domenica 29 marzo 2015

Letture

Introduzione al Cristianesimo
(di Felice Celato)
Ho finito di leggere, con grande interesse e piacere ma non senza fatica, il libro di cui accennavo qualche giorno fa, che, anzi, ha guidato buona parte della riflessione che, appunto l’altro giorno, facevo sugli incroci fra ragione e fede nell’esperienza religiosa. 
Si tratta di Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger (Queriniana), un libro per qualche tratto anche difficile, da leggere lentamente e riflettendoci sopra, ma soprattutto un magistrale punto di riferimento per chiunque s’interroghi sulla sostanza della nostra fede.  Rivisitando “gli articoli” del Simbolo Apostolico, Joseph Ratzinger ne traccia una sintesi di grande intensità ed efficacia, illuminando, coi bagliori di una mente estremamente acuta, una comprensione spirituale del mondo che soddisfa pienamente la fede. Si “scopre” così , dell’autore, un lato che – nelle banalizzazioni mediatiche – è apparso sempre in ombra, quello dell’uomo di caldissima fede, l’opposto dello stereotipo del freddo teologo, un vero padrone della  meccanica del pensiero, che riconduce la sua profondissima cultura al ruolo di strumento dello spirito, per fondare un entusiasmo religioso veramente affascinante, anche attraverso gli “articoli di fede” apparentemente più ostici per la nostra sensibilità contemporanea. Un libro da tenere sul tavolo.

Roma,29 marzo 2015

venerdì 27 marzo 2015

I buchi neri della mente

Latent failures
(di Felice Celato)
Eccoci qua, a distanza di poco più di tre anni, a rivivere lo stupore tragico delle “latent failures del carattere, della preparazione, della tempra umana”, i latenti cedimenti della mente di cui parlammo all’epoca del naufragio della Concordia (Demoni e santi, post del 18 gennaio 2012).
Tutte le procedure di sicurezza, per quanto estremamente attente come quelle della sicurezza aerea, hanno le loro tecniche latent failures, cioè dei buchi nascosti per i quali, ad esempio, ciò che serve a prevenire incursioni in cabina di pilotaggio può improvvisamente diventare il meccanismo che consente a chi sta dentro di isolarsi dal resto dell’equipaggio.
Ma il disastro aereo dei Trois-évechés riporta in primo piano – stando alle ancora incerte analisi delle sue dinamiche – le latent failures del fattore umano come determinante di tragedie altrimenti incomprensibili. La nostra ansia di sicurezza, cui corrispondiamo con minute procedure vòlte alla massima compressione del rischio (fino al suo limite asintotico), si infrange sugli scogli del buio che portiamo dentro di noi, l’ineliminabile scogliera nascosta della fragilità umana in agguato su ogni rotta della vita.
Il carico di destini che si incrocia in ogni azione dell’uomo, e tanto più in quelle che attengono alle dinamiche collettive del nostro mondo, rimane affidato (al di là di ogni – pur necessario – processo di “securizzazione”, cioè del mettere al riparo, nei limiti del pensabile, dal rischio insito in ogni attività umana), alla padronanza di sé che si richiede ad ogni individuo, nell’illusione che ogni possibile controllo valga ad escludere anche l’emergere di un cedimento della mente, improvviso e travolgente.
Che cosa sia successo, se le cose stanno come ora sembra, nella testa e nell’animo del giovane pilota dell’A320, non lo sapremo mai, per quanto analitiche possano essere le ricostruzioni dei fatti: non c’è una scatola nera della nostra anima (o, se si preferisce, della nostra mente); le nostre azioni, ben al di sotto del loro contenuto professionale (quando serve), sono il prodotto di processi intellettuali, emozionali ed etici complessi ed in fondo insondabili, talora irragionevolmente istantanei, di fronte ai quali non resta che la sospensione del giudizio, per quanto efferate possano essere le conseguenze di quelle azioni. 
Forse le uniche parole che hanno senso sono quelle di un tragico Requiem che accomuni le vittime e il (finora presunto) loro forse incosciente assassino.
Roma, 27 marzo 2015

