Il grande declino
(di Felice Celato)
Eccomi
qua con una lettura complessa e impegnativa: Il grande declino, di Niall Ferguson (Mondadori, 2013). Si tratta
di una densa sintesi di uno storico contemporaneo che, in una vasta prospettiva
globale, si pone la domanda cruciale: “che
cosa esattamente è andato storto nel mondo occidentale contemporaneo” dopo
tanti secoli di predominio culturale ed economico?
Denso,
dicevo, tanto che francamente può sorgere il dubbio che una sintesi tanto vasta
possa essere basata su livelli omogenei di accuratezza delle diverse analisi
poste alla base di considerazioni tanto impegnative; e tuttavia ricca di
stimoli che in qualche mi modo mi hanno colpito per la loro vicinanza con
alcune considerazioni che da tempo sono venuto allineando disordinatamente,
applicandole al nostro piccolo mondo di paese
stanco, come dicevo, da ultimo, nel post
del 23 ottobre scorso (L’Italia è stanca),
senza pormi l’interrogativo se questa stanchezza sia solo un fenomeno tutto
nostro o, piuttosto, di un mondo più vasto (quello lato sensu occidentale) di cui, appunto stancamente, facciamo
parte.
Le
conclusioni di Ferguson non sono rassicuranti, anzi, per certi aspetti sono
addirittura inquietanti, man mano che tenta di “aprire le quattro scatole nere ( la democrazia, il capitalismo, il
governo della legge e la società civile) rimaste
a lungo sigillate”, per arrivare “a
capire la vera natura del nostro declino”; senza di che “sprecheremo soltanto il nostro tempo,
applicando finti rimedi a quelli che sono semplici sintomi”.
Ne
cito alcune, prima di soffermarmi, brevemente, su quella che sento più vicina,
solo per indicare quanto bene esse si applichino al nostro contesto: (1) “l’eccessivo indebitamento pubblico è un
sintomo della rottura del contratto sociale fra le generazioni”; (2) “fra i nemici mortali della legge ci sono le
troppe leggi”; (3) “come potrà
riformarsi il sistema, se……c’è tanto marcio al suo interno?”(4) “la nostra società civile, un tempo così
vivace, si trova ora in una situazione di decadenza non tanto a causa della
tecnologia quanto delle eccessive pretese dello Stato”.
Fra
queste conclusioni proprio l’ultima, con le sue argomentazioni, mi pare
richiami il concetto su cui ci siamo soffermati qualche tempo fa, concetto che
qui sintetizzo ancora una volta con le parole di Ferguson: ”Come Tocqueville, anch’io credo che la
spontanea attività locale dei cittadini sia migliore dell’azione dello stato
centrale, non soltanto per i risultati ma, cosa più importante, per l’effetto
che ha su di noi cittadini. Perché la vera cittadinanza non consiste soltanto
nel votare, guadagnare e stare dalla parte giusta della legge. Consiste anche
nel far parte della ‘truppa’, cioè di un gruppo più ampio della famiglia,
perché è proprio questo il luogo in cui impariamo a sviluppare e rispettare le regole
di condotta. In breve, ad autogovernarci. Ad educare i nostri figli. A curare
gli indifesi. A lottare contro il crimine. A tenere pulite le strade………..Se
oggi questa è una posizione conservatrice, pazienza. Un tempo era considerata
l’essenza del vero liberalismo.” E ancora: “Noi esseri umani viviamo all’interno di una rete complessa di
istituzioni. C’è il Governo. C’è il mercato. C’è la legge. E poi c’è la società
civile. Una volta……questa rete funzionava straordinariamente bene e ogni serie
di istituzioni completava e rafforzava tutte le altre. E’ stata questa, io
credo, la chiave del successo dell’Occidente nel XVIII, XIX e XX secolo. Ma in
questo nostro tempo le istituzioni si sono disarticolate. La nostra sfida per i
prossimi anni è ripristinarle, invertire ‘il Grande Declino’ e riportare le
istituzioni ai principi primi della società veramente liberale”.
Vasto
programma, si potrebbe dire. Ma in fondo non troppo lontano da discorsi che ci
siamo fatti su questo blog da oltre
un anno (il che, sia ben chiaro, non diminuisce la vastità del programma!)
Roma,
12 novembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento