mercoledì 21 settembre 2011

Divagazioni sulla speranza

Prendendo spunto da una predica.
(di Felice Celato)

Domenica ho ascoltato una bellissima predica, alla chiesa del Gesù di Roma, alle 10 (P. Ottavio De Bertolis SJ, chi non ha ascoltato mai le sue omelie, lo faccia; ne vale … il piacere!) a proposito della parabola degli operai (Mt. 20, 1-16). Chi non la ricorda? [In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. ……. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna……..]



Tante volte l’abbiamo sentita commentare, questa parabola, con riferimento alla liberalità dell’amore di Dio o anche alla “gelosia” di coloro che si ritengono i cristiani “della prima ora”, quelli che erano stati chiamati per primi e che ricevevano niente più del pattuito; stavolta mi ha colpito l’ attenzione dedicata ai chiamati “dell’ultima ora”, a quelli che nessuno ha preso a giornata ma che alla fine ricevono quanto è stato promesso agli altri.


Sono, quelli che nessuno ha preso a giornata, i disperati, quelli che hanno perso la fiducia di essere utili, quelli che hanno cercato ma apparentemente non sono stati trovati; e che quando lo sono (trovati), scoprono di essere stati fin dall’inizio preziosi, forse più preziosi degli operai “della prima ora”. Ma siamo anche tutti noi, tanto spesso, quando perdiamo l’energia della speranza, quando dimentichiamo che le nostre vie non sono le Sue vie (Is. 55, 6-9), quando siamo deboli e non percepiamo che è nella nostra debolezza che si manifesta pienamente la Sua potenza (2 Corinzi, 12, 9-10)


Al di là della bella omelia e del suo svolgimento profondamente spirituale (che non tento nemmeno di sintetizzare; e questo non ne sarebbe nemmeno il luogo!), mi è piaciuto cogliere, in questo momento molto grave per il nostro Paese, il richiamo ad una virtù teologale che è sempre stata, per me, una virtù difficile e, mi permetto di dire, ambigua: che cosa è “lecito” sperare ad un cattolico? Solo ciò che è connesso a ciò che crediamo per fede (Fede è sostanza di cose sperate e argomento delle non parventi, qui Dante traduce San Paolo), cioè il disegno di salvazione che culmina nella vita eterna, dove ogni lacrima sarà asciugata? Ovvero esiste, nel perimetro della nostra fede, anche una speranza “civile”, “umana”, che è connessa ai nostri destini terreni, quando i contorni dell’esistenza si fanno oscuri? Questa speranza “civile”, che pure appare tanto radicata nella teologia della storia nell’Antico Testamento (basta leggere il salmo 121: Il custode di Israele) si è dissolta nella teologia della croce? E alla teologia della croce è estranea una speranza in Dio correlata al dipanarsi delle vicende umane?


Interrogativi molto pesanti, almeno nella mia sensibilità; che senz’altro richiederebbero una profonda preparazione teologica che so bene di non possedere. Eppure mi fa piacere pensare che non sia vano il pregare per le sorti dell’uomo (o di una comunità di uomini), quando tutto sembra bloccato dalle volontà cieche dell’uomo, quando la depravazione ha consumato  i suoi effetti e nulla sembra sorgere all’orizzonte su cui basare una “ragionevole speranza” di redenzione terrena.


Viviamo un tempo molto cupo, almeno da noi; un analista economico che guarda professionalmente alle nostre vicende mi diceva oggi che gli sembra che i nostri sforzi di uscire dal presente in cui ci siamo cacciati gli appaiono un hopeless exercise, un esercizio destinato al fallimento.


Qualcuno potrebbe, forse a ragione, inorridire di fronte a questa commistione di temi. Forse però molti non hanno capito di fronte a quale baratro (economico e civile) siamo arrivati; oppure io leggo le notizie con animo troppo trepidante? E’ fuori luogo che l’unico pensiero che mi si affaccia alla mente è quello della barca travolta dai venti? E allora, mi viene da dire: “Signore, non ti importa che moriamo?


