domenica 29 gennaio 2017

Stupi-diario disorientato

Un cartello beffardo
(di Felice Celato)
Stavo angosciosamente mettendo insieme, oggi pomeriggio, le molte ragioni di disorientamento (solo?) che le cronache del mondo mi suggeriscono: Trump e il neo-protezionismo; la premurosa visita della May a quella che fu una figlia dell’Inghilterra (gli USA, appunto); i timori tedeschi di una incipiente guerra americana contro le esportazioni dalla Germania, le possibili contro-misure; la Cina che attende le prime mosse americane; i neo-sovranismi di molte formazioni politiche in Europa; la sospensione dei visti Americani per i cittadini di qualche nazione a religione Mussulmana, i plausi di alcuni, le reazioni dell’ Iran; il nuovo muro al confine Messico-Usa; il blocco all’accettazione di rifugiati in America; la confusione in Libia; le reazioni Italiane alla famosa lettera di Bruxelles; Putin cauto ma molto positivo; la coppia Salvini-Meloni che riempie la piazza al grido Italia-Sovrana; etc.etc.etc.. Persino la Diocesi di Milano, con le sue (si vera sunt exposita) sciocche norme sulla celebrazione degli anniversari matrimoniali ha aggiunto la sua pietruzza al cumulo degli sconforti!
Unica consolazione, mi dicevo: si sta finalmente mettendo ordine nello SMOM!
Dunque stavo facendo questo amaro censimento, quando, alzando gli occhi dallo schermo del deprimente PC, ho scorso – conservato diligentemente su uno scaffale – un beffardo cartello che un amico mi aveva regalato qualche tempo fa, stanco dei miei scontenti e sospettoso di qualche mia (presunta?) preconcetta ostilità verso la sinistra: When nothing goes right, go left. E mi sono detto: chissà che non abbia ragione l’amico!
Così ho pensato bene di dare un’occhiata speranzosa alle cronache politiche italiane, spesso da me ingiustamente (?) neglette; magari – mi sono detto – girando l’attenzione to the left, mi consolo un po’, come vorrebbe l’amico beffardo, e ritrovo quel respiro che il mondo sembra volerci mozzare; e magari trovo, in mezzo a tanta desolazione, quelle ragioni di speranza (intra-mondana) che vado affannosamente cercando. E in effetti, che ti trovo?  Renzi che gesticola scompostamente all’Assemblea degli amministratori locali del PD al grido votiam, votiam, votiamo, per che nessun lo sa!; e, poco sotto, D’Alema, scon-ce-rta-to (così si proclama), che saluta i partecipanti con piglio da stadio lanciando il movimento ConSenso, possibile motore di una scissione a sinistra; più in là, la giovane speranza Martina che individua in Pisapia il possibile homo novus per rilanciare a sinistra.
Bene: ho girato il cartello e ho scelto di ritornare urgentemente alla sola e consolante speranza, quella ultra-mondana!

