martedì 30 dicembre 2014

Auguri per il 2015

.....rileggendo
(di Felice Celato)

La liturgia dell’Avvento (4° domenica) mi ha suggerito la rilettura di un capitolo dell’Antico Testamento (2 Sam.,7) che avevo dimenticato e che trovo bellissimo: Dio che, per bocca del profeta Nathan, parla a Davide e Davide che risponde. E’ un pezzo straordinario, che consiglio a tutti di rileggere come viatico per quest’anno (che sarà difficile, almeno come gli altri di questi tempi). Eccone il link:
Per i più frettolosi, provo a farne una sintesi. Davide, su un affrettato consiglio di Nathan, pensa di costruire, in segno di gratitudine, una “ casa di cedro” al Signore; Questo con affettuosa ironia (Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Ma io non ho abitato in una casa da quando ho fatto uscire gli Israeliti dall'Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione.  Finché ho camminato, ora qua, ora là, in mezzo a tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei Giudici, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi edificate una casa di cedro?), gli ricorda, tramite Nathan, l’elezione eterna (Io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d'Israele mio popolo;  sono stato con te dovunque sei andato… ) e fa la grande promessa per il suo popolo (renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra.  Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i Giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici. Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore.  Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno.  Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo,  ma non ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te.  La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre.)

E Davide risponde a Dio con una magnifica preghiera ( «Chi sono io, Signore Dio, e che cos'è mai la mia casa, perché tu mi abbia fatto arrivare fino a questo punto?......Che potrebbe dirti di più Davide? Tu conosci il tuo servo, Signore Dio!  Per amore della tua parola e secondo il tuo cuore, hai compiuto tutte queste grandi cose, manifestandole al tuo servo…… Ora, Signore, la parola che hai pronunciata riguardo al tuo servo e alla sua casa, confermala per sempre e fa’ come hai detto….. Signore, tu sei Dio, le tue parole sono verità e hai promesso questo bene al tuo servo.  Degnati dunque di benedire ora la casa del tuo servo, perché sussista sempre dinanzi a te! Poiché tu, Signore, hai parlato e per la tua benedizione la casa del tuo servo sarà benedetta per sempre!»).

Ecco, la preghiera di Davide sia la nostra preghiera per il 2015 e la benedizione di Dio sia manifesta a noi tutti anche in questo breve e difficile tratto della vita che sarà l’anno che viene. E nel più lungo futuro che attende i nostri figli e i nostri nipoti.
Roma, 30 dicembre 2014






mercoledì 24 dicembre 2014

Stupi-diario delle parole magiche

“Austerità”
(di Felice Celato)

L’altro mantra del linguaggio politico-corrente (oltre al già visto “flessibilità”)  è “austerità”, o meglio: “basta austerità”, che vuol dire “non vogliamo più l’austerità!” e quindi, in positivo, suppongo, vogliamo invece il contrario dell’austerità. Alcuni "maltemponi" (di sinistra ma non solo) addirittura sono partiti con la raccolta delle firme (credo poi abortita) per un referendum “stopausterità”.

E’ Natale e quindi lasciamo perdere le domande più inquietanti (ma siamo mai stati veramente austeri? E se si, in quale senso? Mi si passi il gioco di parole: è stato austero lo stato?) e i relativi supporti numerici; quindi, solo per divertirci, appunto in clima natalizio, concediamoci  una piccolissima ricerca lessicale, cercando sul Devoto-Oli i sinonimi e i contrari di “austerità” per meglio penetrare il senso di questa “cosa” alla quale vogliamo dire un solenne “basta!”. Ve li trascrivo perché fanno pensare:

Sinonimi: severità, rigidezza, durezza, fermezza, rigore, inflessibilità, serietà, gravità, solennità, sobrietà, virtù, moderazione, frugalità, temperanza, morigeratezza, essenzialità, semplicità, linearità.
Come vedete, tutte “virtù” di cui nel nostro paese abbiamo, evidentemente, fatto addirittura indigestione o almeno largo uso, tanto largo da farci desiderare di fare, finalmente!, il contrario.

E quindi andiamo ai contrari: tolleranza, indulgenza, sfarzo, eleganza, raffinatezza, lusso, magnificenza, grandeur.

Bene: se questa è la ricetta dei nostri politici, io prevedo che avrà molto successo!
Di nuovo Buon Natale!


Roma 24 dicembre 2014

sabato 20 dicembre 2014

Gli auguri di Natale

Gli auguri di Natale, quest’anno, voglio farveli, cari amici miei asincroni corrispondenti, con una poesia di Jorge Luis Borges, una rara poesia religiosa (intitolata Gv 1,14) di un grande spirito “ateo” (o forse agnostico) che recitava il Padre Nostro tutte le notti perché l’aveva promesso a sua madre e leggeva i Vangeli, che amava l’infinito e percepiva intensamente il mistero dell’esistenza. Una poesia – spero per tutti noi – vale assai più di ogni altra parola che l’uso ha consunto, perché –quando è vera poesia – risplende di luce e sgombra i tardi labirinti della mente che consumano i  nostri giorni.

