giovedì 30 marzo 2023

Non multa sed multum

 Deviando dalle parabole

(di Felice Celato)

Pare  (ma non ne ho trovato la citazione) che sant’Ignazio fosse solito predicare – a proposito della conoscenza e della sua acquisizione – non multa sed multum, per dire della necessità di “ruminare” a lungo quanto apprendiamo; in realtà – sempre pare, giacché forse c’è sempre qualcuno che diceva qualcosa prima – la frase trarrebbe origine da una massima latina di Plinio il Giovane (Aiunt enim multum legendum esse, non multa) intendendo con ciò che non sia necessario avere di mira il numero delle nozioni bensì l’approfondimento delle conoscenze e delle culture (fonte: Treccani).

Mi tornava in mente questo concetto leggendo, su Il Foglio di oggi, un articolo dell’ottimo Sergio Belardinelli sull’erronea identificazione del conservatorismo con l’antiliberalismo. Il prof., qui più volte citato per la straordinaria consonanza fra i suoi scritti e le povere opinioni dell’homo mechanicus che redige          queste noterelle, fa una rapido cenno alla nota parabola dei talenti (non è necessario essere un fidelis per averla sentita più volte citare!) notando come, in fondo, essa contenga anche un’esplicita condanna della naturale disposizione degli uomini a conservare ciò che hanno a cuore, spingendoli in molti casi all’eccesso di conservare anziché moltiplicare, come accade all’uomo che sotterra il suo talento. [Mi viene spesso in mente che la stessa parabola, ruminata molte volte, potrebbe anche essere utilizzata per difendere la tanto spesso ingiustamente disprezzata opera dei banchieri: servo malvagio e poltrone, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso? Bisognava dunque che tu avessi depositato i miei denari dai banchieri e io venendo, avrei recuperato il mio con l'interesse (Mt, 25,26-27)].

Nello stesso spirito, in questi giorni, grazie ad amico saggio e benefico, sono tornato a riflettere su uno spunto dell’altrettanto famosa parabola evangelica del buon Samaritano (anche qui: chi non la conosce?). Mi faceva notare Alessandro R.: il buon Samaritano, che si prende cura del viandante rapinato e bastonato dai briganti, dopo aver subito fasciato le sue ferite versandovi sopra olio e vino, lo affida ad un albergatore affinché questo provveda alla sua assistenza e convalescenza, facendosi carico delle spese per tale assistenza (gli anticipa due denari e gli promette di rimborsare quanto eventualmente speso in più per le cure affidategli). Morale che ne traeva Alessandro, che di queste cose se ne intende assai: anche per prendersi cura degli altri, abbiamo spesso bisogno di “intermediari specializzati” (da scegliere con cura, evidentemente!). [ Tutti sanno che Margareth Thatcher traeva dalla parabola, una “sua” morale, in fondo nemmeno sbagliata: nessuno si ricorderebbe del Buon Samaritano se avesse avuto solo buone intenzioni: aveva anche soldi!].

Bene: tutto questo per dire che anche le parabole evangeliche (anzi, ovviamente, soprattutto le parabole evangeliche) se adeguatamente ruminate sono ricche di spunti che vanno còlti, nei loro tanto vasti significati, anche indiretti e laterali; e se ciò vale senz’altro per coloro che – come me – riconoscono la “particolare natura” dei racconti evangelici, può comunque anche valere per coloro che ad essi, tutt’al più, riconoscono la natura di una semplice umana saggezza di un remoto rabbi morto per un palese errore giudiziario, peraltro democraticamente commesso (chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù detto Cristo? Mt. 27, 17)

Roma 30 marzo 2023

 

 

sabato 25 marzo 2023

Letture

La madre di Leonardo

(di Felice Celato)

Eccomi qua, dopo 20 giorni di silenzio fatto di crescenti perplessità sullo stato mentale ed emotivo della “nazione”, a segnalare una lettura molto utile per estraniarsi dal presente, nella storia (lontana). Si tratta di un volume che – se non nascondesse la sottile pro-vocazione di cui dirò appresso – sarebbe forse sfuggita all’attenzione dei mass-media, tumultuanti di trucismi (copyright Il Foglio) e di borborigmi vocali (copyright mio): Il sorriso di Caterina – La madre di Leonardo, di Carlo Vecce (Giunti, 2023, 530 pagine!).

