martedì 12 novembre 2013

Letture

Il grande declino
(di Felice Celato)
Eccomi qua con una lettura complessa e impegnativa: Il grande declino, di Niall Ferguson (Mondadori, 2013). Si tratta di una densa sintesi di uno storico contemporaneo che, in una vasta prospettiva globale, si pone la domanda cruciale: “che cosa esattamente è andato storto nel mondo occidentale contemporaneo” dopo tanti secoli di predominio culturale ed economico?
Denso, dicevo, tanto che francamente può sorgere il dubbio che una sintesi tanto vasta possa essere basata su livelli omogenei di accuratezza delle diverse analisi poste alla base di considerazioni tanto impegnative; e tuttavia ricca di stimoli che in qualche mi modo mi hanno colpito per la loro vicinanza con alcune considerazioni che da tempo sono venuto allineando disordinatamente, applicandole al nostro piccolo mondo di paese stanco, come dicevo, da ultimo, nel post del 23 ottobre scorso (L’Italia è stanca), senza pormi l’interrogativo se questa stanchezza sia solo un fenomeno tutto nostro o, piuttosto, di un mondo più vasto (quello lato sensu occidentale) di cui, appunto stancamente, facciamo parte.
Le conclusioni di Ferguson non sono rassicuranti, anzi, per certi aspetti sono addirittura inquietanti, man mano che tenta di “aprire le quattro scatole nere ( la democrazia, il capitalismo, il governo della legge e la società civile) rimaste a lungo sigillate”, per arrivare “a capire la vera natura del nostro declino”; senza di che “sprecheremo soltanto il nostro tempo, applicando finti rimedi a quelli che sono semplici sintomi”. 
Ne cito alcune, prima di soffermarmi, brevemente, su quella che sento più vicina, solo per indicare quanto bene esse si applichino al nostro contesto: (1) “l’eccessivo indebitamento pubblico è un sintomo della rottura del contratto sociale fra le generazioni”; (2) “fra i nemici mortali della legge ci sono le troppe leggi”; (3) “come potrà riformarsi il sistema, se……c’è tanto marcio al suo interno?”(4) “la nostra società civile, un tempo così vivace, si trova ora in una situazione di decadenza non tanto a causa della tecnologia quanto delle eccessive pretese dello Stato”.
Fra queste conclusioni proprio l’ultima, con le sue argomentazioni, mi pare richiami il concetto su cui ci siamo soffermati qualche tempo fa, concetto che qui sintetizzo ancora una volta con le parole di Ferguson: ”Come Tocqueville, anch’io credo che la spontanea attività locale dei cittadini sia migliore dell’azione dello stato centrale, non soltanto per i risultati ma, cosa più importante, per l’effetto che ha su di noi cittadini. Perché la vera cittadinanza non consiste soltanto nel votare, guadagnare e stare dalla parte giusta della legge. Consiste anche nel far parte della ‘truppa’, cioè di un gruppo più ampio della famiglia, perché è proprio questo il luogo in cui impariamo a sviluppare e rispettare le regole di condotta. In breve, ad autogovernarci. Ad educare i nostri figli. A curare gli indifesi. A lottare contro il crimine. A tenere pulite le strade………..Se oggi questa è una posizione conservatrice, pazienza. Un tempo era considerata l’essenza del vero liberalismo.” E ancora: “Noi esseri umani viviamo all’interno di una rete complessa di istituzioni. C’è il Governo. C’è il mercato. C’è la legge. E poi c’è la società civile. Una volta……questa rete funzionava straordinariamente bene e ogni serie di istituzioni completava e rafforzava tutte le altre. E’ stata questa, io credo, la chiave del successo dell’Occidente nel XVIII, XIX e XX secolo. Ma in questo nostro tempo le istituzioni si sono disarticolate. La nostra sfida per i prossimi anni è ripristinarle, invertire ‘il Grande Declino’ e riportare le istituzioni ai principi primi della società veramente liberale”.
Vasto programma, si potrebbe dire. Ma in fondo non troppo lontano da discorsi che ci siamo fatti su questo blog da oltre un anno (il che, sia ben chiaro, non diminuisce la vastità del programma!)

Roma, 12 novembre 2013

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