Le ho chiamate, queste riflessioni, “divagazioni sulla speranza”. Già, forse, solo divagazioni della prima giornata d'autunno. Senza senso......speriamo.


21 settembre 2011

lunedì 19 settembre 2011

Stupi-diario amaro

"Il minimo calorico"

(di Felice Celato)


Sul Corriere della sera on line leggo oggi questa notizia:
Solo panino e succo a chi non paga
In mensa ricevono soltanto un panino e un succo di frutta, mentre ai compagni viene servito il pasto completo. Succede ai bambini della scuola elementare di Cesate, da giovedì scorso, dal quando è partito il servizio di refezione. La punizione sarebbe destinata ai genitori, furbetti o semplicemente poveri, che per una ragione o per l'altra non sono in regola con i pagamenti. Ma la vendetta viene servita a bambini dai sei ai dieci anni e proprio in un luogo e in un momento che dovrebbero essere educativi.”


Non voglio commentare il fatto, di per sé non certo confortante né sul piano educativo né su quello sociale (per i disagi che certamente denota).


Ciò che mi ha impressionato sono i commenti: la notizia era delle 12, 05 ; io l'ho vista nella pausa pranzo, diciamo alle 13,15; ebbene c'erano già 44 commenti, la gran parte dei quali improntata alla durezza: bene, era ora!, giusto! giustissimo!,corretto!, finalmente!, la scuola non è beneficienza!, l'azienda che gestisce la mensa non è la Caritas!, chi non paga non ha!, non è che il bimbo muore di fame, ha anche un "minimo calorico" ugualmente concessogli, etc. Le considerazioni a supporto dei commenti “positivi”, espresse quasi tutte con linguaggio mediaticamente convenzionale ( furbetti, buonismo, più controlli, si rivolgano al Premier, magari i genitori hanno il SUV, etc), avevano tutte un sapore di rigorosa razionalità sociale, amministrativa, equitativa, quasi come se l'Italia fosse un paese di perfetti cittadini, potenziali ottimi amministratori e di tassonomici soppesatori di valori.


Non mi interessa nemmeno discutere la fondatezza di questi sistemi di giudizio; solo mi preme notare la quantità di (non cieco, ma) ragionato rancore che la gran parte di questi quasi istantanei commenti trasuda: in molti hanno avuto fretta di gridare il loro punto esclamativo, severo, rigoroso, insofferente di altre ragioni, sommario, inappellabile.


Bene, direbbe un inguaribile ottimista, possiamo stare tranquilli: potremo contare su molti cittadini modello sui quali ricostruire un Paese più giusto! Vedremo.


Male, molto male, dico io che – dicono – sono incline al pessimismo: con quello che ci aspetta in questo tragico autunno, queste dosi massicce di rancore che circolano nel sangue del nostro popolo non possono che portare male, molto male: "E poiché hanno seminato vento raccoglieranno tempesta. Il loro grano sarà senza spiga, se germoglia non darà farina, e se ne produce, la divoreranno gli stranieri "(Osea, 8,7). Spero di sbagliarmi, naturalmente.


19 settembre 2011







lunedì 12 settembre 2011

"Sentinella,quanto resta della notte?"

"Sentinella, quanto resta della notte?" (Isaia, 21,11)
(di Felice Celato)

Leggendo i commenti dei più autorevoli commentatori politici in questi giorni di sospensione ed attesa, mi veniva in mente questo versetto di Isaia  ed il suo enigmatico seguito (Sentinella quanto resta della notte? La sentinella risponde: "Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!") che tanti affanni ha creato agli esegeti.