Carlo Vecce, un raffinato studioso della civiltà del Rinascimento (e di Leonardo da Vinci in particolare), non è di mestiere un narratore (per esempio, usa assai poco le forbici, magnifico strumento del narratore) ma, dopo anni di studio dedicato, appunto, alla vita e ad alle opere di Leonardo, ha felicemente scelto di mettere in narrazione la parte delle sue ricerche scientifiche sulle origini familiari di Leonardo; e lo ha fatto, con prosa colta e raffinata, ricostruendo, in molte pagine, la vita di Caterina, della “principessa” circassa (divenuta una schiava italiana), che, sulla base delle sue ricerche, sarebbe la madre del grande genio, vanto mondiale della nostra storia culturale. Il libro ne segue le vicende, dalla fuga dalla sua regione caucasica fino al suo avventuroso arrivo a Firenze. I personaggi che ne accompagnano il difficile viaggio sono, in realtà, un avvincente strumento dell’autore per ripercorrere una buona parte della storia economica e sociale dell’Italia (fra Venezia, Firenze ed il piccolo paese di Vinci) a cavallo fra il XV ed il XVI secolo, sullo sfondo della magnifica figura di donna (Caterina, appunto) che sarebbe la madre del nostro genio. E’ fin troppo chiaro – credo – che il confine fra la narrazione fantastica e la verità storica non è sempre facilmente percepibile da chi, come me, non è assolutamente un esperto della materia; ma la natura dell’autore lascia presumere che la “verità scientifica” della tesi di Vecce sia perfettamente rispettata, come del resto spesso accade per i migliori romanzi storici della letteratura mondiale. 

E dunque una breve considerazione vorrei riservarla proprio al senso contemporaneo di questa “verità scientifica” ed al suo contenuto “pedagogico” in questi nostri tempi di farneticazioni identitarie. Al lettore attento di queste colonnine non può essere sfuggita la duplice citazione (da ultimo in un post del 15 gennaio, Rimuginando…fra politica e culinaria) della feconda natura di ogni incontro con l’altro, che spesso temiamo come fosse il nemico della nostra (supposta) purezza. 

Commenta così, il professor Vecce a conclusione del suo libro, il senso attuale del suo racconto: Trentamila morti così in dieci anni [negli abissi del Mediterraneo], nell'indifferenza totale, mentre a poche miglia di distanza sfilano luccicanti navi da crociera. Ma per molti quei morti non esistono nemmeno, non sono mai esistiti. Se sopravvivono e si adattano a fare gli schiavi a casa nostra qualcuno dirà che sono venuti a rubarci il pane, che sono sporchi, selvaggi, ladri, spacciatori, puttane, e ci portano pure contagio e malattie. È così difficile vedere nell'altro un essere umano?

Pare che la giovane Caterina avesse una spiccata dote naturale per il disegno: che sia “derivata” da lei (la bellissima circassa divenuta schiava nei nostri lidi) la somma maestria di Leonardo, il grande genio della “nostra” storia culturale?

Roma 25 marzo 2023, festa dell’Annunciazione (quando Dio si è “contaminato” nell’uomo)

 

 

domenica 5 marzo 2023

Un ragionamento astruso

La domanda e l’offerta di politica

(di Felice Celato)

Mi pare di aver qui utilizzato altre volte questi concetti di natura…. mercatistica, come direbbero coloro che usano il termine senza ben conoscerlo (chi vuole può guardarsi il temine mercatismo sul Dizionario di Economia e Finanza della Treccani). Tuttavia li chiarisco di nuovo: per “domanda di politica” intendo ciò che “il popolo sovrano” sembra richiedere a chi governa o a chi aspira a farlo in futuro; per “offerta di politica” ciò che ad esso “popolo sovrano” propongono quelli che una volta erano i “leaders politici” (di governo o di opposizione) e che oggi più realisticamente chiameremmo “aspiranti followers politici” o “like-dipendenti compulsivi”.

