Eccezionalmente, in 800 parole!
(di
Felice Celato)
Anche
se il sangue ha colorato l’anno già mentre arrivava, io voglio cominciarlo con una storia incredibilmente bella e significativa. Prima di
raccontarvela, però, voglio dirvi brevemente dove l’ho trovata. Sempre alla
ricerca di dati per formarmi le mie
opinioni al riparo dal pensiero stagnante del nostro inverno culturale, mi sono
imbattuto – su segnalazione di un gruppo di lettura che ogni tanto frequento virtualmente
– in un sito che vi consiglio vivamente di visitare (Our world in data, curato da Max Roser, ricercatore della Oxford Martin School, dell’Università di
Oxford) e in un libro, uscito da poco (per ora esiste solo un’edizione in
inglese, disponibile in e-book), di
Johan Norberg (uno storico dell’economia, di nazionalità Svedese, Senior Fellow del Cato Insitute di Washington) intitolato: Progress: ten reasons to look forward to the future (One world Pubblications, 2016): entrambe
le “fonti” cui ho attinto svolgono ampie indagini storico-economiche,
ricchissime di dati, sull’andamento del
mondo nell’ultimo secolo e forniscono una visione abbastanza confortante dei mega-trend socio-economici del nostro
ambiente umano. (N.B. per i lettori abituali di questo blog: il fatto che il mondo vada meglio di come in molti credono di
percepirlo, non confligge col fatto che, forse, il nostro Paese vada peggio di
come vogliono percepirlo gli inguaribili ottimisti; anzi, per molti
aspetti, rafforza le preoccupazioni che suscita, almeno in me, il nostro
letargo da stanchi mangiatori del loto della nostra politica).
Bene:
nel libro di Rosberg è narrata la storia della straordinaria e rapida evoluzione
dell’agricoltura in Cina. La leadership cinese dei nostri giorni è
giustamente fiera – dice l’autore – della sua odierna agricoltura, dopo che la
Cina era stata a lungo forse lo stato che ha conosciuto le peggiori carestie
della storia del mondo (almeno per endemica ampiezza). Ma la sua vicenda nel tempo ha una radice che vale la pena di
sentirsi narrare perché in qualche modo, secondo me, insegna più cose di tanti
ragionamenti sulla libertà, sulla libertà di intrapresa, sull’innovazione bottom-up, sul rapporto fra lo stato e i
cittadini, sui mali della statolatria,
etc.etc.etc..
Dunque
– racconta Rosberg – in un villaggio dello Xiaogang, nella provincia di Anhui,
dominava la disperazione per le condizioni di vera e propria fame che la
gestione statalizzata dell’agricoltura premurosamente assicurava alle 18
famiglie del villaggio: la gente era costretta a nutrirsi di foglie di pioppo
bollite e a macinare pezzi di corteccia per farne farina. Sicché, nel 1978, la
piccola comunità locale si risolse a dividersi – ovviamente di nascosto delle
autorità statali che vietavano (lì , davvero, severamente) ogni iniziativa privata
– i terreni del comune affinché ciascuna famiglia vi conducesse in autonomia l’attività
agricola che voleva, lavorandoci quanto e quando voleva ed anche investendoci
quanto poteva per far crescere la produzione; unici limiti: la giurata
segretezza dell’iniziativa e la necessità di comunque devolvere al governo
quanto esso si aspettava, in prodotti, per l’uso del terreno dello stato, perché non si “accorgesse” di quanto gli individui andavano preparandosi. Inoltre tutte le
famiglie assumevano l’impegno di sostentare i bambini delle famiglie alle quali
fossero state irrogate le temute sanzioni statali, nel caso in cui “l’inaccettabile”
iniziativa privata fosse venuta alla luce.
Ebbene:
già un anno dopo, la produzione di grano fu sei volte quella dell’anno
precedente e nel 1982 – essendo inevitabilmente venuta alla luce l’impresa delle
18 famiglie – il partito decise di estendere l’esperimento ad altri villaggi,
sicché nel 1984 già il modello era adottato in tutta la Cina. Morale: oggi, una
quarantina d’anni dopo l’iniziativa segreta delle 18 famiglie dello Xiaogang,
la Cina è (dato World Factbook) un leader mondiale per produzione di cereali, cotone, semi di
colza, tè, carne, uova, prodotti acquatici e ortaggi; e ne è anche un forte
esportatore.
Ecco,
questa storia ci accompagni nel 2017 per ricordarci sempre che lo stato è come il
sabato di evangelica memoria: è fatto per l’uomo e non l’uomo per lo stato;
oppure, è come il sale che, in piccole dosi, dà sapore, in grandi, disgusta. E
che – come diceva Thomas Jefferson, 3° Presidente degli Stati Uniti – se fosse Washington a dirci quando seminare
e quando mietere, ben presto ci mancherebbe il pane (*). E che – come
scriveva Alfred Marshall, inglese, uno dei padri del liberalismo moderno – lo stato può stampare un’ottima edizione
delle opere di Shakespeare ma non potrebbe farle scrivere(*). E che - come
scriveva Milton Friedman, statunitense, premio Nobel per l’economia nel 1976 – se facessimo gestire il deserto del Sahara
al governo federale, in capo a cinque anni avremmo scarsità di sabbia(*). E
che, infine, come scriveva Walter Lippmann, politologo americano, il potere dello stato come tale, in sé e
per sé, non produce nulla, non può che distribuire quello che è stato già
prodotto(*).
Roma,
1° gennaio 2017
(*)
Tutte le citazioni sono tratte da Il
liberista tascabile (Istituto Bruno Leoni ed. 2014), manualetto dedicato Ai socialisti di tutti i partiti ma (da me) consigliato a tutti.
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