Roma 29 gennaio 2017

sabato 28 gennaio 2017

Inquietudini occidentali

La “noce” Europea
(di Felice Celato)
Mentre un dodicesimo del 2017 se ne è già andato, forse vale la pena di guardarsi attorno per rendersi conto di come il mondo (soprattutto quello lato sensu occidentale) sia cambiato in questi ultimi inquieti mesi; e di ciò che questo significa per noi, in questo confuso brandello d’Europa. Procediamo in modo concentrico.
Gli USA: rovesciando, come scrive Paul Krugman (New York Times del 27 gennaio), 80 anni di impegno Americano per espandere il commercio internazionale, gli Stati Uniti hanno adottato, con l’elezione di Trump,  una rumorosa politica protezionistica i cui effetti (per gli USA stessi e per il mondo intero) non sappiamo. Possiamo ricorrere all’argomento controfattuale di come il mondo nel suo complesso sia straordinariamente migliorato nello stesso periodo non ostante l’enorme crescita della sua popolazione totale (chi vuole rendersene conto concretamente può accedere ai meravigliosi grafici disponibili sui siti OurWorldInData o su Gapminder); oppure, come appunto fa Krugman con riferimento alla stessa economia USA, possiamo argomentare (sempre attingendo dal passato) che ben presto la stessa white working class si renderà conto di quanto è stata folle a credere che Donald Trump fosse dalla sua parte; ma di più non siamo in grado, ora, di vedere.
L’Europa, da parte sua, anch’essa rovesciando stavolta 60 anni di (sia pur tormentati) passi verso l’integrazione, ha cominciato a sgretolarsi: con la Brexit, senz’altro, ma non solo. L’ala marciante del binomio sovranismo-populismo scuote paesi come l’Olanda, la Francia, l’Italia (senza considerare i paesi di più recente europeismo come la Grecia o l’Ungheria o la Polonia) e, presto, vedremo se anche la Germania. Anche qui, con quali esiti ancora non sappiamo, anche se, sempre controfattualmente, possiamo volgerci indietro verso questo lungo mezzo secolo di pace e di prosperità crescente, nonostante la crisi del 2008; e magari anche inquietarci dei rumori di fucili che si sono uditi, dopo tanti anni, sul suo versante orientale. Ma di più non siamo in grado, ora, di vedere.
L’Italia, per proseguire il moto concentrico, l’Italia, dove invece non si rovescia mai nulla, prosegue infiacchita avvolgendosi sulle proprie verbigerazioni o su consunte certezze statolatriche (*). Nel frattempo voto-non-voto-mamma-non-so; per che cosa, poi, veramente, nessuno lo dice; si sa solo contro chi. Anche qui, non siamo in grado (rectius: non sono in grado) di vedere come andrà a finire; posso immaginarlo ma mi fa male tradurre l’immagine in parole.
Ancora una volta mi viene in mente una lettura di cui abbiamo parlato su questo blog: I sonnambuli, di Christopher Clark: tutti i protagonisti della nostra storia [i prodromi della I Guerra Mondiale] filtravano la realtà mediante narrazioni che erano il prodotto di frammenti di esperienza che si saldavano a paure, proiezioni psicologiche e interessi mascherati sotto forma di massime.
All’origine di questo massiccio “esperimento” occidentale e delle sue propaggini Europee, c’è forse il modo con cui abbiamo vissuto le conseguenze non previste (ma prevedibili) della cosiddetta globalizzazione; e se  c’è un filo rosso che unisce le  pulsioni del nostro mondo, sta, forse, come diceva il WSJ di qualche giorno fa (cfr. Spigolature globaliste del 16 gennaio u.s.), in questo scontro fra self-styled patriots e confounded globalists sugli esiti della globalizzazione. Ma certo la strada scelta per ri-settare il sistema non pare quella giusta, per nessuno e massimamente per l’Europa (e per noi, anche se scelte non ne abbiamo proprio fatte); soprattutto perché sembra evidente che non ne siano state calcolate le conseguenze. Diceva giustamente Alesina sul Corriere della sera di qualche giorno fa: sarebbe utile che chi critica la globalizzazione ci spiegasse cosa vuole esattamente. Se solo Donald Trump ce lo ha detto chiaramente (gli interessi americani davanti a tutto), per noi quale sarebbe l’alternativa? Un’Europa di paesi chiusi in sé stessi che non conterebbero assolutamente nulla nell’equilibrio politico mondiale, stretti (come una noce) fra Putin e Trump, entrambi ben felici di vedere un ulteriore sgretolamento del progetto Europeo?
Roma 28 gennaio 2017

(*) Confesso di essere rimasto stupefatto, giusto l’altro ieri, alla presentazione del 29° Rapporto Italia dell’Eurispes. Cerimonia importante, presenti alti magistrati, molti militari, qualche autorità, studiosi, etc; analisi vasta e documentata (il rapporto “cuba” oltre mille pagine); sintesi del Presidente brillante e interessante. Ricetta finale, con autorità di ogni specie plaudenti: “Più Stato, meno mercato”! Commento: non cresceremo mai!





venerdì 27 gennaio 2017

27 gennaio

Il giorno della memoria
(di Felice Celato)
Nel Giorno della Memoria, nel giorno in cui ci si interroga sui meandri oscuri ove si rinserra la follia dell’uomo, voglio proporvi due passi dal discorso di Benedetto XVI ad Auschwitz del 28 maggio 2006:
Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male? Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Dèstati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!” (Sal 44,20.23-27). Questo grido d’angoscia che l’Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d’aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.
Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l’uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione. No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l’umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l’uomo! E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell’egoismo, della paura degli uomini, dell’indifferenza e dell’opportunismo. Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l’abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall’altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui. Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che  riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti. Il Dio, nel quale noi crediamo, è un Dio della ragione – di una ragione, però, che certamente non è una neutrale matematica dell’universo, ma che è una cosa sola con l’amore, col bene. Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché questa ragione, la ragione dell’amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell’irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio.
Roma 27 gennaio 2017