Torno oggi a fare uso di tali concetti per commentare la situazione (assolutamente nuova per casa nostra ed anche, per quel che ne so, certamente inconsueta un po' in tutto il mondo) in cui l’Italia politica è appena venuta a trovarsi: due donne ai vertici della politica, l’una a capo della coalizione di governo (e del Governo stesso), l’altra a capo della maggiore forza di opposizione. Da convinto eterofilo non posso che compiacermi di questa novità, dalla quale mi aspetto che si sviluppino nuove energie e potenzialità nel piccolo stagno in cui da molti anni viviamo.

Però, volgendomi ai concetti di domanda ed offerta di politica, occorre riconoscere che la “capa” dell’opposizione ha un compito assai più facile di quello della “capa” del Governo. L’incrocio fra la domanda e l’offerta di politica è in democrazia il meccanismo che assicura la “nascita” del prodotto, inteso per tale: per chi sta all’opposizione, la semplice aggregazione del “consenso ad opporsi”; e, per chi governa, la concreta azione politica.

Ora, mentre per il primo (il consenso ad opporsi) il “prodotto atteso” (cioè, appunto, la aggregazione di tale consenso) si giuoca sul piano delle parole, per la seconda (cioè la concreta azione politica)  il “prodotto atteso” si giuoca sul piano dei fatti. E i fatti sono assai più difficili da maneggiare delle parole. 

Non è un caso (credo), che alcuni osservatori della politica italiana (assai più versati di me nella materia) ascrivano a merito della “capa” del Governo una marcata incongruenza fra i fatti messi in campo (diversi dei quali anche a me appaiono adeguati alle esigenze del nostro presente, così come io me lo rappresento) e le posizioni assunte (implicitamente o esplicitamente) quando la stessa “capa” del Governo era semplicemente una autorevole esponente dell’opposizione, intensamente coinvolta nella (politicamente fortunata)  aggregazione del “consenso ad opporsi”.

In questa prospettiva la “capa” del maggior partito di opposizione ha un giuoco estremamente più facile perché ad essa spetterà soltanto la produzione di parole (di solito slogan) atte a pescare nelle confuse acque dell’opposizione quel “consenso ad opporsi” che costituisce la sua (attuale) mission.

Il fatto è – purtroppo – che la domanda di politica che si agita in queste confuse acque (meglio: per fortuna solo in gran parte di esse) mi pare estremamente contraddittoria con le esigenze di un Paese che voglia nutrire serie speranze per il suo futuro; e temo che la “pesca” sarà rivolta proprio alle parti più torbide (politicamente, intendo) di tali acque. 

Fuori di metafora: se la aggregazione di consenso ad opporsi sarà – e credo che necessariamente lo sarà – rivolta a sollecitare la domanda di politica che ingloba (anche) le peggiori statolatrie populistiche che il nostro Paese ha espresso negli anni più recenti, c’è da augurare alla probabile “capa dell’opposizione” un clamoroso insuccesso come tale; oppure – assai meglio per lei – che, all’indomani di un invece possibile successo nella sua attuale mission (i.e.: un futuro successo elettorale che la porti al Governo), sappia poi esprimere la stessa libertà dalle parole che sembra caratterizzi l'attuale “capa” del Governo.

NB: non mi pare di saper esprimere più chiaramente (?)  le mie preoccupazioni sul tortuoso presente; l’unica “certezza” che mi pare resistere alla prova dei tempi è quella che diceva un ignoto sarcastico aforista: la democrazia è il sistema che garantisce che non saremo mai governati meglio di come meritiamo, specie (aggiungo io) in questo tempo di superficiali opinionismi.

Roma 6 marzo 2023