lunedì 26 novembre 2012

Mugugni


Primarie e secondarie
(di Felice Celato)

Nel giorno dei peana sulle primarie (prova di maturità, grande partecipazione di popolo, domanda di politica, e via salmodiando) vorrei fare alcune considerazioni sulle quali (lo dico subito: tristemente) ragionare.
Come forse qualche volta mi è capitato di lasciar capire, in principio non amo le primarie (anche se, di nuovo lo dico subito, vi ho partecipato sia pure coi…..mugugni di cui in appresso).
Ritengo, infatti, che i corpi intermedi (partiti, sindacati, etc) debbano saper fare il loro mestiere (nel quale rientra quello di selezionare efficacemente la propria classe dirigente) senza dissolvere la loro “intermedietà” in continui ricorsi al popolo, che, lo sappiamo si fa spesso preda delle proprie emozioni. Ma tant’è: se non c’è altro modo per far funzionare i partiti, allora andiamo pure alle primarie! Così, alla fin fine, ho partecipato ritenendo soprattutto che – in questi momenti di populismi ed assenteismi – fosse opportuno dare un messaggio di partecipazione, sia pure ad una “competizione democratica” non esente, a mio modo di vedere, da diverse e pesanti censure.
A scanso di equivoci, la prima “tornata” è stata – al di là delle retoriche magniloquenti – un medio successo: se sono veri i dati che ho letto sui giornali ha votato meno del 70% di quanti votarono nelle primarie del 2005 che, peraltro, non portarono bene al paese. Inoltre la distribuzione dei voti, così come appare dalla scomposizione dei dati per regione, ha risentito di localismi tipicamente italiani che non lasciano presagire nulla di buono.
Ora dopo la prima “tornata” ci accingiamo al barocco passaggio del ballottaggio dove chi meno ha avuto (di voti) conterà di più trasformandosi da concorrente in contributore di voti. E così questa “tornata secondaria di coalizione” si farà essa stessa primaria di partito, lasciando poi però agli “alleati” (spero di sbagliarmi) più o meno la stessa autonomia che, per esempio, Rifondazione Comunista utilizzò così bene nel recente passato. In questa settimana vivremo dunque l’ulteriore sceneggiata di uno (se non addirittura di tutti e due i candidati espressione del PD) che si agiterà per innestare nelle linee di partito quelle di un altro partito (SEL), permodoché – per rispetto del popolo sovrano di coalizione – diffonderà al meglio le “tossine politiche” di inconciliabili visioni del mondo (e dell’Italia e dei suoi mali e delle sue urgenze) all’interno di un partito che già deve fare i salti mortali per tenere insieme le sue componenti cattoliche con quelle più propriamente di sinistra (ora moderata e già post-comunista). E il Centro Sinistra  diventerà di nuovo quel guazzabuglio di confuse pulsioni che fu la maggioranza Prodi del 2006.
Se è vero che historia magistra vitae, possibile che noi non si riesca mai ad uscire dalla coazione a ripetere sempre gli errori già fatti?
As usual, spero di sbagliarmi!

Roma 26 novembre 2012

sabato 24 novembre 2012

Stupi-diario della violenza



Manifestazioni non violente
(di Felice Celato)

Oggi giornata di manifestazioni  a Roma. Tutti temevano per l’ordine pubblico. Roma era “blindata” come dicono i bravi giornalisti.
Fra gli striscioni dei manifestanti che ho visto scorrere in TV, mi ha colpito quello, anche spiritoso, in cui era scritto: “Siamo venuti già MENATI”.
Infatti le manifestazioni sono state pacifiche (cioè senza gli incidenti violenti che avevano caratterizzato quelle della settimana scorsa; se questo vuol dire pacifiche), non ostante che molti dei manifestanti fossero espressione di gruppi non proprio (o non sempre) pacifici.
C’è stato anche – abbondantemente ripreso sempre dalle TV – un caloroso abbraccio fra una manifestante ed un poliziotto! Bene, molto bene.
Che questo voglia dire che le botte (che sono sempre un male, ovviamente!) hanno fatto bene?
Speriamo di no, ma il dubbio è legittimo.
Roma 24 novembre 2012

