, Santa Lucia.

venerdì 6 dicembre 2013

Censis e oltre

Sciapi e malcontenti
(di Felice Celato)
Guardona e in vaga ricerca di discontinuità, questa nostra società, fiaccata da una crisi perdurante, e divenuta “sciapa e malcontenta”, ha intanto, in qualche modo, esorcizzato il baratro minacciato, esprimendo una forza di sopravvivenza tenace, ma tutta dilatata in orizzontale, alla ricerca di una connettività sociale atta a supportare, in lontananza dallo stato, un po’ di residuo fervore che si esprime in forme di solidarietà locale, di appello allo scheletro contadino, di fermento debole magari generato da soggettualità emergenti (le donne? gli immigrati?).
Non so se questa sintesi estrema è in grado di trasmettere il senso del nuovo rapporto Censis (come al solito, da leggere per intero e consultare nel tempo), quest’anno forse, nel fondo, meno spietato che negli anni scorsi, come forse esige la già pietosa situazione del paese.
In questa sconfortante cornice sociale, la politica continua a collezionare drammatiche sconfitte, delle quali talora non sembra nemmeno percepire la gravità: nel giro di pochi mesi due episodi istituzionali (fra gli altri) hanno certificato un duplice, pericoloso scacco. Il primo: dove la politica ha fallito (l’abbattimento del “tiranno”), ha fatto centro la magistratura, con la nota sentenza del 1° agosto; e, come, con incongrua solennità, dicono a sinistra, alle 17,43 del 27 novembre 2013, la politica ha seguito, fra incredibili contorsioni. Il secondo: dove la politica ha fallito (l’indilazionabile cambiamento – così dicevano in coro i nostri politici  sette/otto mesi fa – della odiosa legge elettorale) ha fatto centro la Corte Costituzionale. E la politica, forse, seguirà: tutti i politici, in coro, come parlando di altrui inadempienze, ripetono “ora non ci sono più alibi”. Intanto il Senato e la Camera si scontrano sull’assegnazione della riforma elettorale.
Qui non si tratta di coltivare pulsioni populiste (che mi sono estranee per natura, cultura e gusto): ma è certo che non è possibile perpetuare l’equivoco di una società governata da chi dovrebbe giudicare e giudicata, solo con parole e con parole da talk show, da chi dovrebbe governarla. Né si tratta di aggiungere rilievi alle tante, possibili critiche alla magistratura, che, nelle due fattispecie, ha fatto solo ciò che era dovere facesse, sia pure in tempi che altrove sarebbero inconcepibili (stiamo votando col “Porcellum” da diversi anni). Qui è in questione non so se la legittimità ma certamente la capacità di questa classe politica a governare un paese che ne ha immenso bisogno.
Non so che cosa c’è dietro l’angolo che, con la fine dell’anno, ci apprestiamo a svoltare; è certo che non possiamo vivere, senza correre gravissimi pericoli, un 2014 nella stessa condizione paralitica e sfibrata che ha caratterizzato il 2013, con buona pace del “semestre europeo”. Aspettiamo pure le famose primarie del PD con le novità che confusamente promettono di innescare; aspettiamo pure la verifica di governo della prossima settimana con gli impulsi che promette di imprimere. Ma, da entrambi gli eventi, dobbiamo aspettarci cose veramente nuove e azioni immediate. Altrimenti è meglio deporre ogni speranza che il sale per fermentare la società sciapa possa venire da un governo, che lo stato continui ad avere un posto (quello giusto) nelle aspettative dei cittadini, che si arresti la frana del malcontento.
Sarà pur vero, come dice il Censis, “che questa società, se lasciata al suo respiro spontaneo, produce frutti più positivi di quanto pensino un’opinione pubblica impaurita e una leadership politica ed amministrativa forse altrettanto impaurita, ma propensa a misurarsi sul controllo della capacità polmonare di un sistema che ha bisogno (e voglia) di respirare, di tornare a respirare”; ma di uno stato, auspicabilmente meno statalista e meno burocratico, abbiamo pur sempre bisogno; e non so che cosa ne resterebbe se la sua governance si mostrasse così incapace da dover, gli italiani, solo far conto sul loro scheletro contadino.
Roma, 6 dicembre 2013

giovedì 5 dicembre 2013

Segnalazione

La giostra del piacere
(di Felice Celato)
Non avrei scommesso di essere capace di leggere fino in fondo un corposo romanzo erotico, che avevo comprato istintivamente (senza nemmeno leggere i risvolti di copertina, solo perché l’autore, Eric Emmanuel Schmitt, è, secondo me uno sperimentato scrittore raffinato e un narratore sottile); tanto più, poi, perché l’erotismo di cui sono pervase le oltre 650 pagine che lo compongono mi è apparso subito così trasgressivo e a tratti perverso (amori sensuali etero e omosessuali, non solo di coppia ma triangolati e talora poligonati in composizioni alternate di varia struttura) da risultare, per me, fastidioso (meglio: imbarazzante, direi senza imbarazzo).
E invece sono arrivato alla fine, non senza una qualche fatica, incuriosito da una vago fil-rouge che tiene insieme le molte storie narrate, nel quale mi pareva di intravvedere una venatura metafisica, del resto non estranea alle corde dell’autore: i protagonisti di questa fiera del sesso ricevono tutti un misterioso biglietto anonimo (“Questo biglietto solo per dirti che ti amo. Firmato: tu sai chi”) al quale attribuiscono, tutti, un significato diverso, preciso e mirato, tale da indirizzare o sconvolgere le loro vite affettive (e naturalmente sessuali).
E, in effetti, ne La giostra del piacere (edizioni e/o) questo vago senso di un amore trascendente compare, non solo accennato, per essere, infine, eluso in una soluzione delicata ma non proprio metafisica, come pure a tratti si lascia immaginare, ma nemmeno banale e certamente lontana dalle ossessioni che pervadono le varie storie intrecciate tra loro con innegabile perizia narrativa.
I personaggi sono tanti, tutti, a loro modo e in qualche modo, amati dal loro “inventore”, quasi tutti assetati di amore e quasi tutti incapaci di trovarlo nei sensi sconvolti dalle solitudini e delle nevrosi. C’è pure un personaggio che sembra ritagliato sul profilo del famoso protagonista di un clamoroso scandalo sessuale internazionale, forse l’unico per il quale l’autore non mostra nessun segno di tenerezza, se non forse nel destino che gli confeziona.
Non saprei dire se, e a quali fra i destinatari delle mie segnalazioni, questo libro possa piacere (non so nemmeno se a me, in estrema sintesi, sia veramente piaciuto). Posso solo ripetere che l’autore è scrittore colto e non banale (del resto su questo blog mi pare di aver già segnalato almeno tre suoi libri, Il vangelo secondo Pilato, La donna allo specchio e La parte dell’altro); che nonostante tutto il libro si legge fino in fondo; e che, sul finire, lascia un sapore dolce di affetti delicati, nei quali l’ossessione sessuale si annulla in un pietoso e umanissimo sentimento  di amore incorporeo.
Roma, 5 dicembre 2013