giovedì 5 gennaio 2017

Il tempo e la realtà

La rana di Chomsky
(di Felice Celato)
Vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede. Se fosse consentito scherzare col padre Dante (prototipo dell’uomo serio, forse uno degli ultimi, fra gli italiani) oserei dire: sommo padre Dante, perdona questo tuo lontano cultore, ma se ne avvede, l’uom, oh! se se n’avvede! Anche quando s’ode cosa o vede che tegna a sé l’anima volta! O per lo meno: se non se n’avvede, almeno se ne sente (del tempo)… per l’ossa e….per l’umore; anche perché – in questa terra che tu hai tanto amato e fortemente strigliato, più di 700 anni fa – ode e vede cose che tengono, sì, a sé l’anima volta, ma – diresti tu – con  quella angoscia che m’avvacciava un poco ancor la lena(*).
Con questo pensiero mattutino legato – chissà perché – al passare del tempo, ho dato corso – forse per la prima volta quest’anno – alla accurata lettura dei giornali italiani: le nuove tavole della legge grillina, la legge elettorale che non c’è, l’Agenda Calenda, la deflazione, l’authority (popolare, beninteso!) per la verità, la “frenata” degli appalti, l’Alitalia che pensa di sdoppiarsi, la scienza che non è democratica, la crisi della Rai, i ministeri all’Eur….e mi è tornata in mente una frase di tanti anni fa, pronunciata da un politico che ora non ricordo: la casa brucia e nessuno vuole uscire.
Scrive in un bell’articolo su Il Foglio di oggi Nicola Rossi (un economista dal pensiero libero e lucido): il principio di realtà, oltre che enunciato [Rossi parlava dell’affermazione di Calenda: non possiamo più tentare di esorcizzare la gravità della situazione con l’ottimismo, NdA] andrebbe forse anche praticato. Cosa che la classe politica italiana – senza distinzioni – si è puntualmente rifiutata di fare nell’ultimo inconcludente quindicennio. Negando le realtà, come si è fatto nei primi anni del secolo. Rimuovendola, come si è fatto nei tre anni appena trascorsi. E, con tutto il rispetto, buttando la palla in avanti come si fa oggi, promettendo “piani straordinari di rilancio economico e sociale”.
Ma, vogliono uscire gli italiani dalla casa che brucia? O sono tanto ubriachi di fiori di loto che non s’accorgono nemmeno che la casa brucia, come i compagni di Ulisse dimentichi del viaggio?
Dice Calenda (che, come il Bruto di Shakespeare, è certamente un uomo d’onore) noi dovremmo prenderci tutti gli spazi di bilancio che i mercati, e non la Commissione Europea, ci consentono. Aggiungo io, per rendere più ambizioso l’auspicio del ministro: con 213 miliardi di titoli di Stato in scadenza quest’anno e 47 miliardi di interessi da pagare, sempre quest’anno (poco meno di Germania e Francia, direbbe l’inguaribile ottimista; messe insieme, però!)
Mah! Forse (anzi, anche senza il forse) sto diventando vecchio e come ogni vecchio vedo le cose con occhio reso crudo dall’esperienza e smagato dal tempo: secondo me gli Italiani amano il caldo della loro casa, sia che venga da o’sole loro, sia che venga dalle fiamme che già avvolgono i piani bassi: e dunque perché uscirne? Fuori, del resto, c’è tutto ciò che è cattivo, la concorrenza dei mercati ingrata e ignara di tutte le-nostre-eccellenze, l’Europa che non ci aiuta con gli immigrati, la Germania Kattifa (espressione ironicamente e felicemente coniata da Il Foglio) che non vuole l’inflazione creata dagli acquisti di titoli della BCE, la Francia che vuole mangiarsi la sacra italianità della Mediaset, il Mediterraneo che ci inonda di profughi, il mondo che non ci capisce e ci ruba i talenti che – forse in quanto razza superiore – produciamo in quantità inusitata. Se teniamo fuori tutto ciò, se ci dedichiamo magari a creare due monete (perché una non ci basta più), se attribuiamo alla rete il diritto di epurare, se troviamo una legge elettorale che riesca a mandare le elezioni nel senso voluto dalle minoranze relative, se riusciamo a restare i fornitori di vestiti della nuova first lady americana, se riusciamo a ri-nazionalizzare un po’ di banche, se cominciamo a praticare un po’ di espulsioni di massa; se riusciamo a fare tutto questo, che c’importa del mondo?, cantava Rita Pavone nei favolosi anno ‘60.
E allora restiamocene dentro casa; in fondo, la famosa rana di Chomsky stava tanto bene, prima di rendersi conto che l’acqua bolliva!
Roma, 5 gennaio 2017

(*) Tutti i versi danteschi sono tratti dal canto IV del Purgatorio. Dante era tanto preso dall’ascolto della storia di Manfredi che non si era accorto che il sole era già alto. Avvacciava sta per affrettava.

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