martedì 24 marzo 2015

L'incrocio fondamentale

Dalla opzione fondamentale al Dio della fede
(di Felice Celato, ma in gran parte liberamente messo a fuoco grazie a Introduzione al Cristianesimo di J. Ratzinger, un libro che segnalo a tutti per la potenza del suo argomentare)
La fede, in fondo, è un atto della volontà, una scelta libera fra due opzioni in sé entrambe rispettabili: si può infatti legittimamente credere che esista solo ciò che si vede (si tocca, si gusta, si odora, si misura, etc.); questa è l’opzione atea. Ma si può anche credere, con altrettanta “legittimità”, che tutto ciò che si vede, si tocca, si misura, etc. non esaurisca il reale, e che, anzi, esista (per dirla in breve) un mondo invisibile che addirittura sorregge ogni altra realtà. E questa è l’opzione della fede.
Bene: fin qui siamo nel dominio del pensiero, delle convinzioni accettate o accettabili.
Ora andiamo nel dominio dell’esperienza, che ovviamente si apre di fronte a chi sia convinto di aver fatto l’opzione della fede: l’esperienza religiosa, paradigmaticamente, muove da due tipi di esperienza del “divino”, diversi ma anche possibilmente contemporanei: quella in cui questa realtà invisibile è anzitutto potenza (tipicamente partendo dalla contemplazione del mondo) e quella in cui questa realtà invisibile è anzitutto alterità, diversità, assenza di limiti (tipicamente partendo dall’uomo e dalla sua contingenza).
Qui, essendo avvezzo a sentire mia, più della prima, la seconda delle “modalità esperienziali” appena indicate, faccio un’osservazione personale aggiungendo una considerazione induttiva: credo che non si possa dubitare che l’uomo è il “principe” di quello che solitamente chiamiamo creato; è l’animale più intelligente, più potente, più creativo, l’animale che parla, che ricorda, che scrive, che ama, che innova, che inventa, che compone il bello, etc.. Ebbene, non ci dice niente che questo “principe del creato” abbia in sé, da sempre, un’inquietudine profonda che lo porta continuamente verso il proprio limite con l’ansia di ciò che c’è oltre tale limite (sia questo limite il tempo, lo spazio, la vita o quel che si vuole), come se da questo al di là emanasse un richiamo d’infinito, un senso (appunto) di un’alterità scevra da quei limiti che sono propri dell’uomo e che lo costringono, appunto nel tempo, nello spazio, nella vita? Io questo richiamo lo definisco la prima voce di Dio che, come tale, non dovrebbe essere lontana da tutti quelli che si siano disposti alla opzione della fede. A questa ultima condizione, la prima voce di Dio, credo, la possono sentire tutti (tutti quelli che hanno fatto l’opzione per la fede).
Fin qui però siamo giunti, al massimo, a quello che (mi pare di aver capito) Ratzinger chiama il Dio dei filosofi: siamo partiti dal postulare una realtà invisibile; con un passo successivo siamo anche arrivati a poter ammettere di averla “sentita”, questa realtà invisibile, o come Potenza (tipicamente creatrice) o come Alterità (tipicamente senza limiti, di fronte ai limiti del “principe del creato”); fin qui arrivati, possiamo al massimo anche “immaginarla” come puro Ente, potente (ideatore e creatore) e senza limiti: un Dio dei filosofi, a-relazionale, un Ente Supremo che ben potrebbe disinteressarsi degli uomini e vivere la sua atemporalità in assoluta indifferenza rispetto al mondo.
Eccoci dunque arrivati al passaggio fondamentale, dal Dio dei filosofi (che riassumerei con l’affermazione “esiste solo, un Dio”, che, al massimo, ha ideato e creato)  al Dio della (nostra) fede (che riassumerei con l’affermazione biblica “esiste un solo Dio”): qui, forse, il passaggio (cruciale!) esige un duplice chiarimento, filosofico e, poi, storico; il chiarimento filosofico: questo Pensiero creatore non può che essere consapevole del suo creato e quindi non può che amarlo. Il chiarimento storico: per noi il Pensiero creatore (che anche ama il suo creato) è la Persona che ci ha parlato di sé dal roveto ardente, che, tramite Mosè (Es 3), si è proclamato il Dio dei nostri padri e che ci ha parlato per il tramite del Suo figlio. L’unico senso sotto il quale cade questa percezione è l’udito (Visus, tactus, gustus in Te fallitur, sed auditu solo tuto creditur, da Adoro Te devote, attribuito a san Tommaso d’Aquino), l’udito di ciò che crediamo rivelato.
Alla fine di questo ragionamento, constatiamo di aver accettato due opzioni, per così dire meta-razionali: quella fondamentale per la fede e quella particolare per la rivelazione della fede Cristiana. Il resto, forse, è solo frutto della ragione ( e dell’esperienza di una Potenza e di un’Alterità).