giovedì 22 novembre 2012

Piccoli equivoci quotidiani


Un episodio divertente
(di Felice Celato)
Chi mi conosce sa bene che da sempre (vi assicuro che non è – almeno questo – un frutto dell’età!) fatico molto a riconoscere prontamente le persone che incontro: non ho, di solito, problemi coi nomi ma ne ho moltissimi coi volti!
Ebbene: mentre venivo via da piazza Fiume, mi sono fermato un momento in un angolo della piazza, per mandare uno dei miei messaggini provocatori al paziente amico A., quando, con la coda dell’occhio noto, sotto di me, due anziane, piccole e distinte signore che, con viso cordiale, mi guardavano di sottinsù ed esclamavano gioiose, quasi in coro: “Oh! Eccolo qua, il nostro…. (e qui, un nome proprio, molto simile al mio)!”
Ormai maestro delle tecniche utili a dissimulare il mio vuoto di memoria (stimo di riconoscere non più del 20% delle persone che conosco e che meno della metà dell’altro 80 % si accorga che non l'ho riconosciuta), con cordialità che mi pareva adeguata al tono di chi mi si rivolgeva, ho prontamente risposto: “Oh! Eccole qua tutt’e due!”, avendo rapidamente stimato – come sono abituato a fare in questi casi – che: (1) entrambe le due anziane signore facessero mostra di conoscermi bene e di trattarmi, congiuntamente, con confidenza che giustificava un tono parimenti cordiale; (2) il piccolo errore nel nome potesse essere frutto della loro anzianità.
Mentre le due si stavano per slanciare in un confidenziale abbraccio (io sono diventato goffo nell’accedere al romanissimo eccesso di abbracci e quindi, fortunatamente, sono stato lento nel corrispondere allo slancio!), improvvisamente si sono fermate e, una delle due mi fa: “No, scusi tanto, ci siamo sbagliate, l’abbiamo scambiata per un nostro amico!....ma, scusi, lei, per chi ci ha preso?”
“Beh! Lo confesso: nemmeno io avevo chiaro chi foste!” ho risposto candidamente.
Al che, la più anziana commenta: “Andiamo bene!”, e se ne è andata, insieme alla sua amica, lasciandomi l’impressione che avessero equivocato la mia cordialità come un tentativo di “rimorchio”, vi assicuro totalmente incongruo sia per l’età delle signore che….per lo stile di vita mio (e, forse, anche per l’età).
Roma 22 novembre 2012

domenica 18 novembre 2012

Si può cambiare la legge di gravità?


Wile Coyote
(di Felice Celato)
In un’occasione che non menzionerò (in fondo Felice Celato si compiace di questo suo lieve anonimato) ho ascoltato la presentazione di un volumetto (R. Abravanel e L. D’Agnese: Italia cresci o esci, Garzanti, 2012) non nuovissimo nemmeno nei contenuti ma denso di tesi (esposte organicamente, con grande semplicità ed anche efficacia) che collimano, non certamente in ogni dettaglio ma di sicuro nella tesi di fondo, con quelle che da tempo discutiamo fra noi: la crisi italiana, ben prima di essere economica e finanziaria, è anzitutto culturale e perciò, direbbe De Rita, “di lunga deriva” (e anche di lunga storia, ormai trentennale).
Questa constatazione, che fa giustizia dei tanti “miti della crisi” che partiti politici, sindacalisti e (spesso) media ci propinano con irresponsabile disprezzo della “verità”, pone davanti a noi uno scenario molto più problematico di quello che sarebbe se ci soffermassimo a credere che la manifestazione economica e finanziaria della crisi, anziché essere l'epifenomeno della crisi, ne sia la sostanza. E ciò perché, la crisi culturale, quando si “incista” nella società diviene inevitabilmente sociologica; e quando, divenuta sociologica, si “incista” nelle mentalità, rischia di diventare antropologica. E l’uscita da una crisi antropologica è assai più complicata dell’uscita da una crisi finanziaria o economica, perché esige, appunto, un cambio delle mentalità (o, se si vuole, della cultura del Paese). [Per i curiosi, aggiungerò che la tesi di fondo del libro mi pare essere quella che occorre investire sui giovani; non a caso – giusto o sbagliato che sia – gli autori mi sono sembrati, per dirla col linguaggio sciatto e approssimativo dei politicanti, anche Renziani convinti!].
Sempre attento alle retoriche politiche correnti in questa interminabile e ancora lunga campagna elettorale, farei un esempio di come, a sinistra soprattutto, si “imbroglino” le carte: si dice, ormai da tutti ma soprattutto a sinistra, che “occorre che il Governo faccia qualcosa per lo sviluppo” anziché concentrarsi sulla odiata “austerità”. Bene, ora ragioniamoci sopra: direi, sommariamente, che un governo di un Paese occidentale ha sostanzialmente tre strade per spingere sullo sviluppo anziché sull’austerità: (1) fare investimenti (a debito) per stimolare, Keynesianamente, l’economia; (2) ridurre le tasse, sempre per stimolare l’economia aumentando la capacità di spesa dei governati (e quindi la domanda interna); (3) privatizzare e liberalizzare i mercati quanto più possibile, per stimolare gli “animal spirits” dei governati. Ora: i punti 1 e 2 non sono compatibili con le condizioni della nostra finanza (per dirla con Krugman – Fuori da questa crisi, adesso, Garzanti 2012 – noi stiamo vivendo un “momento di Minsky”, che è quel “momento”, appunto descritto dall’economista Minsky, in cui, improvvisamente e per le ragioni più particolari,  i creditori si rendono conto che un determinato debito non è più sostenibile; come, dice Krugman, Wile Coyote, “il noto personaggio dei cartoni animati che cade da una rupe, resta un attimo sospeso nel vuoto e poi guarda giù: solo a quel punto, per una legge fisica dei cartoni animati, precipita nell’abisso”); e, il punto 3, siamo sicuri che i “padroni ideologici” della sinistra, Vendola e Camusso, lo vorrebbero?
E allora, a che serve invocare dal governo, con generica ritualità, sviluppo e non austerità, se non a confondere le idee del “popolo sovrano” propinandogli una ricetta che non si trova nella farmacia di cui disponiamo?
Se il problema è, come da tempo io credo (e come sembrano credere gli autori citati all’inizio), culturale prima che economico e finanziario, non sarebbe ben più appropriato dire che per fare sviluppo occorre lavorare, a fondo e nel tempo, per “cambiare gli Italiani” (così, mi pare, abbia detto una volta Monti)? E, anzitutto, dire loro la verità sulla storia viziata del nostro declino? E – questa è una mia tesi, non nuova per i lettori del blog – proporre loro la ricetta  del vicendevole perdono per i tanti errori fatti DA TUTTI nel periodo del nostro declino?
O è meglio far credere agli Italiani, con l’ approccio del tanto vituperato Berlusconi, che una volta al governo, sarà possibile alla sinistra sfidare la legge di gravità, come tenta di fare Wile Coyote quando cade dalla rupe?
Roma, 18 novembre 2012

