domenica 27 novembre 2022

Nonostante tutto

Avvento 2022

(di Felice Celato)

Da un’omelia di Benedetto XVI (2009) traggo questa citazione, come invito pressante alla speranza, per quanto impervio ci possa apparire il suo percorso hic et nunc.

Il significato dell’espressione “avvento” comprende (….) anche quello di visitatio, che vuol dire semplicemente e propriamente “visita”; in questo caso si tratta di una visita di Dio: Egli entra nella mia vita e vuole rivolgersi a me. Tutti facciamo esperienza, nell’esistenza quotidiana, di avere poco tempo per il Signore e poco tempo pure per noi. Si finisce per essere assorbiti dal “fare”. Non è forse vero che spesso è proprio l’attività a possederci, la società con i suoi molteplici interessi a monopolizzare la nostra attenzione? Non è forse vero che si dedica molto tempo al divertimento e a svaghi di vario genere? A volte le cose ci “travolgono”. L’Avvento, questo tempo liturgico forte che stiamo iniziando, ci invita a sostare in silenzio per capire una presenza. E’ un invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che ha per ognuno di noi. Quanto spesso Dio ci fa percepire qualcosa del suo amore! Tenere, per così dire, un “diario interiore” di questo amore sarebbe un compito bello e salutare per la nostra vita! L’Avvento ci invita e ci stimola a contemplare il Signore presente. La certezza della sua presenza non dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi? Non dovrebbe aiutarci a considerare tutta la nostra esistenza come “visita”, come un modo in cui Egli può venire a noi e diventarci vicino, in ogni situazione?

Altro elemento fondamentale dell’Avvento è l’attesa, attesa che è nello stesso tempo speranza. L’Avvento ci spinge a capire il senso del tempo e della storia come “kairós”, come occasione favorevole per la nostra salvezza. ….L’uomo, nella sua vita, è in costante attesa: quando è bambino vuole crescere, da adulto tende alla realizzazione e al successo, avanzando nell’età, aspira al meritato riposo. Ma arriva il tempo in cui egli scopre di aver sperato troppo poco se, al di là della professione o della posizione sociale, non gli rimane nient’altro da sperare. La speranza segna il cammino dell’umanità, ma per i cristiani essa è animata da una certezza: il Signore è presente nello scorrere della nostra vita, ci accompagna e un giorno asciugherà anche le nostre lacrime. Un giorno, non lontano, tutto troverà il suo compimento nel Regno di Dio, Regno di giustizia e di pace.

Ma ci sono modi molto diversi di attendere. Se il tempo non è riempito da un presente dotato di senso, l’attesa rischia di diventare insopportabile; se si aspetta qualcosa, ma in questo momento non c’è nulla, se il presente cioè rimane vuoto, ogni attimo che passa appare esageratamente lungo, e l’attesa si trasforma in un peso troppo grave, perché il futuro rimane del tutto incerto. Quando invece il tempo è dotato di senso, e in ogni istante percepiamo qualcosa di specifico e di valido, allora la gioia dell’attesa rende il presente più prezioso. Cari fratelli e sorelle, viviamo intensamente il presente dove già ci raggiungono i doni del Signore, viviamolo proiettati verso il futuro, un futuro carico di speranza. L’Avvento cristiano diviene in questo modo occasione per ridestare in noi il senso vero dell’attesa, ritornando al cuore della nostra fede che è il mistero di Cristo, il Messia atteso per lunghi secoli e nato nella povertà di Betlemme. Venendo tra noi, ci ha recato e continua ad offrirci il dono del suo amore e della sua salvezza. Presente tra noi, ci parla in molteplici modi: nella Sacra Scrittura, nell’anno liturgico, nei santi, negli eventi della vita quotidiana, in tutta la creazione, che cambia aspetto a seconda che dietro di essa ci sia Lui o che sia offuscata dalla nebbia di un’incerta origine e di un incerto futuro. A nostra volta, noi possiamo rivolgergli la parola, presentargli le sofferenze che ci affliggono, l’impazienza, le domande che ci sgorgano dal cuore. Siamo certi che ci ascolta sempre! E se Gesù è presente, non esiste più alcun tempo privo di senso e vuoto. Se Lui è presente, possiamo continuare a sperare anche quando gli altri non possono più assicurarci alcun sostegno, anche quando il presente diventa faticoso.