Non sarà questa pagina enigma minore
di quelle dei Miei libri sacri
o delle altre che ripetono
le bocche inconsapevoli,
credendole d’un uomo, non già specchi
oscuri dello Spirito.
Io che sono l’E’, il Fu e il Sarà
accondiscendo ancora al linguaggio
che è tempo successivo e simbolo.
Chi gioca con un bimbo gioca con ciò che è
prossimo e misterioso;
io volli giocare coi Miei figli.
Stetti fra loro con stupore e tenerezza.
Per opera di un incantesimo
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, prigioniero di un corpo
e di un’umile anima.
Conobbi la memoria,
moneta che non è mai la medesima.
Il timore conobbi e la speranza,
questi due volti del dubbio futuro.
Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni,
l’ignoranza, la carne,
i tardi labirinti della mente,
l’amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.
Fui amato, compreso, esaltato e sospeso a una croce.
Bevvi il calice fino alla feccia.
Gli occhi Miei videro quel che ignoravano:
la notte e le sue stelle.
Conobbi ciò che è terso, ciò che è arido, quanto è dispari o scabro,
il sapore del miele e della mela,
e l’acqua nella gola della sete,
il peso d’un metallo sulla palma,
la voce umana, il suono di passi sopra l’erba,
l’odore della pioggia in Galilea,
l’alto grido degli uccelli.
Conobbi l’amarezza.
Ho affidato quanto è da scrivere ad un uomo qualsiasi;
non sarà mai quello che voglio dire,
ne sarà almeno un riflesso.
Dalla Mia eternità cadono segni.
Altri, non questi che è il suo amanuense, scriva l’opera.
Domani sarò tigre fra le tigri
e dirò la mia legge nella selva,
o un grande albero in Asia.
Ricordo a volte, e ho nostalgia, l’odore
di quella bottega di falegname.

Roma 20 dicembre 2014


lunedì 15 dicembre 2014

Proviamo a fare una proposta

Per non restare solo deprecatori
(di Felice Celato)
Il potere può rendere dei buoni a nulla capaci di tutto, purtroppo l’abbiamo constatato tante volte e non solo in politica; e i meccanismi selettivi della nostra politica non riescono ad escludere dei buoni a nulla dal potere e quindi rischiano di innescare, anche quando sono privi di male intenzioni, l’attività distruttiva di chi è capace di tutto.
Queste sconsolanti affermazioni che sembrano suggerite dalle cronache più o meno colorate di questi giorni grigi, per essere  - come  sono - fattualmente dannose, hanno bisogno di un importante corollario: occorre che il potere, reso accessibile anche a  figuri senza scrupoli, occupandosi di tutto riesca a diventare, come ha scritto qualcuno, la risorsa indispensabile per fare qualsiasi cosa.
Ora, poiché non riusciamo a tenere lontani dal potere dei buoni a nulla, dobbiamo agire sul possibile detonatore del danno: dobbiamo fare in modo che il potere non si occupi di tutto. In altri termini dobbiamo destatalizzare quanto più è possibile la nostra società.
Ma, mentre questo concetto è facile da intendersi (non dico necessariamente da condividersi, ma solo da intendersi) quando ci si riferisce alle attività economiche, viene assai più difficile applicarlo ad attività per loro natura – almeno apparentemente – non economiche, quali ad esempio le attività assistenziali. Qui non si tratta, secondo me, di cadere nella abusata demonizzazione del denaro (che sa un po’ di utopico: senza denaro come posso aiutare/assistere chi non ha mezzi economici per sostentarsi?); si tratta invece di allontanare per quanto possibile il “maneggio” del denaro dallo Stato (e dai suoi “delegati” locali). Anche qui, come del resto nelle attività economiche, occorre riportare lo Stato alla sua attività di regolatore (con incentivi e disincentivi) allontanandolo da quella di erogatore diretto (NB: diretto, perché anche attraverso incentivi alla fine lo Stato eroga, sia pure indirettamente; però non “maneggia” denaro ma norme!). Provo a fare un esempio, che – come tale – avrà tutti i difetti degli esempi (tipicamente quello di semplificare, magari troppo; quello di esaltare i pro di una soluzione diminuendo la rilevanza dei contra; etc) ma che spero possa essere utile per riflettere: immaginiamo che lo Stato emani una norma in base alla quale gli imprenditori debitori di imposta possono pagare una parte predefinita (chessò, il 5%?) delle loro imposte attraverso una donazione, integralmente deducibile appunto dalle tasse dovute, ad un’organizzazione no-profit a condizione che questa abbia i bilanci certificati, che non ci siano rapporti cosiddetti fra parti correlate e che rientri in un apposito registro delle organizzazioni no-profit riconosciute degne di questo tipo di assistenza. E che inoltre, per incentivare l’uso di questo doppio canale di pagamento del debito tributario, il debitore d’imposta che vi ricorre abbia diritto a “fregiarsi” del titolo di “impresa aperta alla solidarietà” al quale connettere alcuni vantaggi da definire (per esempio: priorità, a parità di condizioni economiche, nelle gare di appalto pubbliche; oppure: diritto ad una decontribuzione previdenziale dello 0,5%; oppure: qualsiasi altra idea possa venire in mente a chi ha più fantasia di me e che abbia un limitatissimo impatto sulle finanze dello stato, delle quali conosciamo le condizioni). Potrebbe funzionare?
E’ del tutto chiaro che il passaggio da uno stato erogatore di welfare a stato incentivatore di welfare richiede tempi lunghi e visioni non anguste. Ma se si preferisce solo deprecare (anche giustamente, come è fin troppo ovvio) si può continuare semplicemente a leggere con disgusto le cronache di tutti i giorni e magari ad invocare nuovi inasprimenti di pena per vecchi reati o a immaginarne dei nuovi; salvo poi constatare che ulteriori inasprimenti sono necessari.
Roma, 15 dicembre 2014

NB: per alcune delle idee sopra utilizzate, sono debitore di spunti al documento Democrazia Partecipativa, dell’omonima organizzazione e al libro di Jeremy Rifkin La società a costo marginale 0)