mercoledì 7 novembre 2012

Letture


Due segnalazioni
(di Felice Celato)
1.
Chi si è interessato al “mini-dibattito” che abbiamo cominciato fra noi su questo blog (e per la verità, poi, in larga misura, proseguito in…sede conviviale) sul tema di cui ai due post Ecologia della convivenza/2 del 5 aprile 2012 (che segnalava il saggio di G. Cucci e A. Monda L’arazzo rovesciato. L’enigma del male) ed Ecologia della convivenza /3 del 20 agosto 2012 (che ritornava sul tema dell’enigma del male dal punto di vista antropologico, partendo da La banalità del male di Hannah Arendt) troverà molto interessante leggere il romanzo La parte dell’altro di Eric-Emanuel Schmitt, uno straordinario scrittore francese da me più volte segnalato e raccomandato.
Del “messaggio” del libro è molto difficile parlare in poche righe perché centrato su un tema vastissimo ed affascinante (appunto quello del male e delle sue dinamiche umane) con una tesi di fondo che è forse difficile da accettare ma certamente anche da respingere. Tuttavia si può intuirlo dalla storia stessa del romanzo (perché, beninteso, di un romanzo si tratta, non di un saggio di antropologia) che tenterò di riassumere in poche parole: all’Accademia di Belle Arti di Vienna, nell’ottobre del 1908, si presentano per l’esame ammissione due persone dalle storie psicologiche molto simili: Adolf Hitler e Adolf H.; l’uno, Adolf Hitler, viene respinto, l’altro, Adolf H., viene ammesso. Da questa banale coincidenza cronologica si dipartono due storie di vita che porteranno assai lontano i due personaggi, il primo verso, appunto, la storia tragica del dittatore tedesco, l’altro verso una più anonima carriera di artista e insegnante di arte.
Il libro è piuttosto lungo ( e forse sapete che personalmente non amo i romanzi troppo lunghi) ma la narrazione alternata delle vicende dei due personaggi nel tempo rimane sempre tesa ed avvincente; sicché il testo scorre via appassionante, senza stancare quasi mai, ricco di riferimenti alla storia vera del dittatore tedesco, del quale anzi viene tracciato un ritratto psicologico certamente ricco di spunti di riflessione. Mi è restato qualche dubbio sulla probabilità di alcune situazioni ma non è rilavante ai fini del “messaggio”.
Tutta qui, questa segnalazione; sul tema di fondo non vorrei tornare qui, avendone, tutto sommato, già parlato in misura più che larga, considerati i limiti propri del “mezzo” blog. Posso dire solo che la visione del romanziere e drammaturgo francese conforta pienamente le (provvisorie) conclusioni cui ero giunto leggendo i ben più consistenti saggi sopra richiamati.
Buona lettura (agli interessati): non resteranno delusi, ne sono convinto.
2.
Di tutt’altra natura è il piccolo libro di John Maynard Keynes Le mie prime convinzioni (Adelphi) che raccoglie due testi (con brevi saggi introduttivi): il primo (Melchior, un nemico sconfitto) è un interessantissimo e pungente resoconto che il grande economista scrisse all’indomani della sua partecipazione come “tecnico” della delegazione Inglese alla Conferenza di Pace di Parigi (1919) che poi finì per diventare la premessa della Seconda Guerra Mondiale; il secondo, invece, quello che dà il titolo alla raccolta, è un più oscuro scritto, di medio interesse, destinato a pochi amici, nel quale Keynes dà conto di alcune sue riflessioni sulle idee che circolavano a Cambridge a cavallo fra le due guerre.
Roma, 7 novembre 2012