Roma 27 novembre 2022 (I° domenica di Avvento, inizio dell’anno liturgico Cristiano)

 

 

venerdì 18 novembre 2022

Il mantello

Appunti liberal-democratici

(di Felice Celato)

Diciamoci la verità: da qualche tempo (l’avranno notato i miei ventiquattro lettori) non mi va più di scrivere questi post, che pure per tanto tempo hanno costituito il filo conduttore di gradevoli (e interessanti) conversazioni asincrone con amici coi quali vale la pena di scambiare idee e visioni del mondo. Anche se gli stimoli della realtà che ci scorre dattorno (e nella quale scorrono le nostre vite) sarebbero tanti, complessi e sicuramente meritevoli della nostra attenzione (e delle nostre preoccupazioni), il soffermarsi su di essi mi pare un inutile esercizio ansiogeno, destinato ad essere travolto dall’ansia successiva (e anche da qualche rabbia, suscitata persino dalla quotidiana inevitabile lettura di qualche giornale). 

Come mi è stato insegnato, quando il vento è forte e fastidioso meglio avvolgersi nel proprio mantello e tenerselo stretto come se un semplice mantello possa costituire un rassicurante (o illusorio?)  ubi consistam per resistere ai venti.

Con questo spirito, imbottitomi di letture un po' fuori del tempo (per esempio: mi sono appassionato – con varie letture sull’argomento - alla figura di Abramo!), ho rivisitato con me stesso i fondamenti delle mie riflessioni politiche, non per impalcarmi a politologo (quale certamente non sono!), ma solo per confortarmi nei fondamenti della mia cittadinanza mentre spirano i venti.

Questo lungo post (ben più delle circa 750 parole che costituiscono “lo stile” di questi scritti) è una piccola relazione di questa (forse oziosa) rivisitazione.

Cominciamo dalle fondamenta: la nota citazione di Churchill (è stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono finora sperimentate) andrebbe – a mio modo di vedere “ristretta” come segue: la democrazia liberale è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono finora sperimentate. “Ristretta” perché mi pare che la storia anche recente abbia chiaramente insegnato che possono ben sussistere democrazie illiberali, nelle quali, appunto, la democrazia è un mero meccanismo procedurale di formazione del potere all’interno di una comunità, meccanismo che, come noto (vedasi da ultimo il post Lessico e nuvole del 18 settembre u.s.) può essere anche radicalmente disgiunto dall’essenza liberale dei fondamenti statuali

Da un recente libro di F. Fukuyama (Il liberalismo e i suoi oppositori, Utet, 2022) traggo questa citazione del filosofo inglese John Gray: comune a tutte le varianti della tradizione liberale è una concezione tipicamente moderna di uomo e società […]. Sicché il liberalismo è individualista in quanto asserisce il primato della persona rispetto alle pretese di qualsiasi collettività sociale; egualitario nella misura in cui attribuisce a tutti gli uomini il medesimo status morale (….); universalista perché afferma l'unità morale della specie umana e attribuisce un'importanza secondaria alle differenze storiche fra società e forme culturali specifiche; e migliorista poiché considera tutte le istituzioni sociali e le strutture politiche passibili di miglioramenti e correzioni. 

Dunque – secondo il filosofo inglese non certo noto per le sue piene simpatie verso il liberalismo – è liberale quella democrazia che possa dirsi ad un tempo individualista, egualitaria, universalista e migliorista (nel senso appena detto).

