giovedì 21 novembre 2013

Stupi-diario socio-gastronomico

Ricetta semiseria (con antidoto serio)
(di Felice Celato)
In questo Paese, dove - guardando la Tv – si direbbe che gli Italiani non abbiano altro problema che quello di sperimentare nuove ricette, non poteva mancare, in questo blog che vuole essere à la page, un angolo gastronomico ( sia pure sui generis); eccovi dunque una bella ricetta che potrete sperimentare a casa vostra (perché, come dice il buon presentatore, “la buona cucina la fate voi!”) e gustarla con i sicuri effetti che vi descriveremo.
Intanto occorre avere un frullatore (Devoto-Oli: elettrodomestico con organo rotante per ridurre in poltiglia gli ingredienti di bevande o salse).
Se non lo si ha, un televisore, come vedremo, va bene lo stesso.
Poi si prendono due terrine, mi raccomando di coccio perché bisogna essere semplici e vicini agli usi dei nostri nonni (perché fa tanto glamour d’antan). Nella prima si dispongono a tocchi grossolani (non vale la pena di essere minuziosi) un po' di soluzioni per l'uscita dalla crisi elaborate dal think tank del PD; si aggiungono due o tre profezie di Sel preventivamente lasciate macerare nell'olio (meglio se pugliese) e un bel pizzicotto di meditate opinioni grilline, facili a trovarsi in qualsiasi orticello ( mi raccomando: non esagerate, non è fine! Anche se, da qualche tempo vedo affacciarsi queste opinioni presso persone per altri versi assai fini); poi, mescolando lentamente, aggiungete il succo di discorsi del PdL sulle riforme che non ha potuto fare ( di solito il succo è scarso, ma non vi scoraggiate perché le riforme non fatte sono tante e basta cavarne una goccia da ciascuna per riuscire a dare sapore alle vivande cui si applica il succo). Spruzzare il tutto con un po’ di "coscienza liberal democratica" di Epifani, senza esagerare però perché potrebbe anche non piacere.
Nell'altra terrina si mescolano gli umori ribollenti degli opinionismi istantanei della "rete" (mi raccomando: senza filtrarli preventivamente! Più sono grezzi più aggiungono sapore!) con l'indignazione sulle altrui malefatte che troverete abbondante in ogni praticello, soprattutto vicino ai centri abitati (e dotati di banda larga). Al composto aggiungere - un po' alla volta, per carità! - la capacità di discernimento del nostro coltissimo paese preventivamente mescolata con la capacità di leadership dei nostri politici ( questa può essere difficile trovarla ma è essenziale per il successo della ricetta e se cercate bene, nelle migliori salumerie, la troverete senz'altro, magari usata e certo a caro prezzo!).
Mettere il contenuto delle due terrine nel frullatore ed azionare l'aggeggio per 10 minuti, alla velocità massima (mi raccomando: la velocità è essenziale!): ne verrà fuori una poltiglia melmosa di odore disgustoso (la chiameremo col nome romantico di Italian decline) ma, se riuscite a berla, due effetti sono assicurati: il blocco, immediato, dell'intestino e, progressivo, dell'attività cerebrale.
Se non avete il frullatore, accendete la Tv su un talk show: magari fate in tempo a godervi un ever green, chessò un dibattito sulle telefonate della Cancellieri, che sarà un po' come bere un buon bicchiere del nostro frullato Italian decline, insaporito da pruderies istituzionali.
Se questa ricetta non vi attira ( il che ritengo probabile ed anche auspicabile), prendete un libro e leggete: vi consiglio, stavolta seriamente, due letture antidotiche della ( grande) tradizione culturale ebraica: una raccolta di midrashim sulla Genesi pubblicata da Chirico e curata da Vincenzo Brosco (uno scrittore cattolico) sotto il titolo Shemà Israel ( è forse un libro per ragazzi ma piacerà senz'altro agli adulti più curiosi) e un raffinatissimo  discorso su Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno ( e, più in generale, sul tempo) di Abraham Joshua Heschel (Garzanti editore). Vale la pena di cercare rifugio nel passato, soprattutto quando questo sa parlare al presente con il linguaggio dello spirito, fuori dal tempo e dalle angustie del presente e al di là di ogni recinto culturale ( ma c'è poi un recinto culturale quando noi cattolici parliamo coi nostri fratelli maggiori?).
Roma, 21 novembre 2013