lunedì 23 gennaio 2017

Letture


Che cosa sa fare l’Italia?
(di Felice Celato)
Eccoci, dunque, tornare seri con una lettura, appunto, seria: di Anna Giunta e Salvatore Rossi Che cosa sa fare l’Italia (Laterza 2017), un libro scritto da due studiosi, ancora una volta, seri (il secondo è anche il Direttore Generale della Banca d’Italia), nel quale, esposte con esemplare chiarezza, si ritrovano analisi tecniche rigorose su quello che è lo stato del motore primo della ricchezza nazionale (le imprese) nonché le proposte conseguenti, per un “tagliando” ormai divenuto di vitale importanza per la sopravvivenza funzionale del motore stesso.
Certamente le analisi sono troppo specialistiche per parlarne qui, se non per accenni super-sintetici; ma, come dicevo, il volume si raccomanda per la sua chiarezza e quindi può essere letto agevolmente anche da non specialisti che abbiano interesse alla materia; le proposte, invece, mi sono parse  interessanti da condividere e magari discutere fra noi, come liberamente si può discutere di proposte in fondo politiche (nel senso alto della parola) dopo (e solo dopo) che si sia capito bene qual è la realtà sottostante (Conoscere per deliberare, come diceva inutilmente ai politici Einaudi qualche tempo fa e come, ne sono certo, ripeterebbe a gran voce anche oggi, forse parimenti inascoltato).
Prima un cenno, per macro-punti, ai risultati delle analisi: “agganciati” (in termini di tassi di produttività e di crescita) i paesi più avanzati fra il 1948 e il 1973, a partire dagli anni ’90 l’Italia ha cominciato a declinare: il mondo cambiava (ICT e globalizzazione) e l’Italia non se ne accorgeva; le caratteristiche delle sue imprese (familismo, bassa produttività e scarsa innovazione) finivano per zavorrare la produzione della ricchezza, via via staccando la nostra economia dal resto del contesto cui pure il paese riteneva di appartenere. Mentre noi ci compiacevamo del volto dell’Italia…bello, sorridente (anche se già allora un po’ fané, un po’ flaccido), le catene globali del valore (espressione produttiva della globalizzazione) vedevano via via l’Italia posizionarsi, in prevalenza, nei segmenti centrali (tipicamente manifatturieri, dove la competizione coi paesi a più basso costo del lavoro si fa più aspra e dove si produce minore valore), senza riuscire a presidiare quelle aree di testa o di coda (tipicamente, ricerca e sviluppo, marketing, diffusione del brand, etc., dove si produce la maggiore ricchezza): aumentano così le imprese perdenti e si rarefanno quelle vincenti (le imprese vincenti sono diventate tali nonostante il paese, le perdenti a causa di esso).
Dunque, si domandano i due autori, che fare in un contesto in cui l’Europa non pare più la chiave risolutiva della nostra rinascita? Ecco, a grandissime linee, le azioni intravviste: far crescere la dimensione media delle imprese, rigenerando le condizioni abilitanti che forse si sono perse nel tempo: un ordinamento giuridico non ostile all’impresa e alle condizioni della sua efficienza, che venga percepito tale anche all’estero (se le norme sono farraginose ed instabili, i cittadini e le imprese non possono prevedere le conseguenze delle loro azioni e le loro iniziative economiche sono frenate; si diffondono la corruzione e l’economia sommersa, a vantaggio dei disonesti); un’ amministrazione pubblica che valga a modificare la percezione negativa che gli imprenditori italiani e stranieri hanno del funzionamento dell’apparato amministrativo; rivedere l’offerta formativa delle nostre scuole (secondarie ed universitarie) per allinearla alla qualità dei sistemi “concorrenti” e alla domanda di competenze delle imprese, per generare capitale umano idoneo per un’economia moderna ed avanzata.
Come si vede da questa carrellata necessariamente grossolana, non siamo lontani dalle conclusioni che ci siamo azzardati ad affacciare qualche volta su queste colonne, come pure dalle indicazioni che sembravano emergere da qualche altra lettura via via “consigliata” (per tutti: P. Capaldo, Pensieri sull’Italia, segnalato in Letture del 12 5 16): sgonfiare l’ipertrofia fiscale e normativa, raddrizzare i labirinti procedurali di cui è disseminato il cammino di chi intraprende, ci farebbe scalare tante posizioni nelle classifiche internazionali del “fare impresa”; avvierebbe un circuito di attese favorevoli che poi si autorealizzano; libererebbe le energie di cui il nostro paese resta ricco, concludono gli autori del libro.
Questo è un anno in cui si hanno molte ragioni per essere inquieti; forse la scena del mondo passa secondo vie che non avevamo immaginato. Potrebbe dunque apparire ozioso volgersi indietro; ma, secondo me, non è ancora del tutto inutile domandarsi come ci siamo condotti fin qui.
Roma 23 gennaio 2017
P.S.: tralascio, qui, di dare un cenno su uno dei più appassionati e appassionanti capitoli del libro: quello dedicato al sistema bancario Italiano ed alle sue perduranti vicende. Si tratta però di un capitolo che, magari i più vicini al tema, sicuramente apprezzeranno.
 