Personalmente sono portato a riformulare (e semplificare) questi principi in termini che mi paiono più adatti al tempo ed ai contesti attuali. E quindi ad individuare come segue i tre punti cadine del “mio” liberalismo: (1) il primato e la centralità dell’individuo come elemento base della società; (2) l’iniziativa privata e il libero mercato come insostituibili strumenti di produzione della ricchezza e del benessere materiale dei cittadini; (3) lo stato – disciplinato nei suoi poteri dalla rule of law – come organizzazione degli individui per collettivamente essere difesi, per gestire l’amministrazione della giustizia, per tutelare il buon funzionamento del mercato, per legiferare (secondo procedure democratiche) in materia di convivenza civile nel quadro Costituzionale, per amministrare i beni pubblici, per gestire i rapporti internazionali, per regolare la fiscalità (senza pregiudicare il funzionamento dei mercati) e la previdenza sociale (nelle sue varie forme, finanziariamente sostenibili), per tutelare i più deboli (anche gestendo – sia pure in forma aperta alla concorrenza – scuola e sanità).

Per definire meglio il quadro nei contesti attuali, sembra opportuno soffermarsi sul tema della giustizia lato sensu (che in fondo, mi pare, costituisca il senso politico del profilo egualitario del liberalismo moderno), perché esso consente di inquadrare il tema degli equilibri sociali di cui anche il liberalismo più puro finisce per avere bisogno (se si vuole il concetto è quello del liberalismo inclusivo, di cui parlano Salvati & Dilmore in Liberalismo inclusivo, Feltrinelli 2021). Eccoci allora a quelle che io chiamo le tre giustizie politiche:

La giustizia commutativa

  • Il suo presupposto è il libero incontro fra la domanda e l’offerta di beni fra gli attori per la produzione della ricchezza.
  • I suoi strumenti sono il contratto ed il prezzo. Il suo “luogo” è il mercato.
  • Lo Stato ha il dovere e l’interesse a tutelarne il corretto funzionamento per la maggiore produzione di ricchezza e di benessere materiale dei suoi cittadini.

La giustizia distributiva

  • Il suo presupposto sta nella responsabilità morale dello Stato di tutelare i più deboli assicurando una efficace (e ragionevole) distribuzione della ricchezza prodotta dal mercato.
  • Il suo strumento principe è la tassazione.
  • Lo Stato ha il dovere e l’interesse di fare in modo che un’eccessiva tassazione non “deprima” il funzionamento del mercato.

La giustizia sociale

  • Anche qui, il  suo presupposto sta nella responsabilità morale dello Stato di tutelare i più deboli assicurando una efficace (e ragionevole) distribuzione della ricchezza prodotta dal mercato nonché un'accessibile parità di opportunità.
  • I suoi strumenti sono molteplici: la previdenza pubblica, l’accesso universale all’istruzione ed alla sanità, etc
  • Lo Stato ha il dovere e l’interesse a far sì che gli strumenti che usa siano, oltreché finanziariamente sostenibili, anche compatibili con la produzione di ricchezza e di benessere materiale da parte del mercato a beneficio dei suoi cittadini.

NB. Non esiste un interesse dello stato diverso da quello dei suoi cittadini.

Lo Stato, il produttore delle norme di primo grado all’interno della norma fondamentale (Costituzione) e della legislazione comunitaria che da questa trae legittimazione, ha inoltre, come già detto, il dovere e l’interesse a tutelare il corretto funzionamento dei mercati, perché essi sono la “macchina” che fa funzionare la produzione della ricchezza e del benessere materiale dei suoi cittadini (senza la quale anche la democrazia è a rischio).

Questo è il mio mantello per i tempi ventosi (del resto il mantello è un soprabito fuori moda, in uso ormai solo a qualche vecchio paesano).

Roma, 18 novembre 2022

(poco più di 1000 parole, comprese queste)

venerdì 4 novembre 2022

Segnalazione

Un libro…non ancora letto

(di Felice Celato)

Eccomi qua, dopo qualche settimana di perplesso silenzio, a fare una cosa che – se non fosse “giustificata” come dirò – suonerebbe assolutamente fatua: segnalo a tutti i miei 24 lettori (con piena convinzione di fare una cosa “intelligente”) un libro che non ho ancora letto, l’ho appena sfogliato, anche perché è appena uscito “per i tipi” di un raffinato editore (Cantagalli): si tratta del libro L’inesauribile superficie delle cose, di Sergio Belardinelli.