La famosa manovra non ha ancora completato il suo iter approvativo e già c’è chi ci chiede ulteriori misure “qualora le entrate derivanti dal fisco siano minori di quanto previsto e se vi fossero difficoltà a tagliare la spesa come stabilito” (cfr Corriere della sera.it, oggi, 12 settembre).
E’ possibile che il testo appena citato sia stato scritto qualche giorno prima dell’approvazione dell’ultima versione della manovra; ma è certo – e ne sono testimonianza l’odierno spread sui Bund, salito a 380 bp, ed il costo dei CDS sull’Italia che ha ormai sfondato i 500 bp (cfr Firstonline.info di oggi) – che il nostro Paese soffre di un (inevitabile) deficit di credibilità ancora più grave dei suoi problemi di debito e non ostante la supposta sufficienza contingente delle misure in corso di adozione.

Il problema torna a dimostrarsi per quello che è: la compagine politica (e forse, ancora più profondamente, sociologica) del Paese non appare, a chi la osserva da fuori senza le lenti rosa che ci siamo imposti, adeguata alla natura, alla vastità, alla complessità ed all’urgenza dei problemi che abbiamo tutti insieme di fronte, dopo anni di inutili proclami, dopo tanti impegni solenni, dopo tanti anni di fuga dalla realtà.

Già, quanto resta di questa notte del nostro presente incerto e tormentato? Quanto tempo durerà ancora questa eclissi della verità e della responsabilità che ci impedisce di vedere con chiarezza la strada da percorrere, di valutarne le difficoltà e di commisurarle alla nostra tensione verso il futuro? Per quanto tempo ancora dovremo ascoltare le bugie di cui sono condite le nostre irresponsabili  autorappresentazioni? Per quanto a lungo dovremo nutrirci di rancori reciproci e di artate deviazioni dalla cruda realtà in nome di esigenze elettorali, di clientela, di fazione, di corporazione?

Non riesco a prevederlo; so solo che non riconosco più l’Italia delle sue migliori e non lontane memorie.
Scrive il direttore del Corriere della Sera che dobbiamo e possiamo farcela da soli. Dobbiamo e potremmo, verrebbe di pensare anche a me. Ma solo quando la notte sarà passata. E quando sarà possibile (prima di tutto a noi stessi) di nuovo credere in noi.


12 settembre 2011

mercoledì 7 settembre 2011

Ancora, inevitabilmente, sulla manovra

Manovra "triste"?
(di Felice Celato)


Un (inevitabile) commento breve sulla manovra ormai “in dirittura d’arrivo”, per dirla con una banalità tipicamente televisiva.

Un mio amico l’ha acutamente definita una manovra triste e la definizione mi ha convinto e fatto riflettere.
Perché questa manovra, al di là della sua possibile contingente sufficienza, appare (anche a me) triste? Anzitutto perché ogni manovra che “mette le mani in tasca agli italiani”, come dicono con turpe senso civico alcuni, è per forza triste perché preannuncia sacrifici e sacrificarsi non piace a nessuno. Ma non è questo il senso dell’aggettivazione.
Questa manovra è, ben più a ragione, triste perché:


• essa è frutto di un orrido percorso fatto di veti populisti incrociati. L’Italia ha dato una pessima immagine di sé, prontamente rinfacciataci da molti;


• perché essa rappresenta un’occasione persa: gli Italiani erano aperti, stavolta, a fare i conti con la verità ma l’operazione verità è stata ancora una volta elusa. Sanare problemi patrimoniali (e il debito pubblico eccessivo è un problema patrimoniale di tutti i cittadini) con provvedimenti di conto economico (aumentare il costo di beni aumentando l’IVA è un provvedimento che tocca, per così dire, il conto economico degli italiani) è cosa estremamente ardua che, purtroppo molto spesso non riesce; e il sospetto che la manovra possa non bastare è un sospetto diffuso, che certamente non rallegra chi è chiamato a pagare;


• essa è stata adottata in solitudine da un esecutivo ormai arrivato a fine corsa, in termini di consenso, di credibilità, di prestigio; non è il Governo del futuro ma il Governo del passato, malinconico anch’esso.