martedì 12 novembre 2013

Letture

Il grande declino
(di Felice Celato)
Eccomi qua con una lettura complessa e impegnativa: Il grande declino, di Niall Ferguson (Mondadori, 2013). Si tratta di una densa sintesi di uno storico contemporaneo che, in una vasta prospettiva globale, si pone la domanda cruciale: “che cosa esattamente è andato storto nel mondo occidentale contemporaneo” dopo tanti secoli di predominio culturale ed economico?
Denso, dicevo, tanto che francamente può sorgere il dubbio che una sintesi tanto vasta possa essere basata su livelli omogenei di accuratezza delle diverse analisi poste alla base di considerazioni tanto impegnative; e tuttavia ricca di stimoli che in qualche mi modo mi hanno colpito per la loro vicinanza con alcune considerazioni che da tempo sono venuto allineando disordinatamente, applicandole al nostro piccolo mondo di paese stanco, come dicevo, da ultimo, nel post del 23 ottobre scorso (L’Italia è stanca), senza pormi l’interrogativo se questa stanchezza sia solo un fenomeno tutto nostro o, piuttosto, di un mondo più vasto (quello lato sensu occidentale) di cui, appunto stancamente, facciamo parte.
Le conclusioni di Ferguson non sono rassicuranti, anzi, per certi aspetti sono addirittura inquietanti, man mano che tenta di “aprire le quattro scatole nere ( la democrazia, il capitalismo, il governo della legge e la società civile) rimaste a lungo sigillate”, per arrivare “a capire la vera natura del nostro declino”; senza di che “sprecheremo soltanto il nostro tempo, applicando finti rimedi a quelli che sono semplici sintomi”. 
Ne cito alcune, prima di soffermarmi, brevemente, su quella che sento più vicina, solo per indicare quanto bene esse si applichino al nostro contesto: (1) “l’eccessivo indebitamento pubblico è un sintomo della rottura del contratto sociale fra le generazioni”; (2) “fra i nemici mortali della legge ci sono le troppe leggi”; (3) “come potrà riformarsi il sistema, se……c’è tanto marcio al suo interno?”(4) “la nostra società civile, un tempo così vivace, si trova ora in una situazione di decadenza non tanto a causa della tecnologia quanto delle eccessive pretese dello Stato”.
Fra queste conclusioni proprio l’ultima, con le sue argomentazioni, mi pare richiami il concetto su cui ci siamo soffermati qualche tempo fa, concetto che qui sintetizzo ancora una volta con le parole di Ferguson: ”Come Tocqueville, anch’io credo che la spontanea attività locale dei cittadini sia migliore dell’azione dello stato centrale, non soltanto per i risultati ma, cosa più importante, per l’effetto che ha su di noi cittadini. Perché la vera cittadinanza non consiste soltanto nel votare, guadagnare e stare dalla parte giusta della legge. Consiste anche nel far parte della ‘truppa’, cioè di un gruppo più ampio della famiglia, perché è proprio questo il luogo in cui impariamo a sviluppare e rispettare le regole di condotta. In breve, ad autogovernarci. Ad educare i nostri figli. A curare gli indifesi. A lottare contro il crimine. A tenere pulite le strade………..Se oggi questa è una posizione conservatrice, pazienza. Un tempo era considerata l’essenza del vero liberalismo.” E ancora: “Noi esseri umani viviamo all’interno di una rete complessa di istituzioni. C’è il Governo. C’è il mercato. C’è la legge. E poi c’è la società civile. Una volta……questa rete funzionava straordinariamente bene e ogni serie di istituzioni completava e rafforzava tutte le altre. E’ stata questa, io credo, la chiave del successo dell’Occidente nel XVIII, XIX e XX secolo. Ma in questo nostro tempo le istituzioni si sono disarticolate. La nostra sfida per i prossimi anni è ripristinarle, invertire ‘il Grande Declino’ e riportare le istituzioni ai principi primi della società veramente liberale”.
Vasto programma, si potrebbe dire. Ma in fondo non troppo lontano da discorsi che ci siamo fatti su questo blog da oltre un anno (il che, sia ben chiaro, non diminuisce la vastità del programma!)

Roma, 12 novembre 2013

domenica 10 novembre 2013

Segnalazioni

Per Isabel
(di Felice Celato)
Chi, fra i lettori di questo blog, ha seguito le mie raccomandazioni letterarie ( e ce ne sarà qualcuno, perbacco!) ed ha letto Requiem di Antoni Tabucchi (vedasi post del 20 marzo 2012), deve leggere anche Per Isabel, questo romanzo postumo, appena uscito da Feltrinelli editore, che, in qualche modo ne è una sorta di blow-up. Isabel è infatti uno dei tanti personaggi di Requiem, uno fra i pochi dei quali si intuisce la dimensione non puramente onirico-letteraria tipica del capolavoro di Tabucchi. Isabel è una donna con la quale l’autore ha probabilmente avuto, nella realtà, una tortuosa storia d’amore, che in Requiem si svela nell’ambiguo dialogo con il poeta Tadeus, anche lui, forse, un reale amico dell’autore e anche lui, forse, un’amante di Isabel.
E’ proprio Tadeus che scrive questa rarefatta indagine metafisica su Isabel e sul suo misterioso destino, quasi come una surreale ricerca alle origini di un incerto senso di colpa che pervade l’intero rapporto dell’autore (Tabucchi) con la misteriosa Isabel.
Tabucchi ha scritto molti libri, alcuni dei quali (non tutti, per la verità) indimenticabili e, fra questi, primo di tutti, Requiem; di questo, Per Isabel riprende non solo la memoria ma anche la straordinaria suggestione fatta di indecifrabili divagazioni lungo i confini fra il reale e l’inquietudine del sognato, fra la concreta esperienza del passato e la sua significazione immaginaria.
Un libro, molto bello, adatto a lettori maturi (intendo dire non solo culturalmente, ma soprattutto….anagraficamente)

Roma, 10 novembre 2013

giovedì 7 novembre 2013

Il ritorno del pendolo?