venerdì 20 gennaio 2017

Stupi-diario degli insulti

Profeti scatologici
(di Felice Celato)
No, non è un refuso. Tutti noi che abbiamo frequentato, oltreché le elementari, anche la “dottrina” in parrocchia, sappiamo bene cos’è l’escatologia, cioè quella parte della teologia che si occupa dei destini ultimi dell’uomo (dal greco éskhatos che vuol dire, appunto, ultimo). La scatologia, invece, dal greco skatòs, genitivo di skor, è invece la trattazione – usualmente con intento osceno o volgare – di temi legati alla deiezione. (Potrei anche usare i caratteri greci ma non voglio far sfoggio di maturità classica; basterà dire che skor si scrive con l’omega).
Chiarito questo, vi dico subito che io chiamo “profeti scatologici” quegli stralunati barboni, dall’aria appunto profetica, che, per strada, senza alcuna ragione, scagliano ad alta voce insulti gravemente osceni ai passanti, spesso prendendo di mira solo l’ultimo passato e per qualche secondo, salvo poi immediatamente ripetere la performance col successivo, sempre senza alcuna ragione. Sarà capitato senz’altro anche a voi di sentirsi bersagliato per qualche secondo da una caterva di apostrofi scatologiche – spesso lessicalmente molto interessanti e anche articolate con fantasia – senza alcuna ragione; e noi tutti ascoltiamo, magari sorridiamo, e passiamo oltre, forse pensando anche a che tipo di turbe sia stato sottoposto il “profeta” per esplodere con tanta ostilità e disprezzo contro il primo malcapitato.
Dunque il vostro C.U.R. (Camminatore Urbano Rimuginante) non è stato affatto turbato quando, oggi, passando da piazza del Gesù, è stato preso di mira da una “profetessa scatologica”, assatanatasi nel coprirlo dei più volgari insulti con parole e concetti precisi che non starò qui a riferire. Tenete solo presente che, come dicevo, i concetti erano complessi, inusuali (almeno per quanto ne so) e apparentemente studiati. Ho sorriso, come tutti in questi casi, scambiandomi uno sguardo divertito con qualche altro passante e, ovviamente, non ci ho pensato più.
Ma non starei qui a raccontarvelo, sia pure per farvi - ogni tanto - sorridere, se non fosse accaduto un fatto sorprendente.
Poco meno di un chilometro oltre, all’uscita dal “ghetto” verso ponte Garibaldi, mi sono imbattuto in un altro “profeta scatologico”, un uomo stavolta, che – sempre senza ragione – mi ha sottoposto ad analogo trattamento mirato. Anche qui, pur notata la buffa coincidenza del bis in idem nella stessa giornata, non avrei trovato nulla di cui fare menzione: a Roma ce n’è tanti di barboni stralunati che non dovrebbe essere statisticamente raro trovarne, nella stessa giornata, due della stessa specie “profetica”.
Il fatto è però che non solo i concetti – ripeto: complessi e originali – ma anche le parole erano proprio le stesse usate poco prima con me dalla “profetessa”! Identiche pure nella loro strutturazione!
Scartata per l’assoluta improbabilità la spiegazione convegnistica (tipo: sono convenuti a Roma, magari per un congresso, i membri di una setta “profetica” ispirata ad una comune matrice lessicale e semiologica) ho dovuto, ahimè, ripiegare su una spiegazione di tipo personale: c’è, o magari c’è stato in quel preciso momento, qualcosa in me (o nel mio aspetto) che ha determinato, nella separata valutazione di due autonomi “profeti”, la convergenza su una tipologia di insulti lessicalmente complessa, va bene, ma – soprattutto – mirata e percutant. In particolare un insulto strutturato mi è risultato sconvolgente nella sua ripetizione, perché mirato a “fotografare” un presunto aspetto della mia personalità che – proprio – troverei incompatibile con il peggior concetto che io possa avere di me, anche nei momenti di più acuta auto-disistima.
Di che insulto si tratta? Non posso dirvelo sia per la decenza del luogo (cui molto teniamo) sia ….per il timore che possiate trovarlo azzeccato.
Roma 20 gennaio 2017


P.S. Col prossimo post torniamo seri (ahinoi!), prometto.