Veniamo alla “giustificazione”: il libro de quo non è altro che una raccolta degli articoli che l’acuto professore di sociologia dei processi culturali presso l’Università di Bologna ha scritto per Il Foglio, il giornale che leggo ogni giorno, insieme ad altri, ma l’unico, ormai, che leggo con piacere della lettura. E dunque gli articoli che costituiscono la silloge li ho tutti via via letti e tutti molto apprezzati per l’afflato culturale che mi lega (da umile homo mechanicus) a questo intellettuale appartenente alla sparuta schiera dei liberali & cattolici, della quale (sempre da umile homo mechanicus) mi onoro di sentirmi parte. [Sento già alcuni amici, specie i più giovani, mormorare: eh! vabbè! Belardinelli ha più o meno la tua età, è marchigiano come te, come te è nato e vissuto in un piccolo paese, vicino al tuo! Non nego che questi elementi biografici me l’abbiano reso ancora più “simpatico”, Sergio Belardinelli; ma posso dire di aver letto molti suoi libri – compresi quelli di narrativa – e di averli sempre apprezzati proprio per quell’affinità valoriale che mi pare di sentire con lui].

Torniamo al libro, usando alcune delle parole del prefatore (Matteo Matzuzzi, capo redattore de il Foglio): aderire alla “superficie delle cose”, come da titolo della raccolta, significa semplicemente senza (..) cercare significati nascosti o una complessità che il nostro secolo avverte come doverosa ma che, il più delle volte, non ha ragion d’essere. E ciò che un tempo si sarebbe detto banale, oggi è semplicemente la rappresentazione delle cose così come sono. Non sempre c’è un complotto, un senso da scoprire, una chiave nascosta. La realtà, spesso, è quella che ci appare e ci cattura con la sua franchezza. È questo il filo conduttore dei testi qui riproposti, che toccano sì molteplici temi, ma che hanno sempre al centro della riflessione l’uomo. L’uomo per come è oggi, smarrito e confuso, preda di mille e più tentazioni e stimoli, disorientato e spesso incapace di riconoscere un senso alla propria esistenza.

E alcune parole dell’autore quando “introduce” il suo libro: Il titolo che ho scelto per questa raccolta, L’inesauribile superficie delle cose, esprime bene una serie di raccomandazioni che, più o meno consapevolmente, mi hanno accompagnato fin da quando andavo al Liceo: mai guardare che cosa c’è sotto o dietro la realtà per comprenderla: ciò che si vede, la superficie, è sempre più che sufficiente; …. Come sintesi mirabile di tutto questo valgano le parole del signor Palomar di Italo Calvino: “Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile”.

Credo e spero che gli articoli qui raccolti esprimano bene il senso di questa adesione alla “superficie delle cose”, che considero non soltanto l’antidoto più efficace rispetto al rischio di confondere la realtà coi nostri desideri, ma anche un invito a prendere le cose con leggerezza, un modo di sentirci a casa nel mondo che abitiamo, nonostante tutte le possibili brutture, in barba a qualsiasi dietrologia o complottismo.

Attraversiamo un periodo difficile della nostra storia... Eppure proprio in questo tempo sembra crescere la consapevolezza di quanto sia grande il privilegio di essere europei. La libertà e la dignità di ogni uomo, le istituzioni liberaldemocratiche che ne sono scaturite, la volontà di difenderle anche a costo di duri sacrifici sono segni di una cultura, quella europea occidentale, della quale il mondo intero ha urgente bisogno. Il mondo ha bisogno dell’universalità inclusiva che irradia dall’uomo europeo. L’augurio è che questo libro, pur con leggerezza, possa offrire al lettore qualche motivo di riflessione e di speranza, al riparo dalle faziosità che sempre si accompagnano ai momenti cruciali della storia.

Anche chi, come me, avesse letto gli articoli di Belardinelli quando sono usciti su Il Foglio, troverà senz’altro interessante rileggerli, l’uno di seguito all’altro: diceva un mio lontano professore di Italiano che il bello dei giornali è anche quello di rileggerli quando il tempo li ha stagionati.

Roma, 4 novembre 2022