La gran parte del significato “strutturale” della manovra è affidato a due leggi costituzionali (abolizione delle province e pareggio di bilancio in costituzione) la cui seria ed equilibrata progettazione appare ben al di là delle capacità di questa classe politica; il loro percorso approvativo è poi complesso ed incerto ed il pericolo di drammatici pastrocchi è fortissimo: si pensi solo alla complessità della costruzione di un vincolo di bilancio che non si riveli una trappola mortale nel caso di cambiamenti radicali dello scenario dei tassi o dello scenario economico. Si dirà: ma lo stanno facendo in molti paesi europei! Vero. E per di più ci viene richiesto con forza da chi non si fida più (forse giustamente) della nostra capacità di autocontrollarci. Vero anche questo. Ma quello che preoccupa della nostra situazione è il contesto civile e culturale che dovrebbe radicare nella nostra costituzione una modifica così rilevante, un contesto non affidante e non tranquillizzante. Spero di sbagliarmi, naturalmente; vedremo presto.


7 settembre 2011

domenica 4 settembre 2011

Stupi-diario

Paghino i ricchi
(di Felice Celato)

Leggendo il giornale del 4 settembre 2011.



Leggendo il Corriere della sera del 4 settembre 2011 (pagina5) apprendo che il Ministro Tremonti ha espresso al 44° congresso delle ACLI il desiderio di portare via un cartello sul quale stava scritto:PAGHINO I RICCHI; “così” ha commentato il Ministro, "tanto per ricordarmelo!”. E il suo desiderio è stato elegantemente esaudito dagli organizzatori, sicché il Ministro ha potuto portare con sé il saggio monito di cui farà sicura memoria.


Giro pagina e vado dunque a pagina 6 e leggo: “Prelievo del 2% sui trasferimenti degli immigrati”. L’emendamento alla manovra,voluto – provate ad indovinare – dalla Lega, esenta “le persone fisiche munite di matricola Inps e codice fiscale”: insomma la nuova tassa è destinata ai ricchi immigrati irregolari; spiegano poi gli esperti di money transfer (stessa pagina del Corriere) che la nuova tassa sarà probabilmente inutile e priva di gettito significativo.


Commento: non sono d’accordo sulle opinioni …. non lusinghiere che il Presidente del Consiglio, in privato, esprime sul Paese che, in pubblico, ha sicuramente l’onore di governare da molti anni, ma credo che le continue e massicce dosi di stupido rancore che continuiamo ad inoculare nella nostra società siano una medicina esiziale per curare il vero male profondo del Paese, ancora più profondo del suo debito: l’occultamento sistematico della verità e la diffusione di grossolani messaggi propagandistici, distruttivi del tessuto civile e culturale di questa povera Italia.


4 Settembre 2011





venerdì 2 settembre 2011

Olimpiadi 2020

(di Felice Celato)
E’ ufficiale: Roma si è candidata per ospitare le Olimpiadi del 2020!



Sere fa, nell’unica rete della Rai che, secondo me, merita di essere seguita (Rai Storia), ho visto, purtroppo solo in parte, un bellissimo servizio, forse di fine anni ’50, nel quale si descriveva la fervida ed operosa preparazione delle Olimpiadi del 1960: il nuovo aeroporto, le nuove vie di comunicazione, il palazzo dello sport, il villaggio olimpico, lo stadio olimpico, etc: un grande sforzo realizzativo, una grande vitalità, una traboccante fiducia nel futuro, l’orgoglio e lo slancio del fare!


Un’altra Italia, mi sono detto, un paese diverso da quello diviso, corrotto, rancoroso, incattivito, sfiduciato in cui viviamo oggi, purtroppo!