I valori degli italiani
(di Felice Celato)
Giunta alla terza edizione (la prima dell’86, la seconda del 2011), l’analisi del Censis sui valori degli italiani presentata oggi (la sintesi si può scaricare dal sito del Censis) delinea un passaggio forse decisivo: la crisi antropologica che ha caratterizzato il degrado sociale degli ultimi anni sta forse consumando il suo slancio e, come un pendolo giunto al suo punto morto, si appresta, forse, a liberare energie per un’inversione di tendenza, non priva, peraltro, di pericolose ambivalenze. L’energia potenziale di questa (sperata) nuova dinamica può innescare un poco vitale “ritorno al passato, su sentieri già battuti, alla ricerca di dimensioni più raccolte, più familiari, più protettive e rassicuranti” o forse aprire “percorsi nuovi, di reale collaborazione, di autentica riscoperta dell’altro, di un nuovo modo di lavorare e, perché no, di una ricerca effettiva di dimensioni più alte di vita”.
Su questo bivio si pongono i risultati, per qualche verso incoraggianti, che il Censis, fra mille cautele, si sforza di traguardare, con mirate rilevazioni, come un frutto inatteso del nostro “egoismo stanco”, quasi come se stia nascendo una nuova voglia di essere altruisti, ridisegnando una nuova (e forse antica) gerarchia dei valori per un paese – come ha osservato Massimo Franco che commentava l’analisi – “che ha plasmato se stesso negli ultimi anni nella cultura del conflitto”.
Non è facile, dopo anni di un degrado  che lascia ancora ingombre di sé le nostre convivenze, avviare un’inversione di rotta, per la quale sembrano tuttora mancanti (dice De Rita) tensione e coaguli e rappresentanza. Ma l’energia che naturalmente si accumula alla fine della corsa di un pendolo forse non è priva di una sua positiva consistenza e forse “l’egoismo, la passività, l’irresponsabilità, il materialismo e tutti gli aspetti che hanno caratterizzato il degrado sociale degli ultimi anni…..mostrano di non avere la forza necessaria per andare oltre”.
Vedremo: ancora una volta il Censis sembra voler ragionatamente (e amorosamente) annaffiare i germogli di una speranza, senza tenersene nascosti rischi ed incognite. Ancora una volta, secondo me, vale la pena di seguire con trepidazione gli sprazzi più luminosi, sperando, appunto, che si tratti di un sia pure lento ritorno del sereno.
Roma, 6 dicembre 2013


PS: vale senz’altro la pena di cercare e di leggere il testo completo dell’analisi (credo pubblicata da Marsilio) , come al solito sicuramente ricca di dati interessanti.

domenica 3 novembre 2013

Nel giorno dei morti

Requiem aeternam
(di Felice Celato)
La “festività” dei morti (ed altro, ahimè più vicino) mi hanno portato in questi giorni a riflettere sulla cosiddetta vita eterna, cioè su quanto – nella nostra meravigliosa concezione cristiana – ci aspetta dietro l’angolo della morte. Mi sono convinto, confortato da alcuni passi della difficile enciclica Spe salvi di Benedetto XVI, che il termine che usiamo (la vita eterna, appunto) ha in sé qualcosa di fuorviante perché parla di cose sovrumane con uso di parole umane troppo intrise di atavici significati e di implicazioni sensoriali; e giustapposte come in un sovrumano ossimoro: il concetto di vita ha, infatti, per me, ma credo per tutti, una connotazione spaziale e temporale in sé ineliminabile: io vivo qui ora; e rispetto a questo qui esiste altrove un altrove, come rispetto a questo ora esistono un passato e un futuro, che sono abituato a misurare coi giorni, cioè con l’alternarsi di luce e di buio. L’aggiunta dell’aggettivo eterna può aiutare a guardare oltre le barriere temporali con cui sono abituato a concepire la vita, ma non elimina del tutto le scorie di un concetto spazio/temporale. Non a caso, credo, nel giorno dei morti, preghiamo “requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis” perché ciò che chiediamo non è una “vita” sia pure eterna, fatta di giorni e di notti, di affanni e di gioie; ma, invece, un “riposo” eterno, starei per dire qualcosa che è o può apparire antitetico allo stesso concetto di vita. E lo chiediamo in una dimensione luminosa (lux perpetua) che è anch’essa la negazione della vita misurata dai giorni e dalle notti. Noi chiediamo cioè che si interrompa per sempre la relazione che lega la luce al tempo e che tutto sia luce, al di fuori del tempo; perché, forse, questo è il riposo (requiem), la pace che chiediamo per i nostri morti e, quando ne sarà il tempo, per noi; e che spero per tutti i miei cari che mi hanno preceduto nel passo verso la luce e che nella luce mi attendono senza tempo.

Roma, 2 novembre 2013