Roma 24 marzo 2015

venerdì 20 marzo 2015

Stupi-diario socio-psichiatrico

Affinità necessarie?
(di Felice Celato)
Mentre sistemavo dei libri, mi è capitato oggi fra le mani un libro che figura fra i miei per puro caso: oltre vent’anni fa (nel '94, come si legge nella dedica), ad una cena, conobbi un eminente e simpaticissimo professore di psichiatria ( Gaspare Vella) che, evidentemente colpito dalle mie curiosità per la sua scienza, mi fece avere, qualche giorno dopo, in cortesissimo omaggio, un suo manuale per medici e psicologi intitolato Psichiatria e Psicopatologia (Liviana Medicina Editore). A suo tempo, ricordo, lo “divorai”, tanto chiare ed interessanti erano le descrizioni delle sindromi psichiatriche più diffuse, con le quali, per varie ragioni che qui non occorre ricordare, a quel tempo mi pareva di imbattermi con frequenza.
Il libro si completa con un interessante glossario di psicopatologia che è proprio quello che, oggi, mi è capitato di ri-scorrere. Preso come sono da una certa preoccupazione ( e un po’ di disgusto) per lo stato mentale del nostro paese nei nostri tempi, questa rapida scorribanda fra le parole della psichiatria mi ha portato ad immaginarne una interpretazione direi sociologica, che forse non sarebbe autorizzata dalla autonomia delle scienze in discorso (la psichiatria e la sociologia) ma che tuttavia mi ha incuriosito (e anche un po’ stupito, come è appropriato per questa rubrichetta dello stupi-diario, per le – forse  non scientifiche – analogie).
Provo dunque a riportare qui alcune definizioni (fra le tante che si adatterebbero allo scopo), lasciando ai lettori la libertà (e ci mancherebbe altro! direbbero questi, a ragione) di riflettere se certi sintomi psichiatrici non possano perfettamente attagliarsi ai percorsi “mentali” della nostra società.
Accelerazione ideica: accelerazione delle associazioni, per cui il pensiero appare ricco di idee labili, il soggetto è incapace di mantenere l’attenzione, approfondendo specifici contenuti: il grado estremo è la fuga delle idee (vedi oltre).
Delirio di riforma: il soggetto teorizza e persegue riforme economiche, sociali e politiche, con acritico sentimento di certezza, noncurante delle oggettive difficoltà che gliene impediranno l’applicazione.
Ecolalia: ripetizione automatica, temporanea, apparentemente senza significato finalistico, di parole o frasi udite da una persona, con la quale il paziente è in temporaneo rapporto.
Fatuità: è l’espressione di sentimenti ed affetti con un’euforia che appare puerile, effimera, vana, sciocca, stolida, insensata, talora sguaiata (…).
Fuga delle idee: la velocità ideativa è aumentata per cui le idee si susseguono velocemente secondo associazioni che vengono richiamate per assonanza, somiglianza, contrasto e influenza di stimoli esterni (…).
Insalata di parole: con o senza fuga delle idee; il discorso del soggetto è una successione di parole che sembrano prese a caso ed espresse una dopo l’altra in modo tale che non è possibile cogliere il significato delle frasi (….).
Palilalia: è una stereotipia del linguaggio, nella quale il paziente, per lo più deteriorato mentalmente, ripete, talora sempre più velocemente, parole e frasi appena udite, apparentemente senza significato o scopo (….).
Teatralità: espressione esagerata e drammatizzata di sentimenti ed emozioni iperreattive a situazioni ed avvenimenti che di per sé non dovrebbero provocare un così grande coinvolgimento e sconvolgimento affettivo-emotivo. Questa espressività è agita sempre in presenza di un “pubblico” che osserva, di cui bisogna catturare l’attenzione e nel quale si tende a generare sentimenti positivi (simpatia, lode, compassione).
Verbigerazione: è un monologo nel quale compaiono sempre le stesse parole. E’ un sintomo di demenza.
Mah! Trascrivendole, queste definizioni, mi è venuto il dubbio che, in fondo, psichiatria e sociologia, siano tutt'altro che scienze indipendenti l’una dall’altra! Anzi, in certi contesti....

Roma, 20 marzo 2015 (eclissi di sole ma vigilia di primavera)

domenica 15 marzo 2015

"In God we trust"

Discorsi
(di Felice Celato)
Nella odierna, straordinaria omelia (forse la più bella predica quaresimale che ho sentito negli ultimi 50 anni, e – sapete della mia passione per i numeri! – ne avrò ascoltate almeno 300, considerando 6 domeniche di quaresima, domenica delle palme inclusa, per almeno 50 anni!) il p. De Bertolis, qui diverse volte segnalato all’attenzione di chi ama le parole intelligenti, ha menzionato (diciamo: di sfuggita) la lectio magistralis di Flores d’Arcais di cui la stampa aveva parlato la settimana scorsa (mi era sfuggita, ma grazie ad internet ne ho trovato ampi stralci), in occasione , mi pare di capire, del conferimento del premio al Laico dell’anno (sic!), una specie di Pallone d'oro della "cultura":
Ne cito qui alcuni passaggi che poi farò seguire da alcuni passaggi del discorso di Selma del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Dunque ecco il Laico dell’anno:
La religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico. (…) Le religioni compatibili con la democrazia sono dunque religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharia e martiri o di legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni) che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse. Nella versione di Flores, il credente è civicamente minus habens perché incapace di interiorizzare autonomamente la scelta pro-democrazia e in grado di riconoscerla solo affidandosi all’autorità religiosa di riferimento.
O l’esilio di Dio dall’intera sfera pubblica o l’irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut. Ecco perché è inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa, e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione. Al fedele restano chiese, moschee, sinagoghe, e la sfera privata.
[Spero che le citazioni siano esatte, perché le ho riprese da un sito che di solito….non manca di spirito polemico, talvolta, a parer mio, eccessivo: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-califfo-flores-mette-le-manette-anche-a-dio-12035.htm]
Ed ora passiamo al Presidente di un Paese che, evidentemente, non sa che cos’è la democrazia [chi vuole troverà ampi stralci del discorso su Il corriere della sera del 9 marzo]:
A cinquant’anni dal Bloody Sunday (Domenica di Sangue), la nostra marcia non è ancora finita. Ma ci siamo vicini. A 239 anni dalla fondazione di questa nazione, la nostra unione non è ancora perfetta. Ma ci siamo vicini. Il nostro lavoro è più facile, perché qualcuno ci ha già portato oltre quel primo miglio. Qualcuno ci ha già fatto passare attraverso quel ponte. Quando la strada si farà troppo dura, quando la torcia che ci è stata passata sembrerà troppo pesante, ci ricorderemo di questi primi viaggiatori, trarremo forza dal loro esempio, e ci atterremo saldamente alle parole del profeta Isaia: “Quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, s’alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano
Onoriamo coloro che hanno camminato cosicché noi potessimo correre. Dobbiamo correre così i nostri figli voleranno. Non ci stancheremo. Perché crediamo nel potere di un Dio eccelso, e crediamo nella sacra promessa di questo Paese.
Possa Egli benedire quei guerrieri della giustizia non più con noi, e benedica gli Stati Uniti d’America.
Bene. I miei lettori sanno che una certa, corrente accezione di laico non proprio mi si addice; ma…. laicamente mi astengo da ogni commento. Mi limiterò a citare il motto degli Stati Uniti d’America: In God we trust.

Roma, 15 marzo 2015 ( IV domenica di quaresima e, laicamente, 2059° anniversario dell’uccisone di Giulio Cesare)