Vedo già lo scenario nel quale, Dio non voglia!, ci troveremo affondati qualora dovessimo essere prescelti fra gli altri cinque candidati (Tokyo, Madrid, Istanbul, Doha e Baku): dubbi radicali sulla scelta (perché non spendere i soldi, chessò, per gli ospedali? O per le carceri?), polemiche sui ritorni degli investimenti, aspre contese sulle aree interessate, baruffe paesane sui finanziamenti (perché il Nord dovrebbe finanziare l’iniziativa di Roma?), polemiche violente sui progetti, sospetti sugli appalti, ricorsi sugli appalti, indagini e blocchi di lavori, progressivi slittamenti di tempi e costi, e chi più ne ha più ne metta nel conto preventivo delle consuete lacerazioni con le quali diamo corpo alla macerazione del nostro tessuto civile.


Commentando, su questo blog, alcune delle argomentazioni che fiorivano attorno alle varie posizioni sui recenti referendum, nel giugno scorso, mi domandavo …..crudamente: “siamo cotti?”. Dobbiamo ammettere che la nostra generazione ha accumulato nella società una dose così soverchiante di sfiducia in se stessa da perdere ogni capacità di progettare in grande e di fare bene?


Spero con tutte le forze di no ma temo dannatamente che la risposta sia positiva. Su un tema tutt’affatto diverso (quelle delle manovre finanziarie di luglio,agosto e settembre) lo spettacolo grottesco delle misure esotiche immaginate di sera e abbandonate di mattina ha offerto del nostro Paese un’immagine devastata da populismi ed irresponsabilità, paralizzato dal palleggio dei sacrifici in funzione della protezione dei rispettivi clientes, incosciente delle urgenze e della gravità della situazione. Che cosa ci lascerebbe sperare che nel confronto con un’impresa così impegnativa (sul piano finanziario, realizzativo ed organizzativo) come quella implicata dalle Olimpiadi saremmo capaci di ritrovare gli animal spirits (“una spontanea spinta all’azione piuttosto che all’inazione”, J.M. Keynes) che innervano le grandi imprese (siano esse una serie di grandi realizzazioni o il salvataggio di un Paese affondato nei debiti)?


Leggendo le prime pagine del bellissimo (e per certi aspetti commovente) romanzo dell’Autostrada del Sole, La strada dritta di Francesco Pinto, edito da Mondadori (“il giorno in cui……viene dato inizio ai lavori, non c’è nulla: non un progetto definitivo, non le tecnologie, non le competenze professionali, non i soldi necessari. C’è sola una cosa: il coraggio di pochi uomini capaci di immaginare una via di comunicazione che unisca il Paese”) mi viene in mente quanto oggi sia impensabile un modo siffatto di procedere: non solo e non tanto perché quegli uomini coraggiosi oggi sarebbero “fermati” prima di poter stendere un chilometro di asfalto; ma perché, pur disponendo delle tecnologie e delle competenze professionali, non abbiamo oggi il coraggio di immaginare senza la censura del “chi ce lo fa fare di prenderci questo rischio?”


Ecco, chi ce lo fa fare di prenderci questo rischio? Lo penso anch’io, senza volerlo e con vergogna, di questa impresa olimpica che soverchia grandemente il Paese che siamo oggi! In fondo, se ci saremo, le olimpiadi del 2020 potremo vederle comodamente davanti al televisore nei nostri sempre più spogli salotti di un Paese di terza classe!


[So di certo che, dopo aver letto questo commento alla notizia, i pochi amici lettori di questo blog grideranno, senza scandalo, al mio (presso di loro) ben noto pessimismo. Ho già avvertito che per me pessimismo ed ottimismo non sono altro che i nomi pietosi coi quali tentiamo di esorcizzare la nostra ontologica ignoranza circa il futuro; pertanto,sono andato avanti nella compilazione della nota, nella speranza (tipica dell’ottimista!) di sbagliarmi ma nella temuta presunzione di avere, ahimè!, ragione di preoccuparmi.]


2 Settembre 2011 (spread sui Bund + 330!)