domenica 4 novembre 2012

Gli Italiani e i partiti politici



….e i partiti politici e gli Italiani
(di Felice Celato)
Che cosa pensino (o pensi) dei partiti politici (la maggioranza de)gli Italiani è chiaro e, credo, non bisognoso di estesa documentazione: basta la quotidiana lettura dei giornali (e dell’”opinionismo istantaneo” che, purtroppo, vi trova ospitalità, come, del resto, negli altri media) o una semplice conversazione al bar (o da bar) per convincersi del diffuso (e confuso) grado di discredito e di sfiducia che circonda questi “corpi intermedi” di cui, pure, indubbiamente, c’è necessità per governare – senza ancora più pericolosi assemblearismi – la democrazia di un paese che vorrebbe essere moderno. E non è necessario nemmeno fare congetture sui possibili livelli di assenteismo che caratterizzeranno le prossime elezioni politiche né considerare il ritmo di crescita delle retoriche populiste e spesso anti-partitiche per essere seriamente preoccupati, appunto, dell’opinione degli Italiani sui partiti politici in generale, starei per dire senza distinzioni (il che potrebbe anche essere ingiusto e sommario ma, credo, è).
Prima di andare avanti nel ragionamento, mi sento di chiarire questo: il governo dei tecnici comincia – secondo me e per ragioni che in altra sede potrei anche argomentare dettagliatamente – ad aver esaurito la sua spinta emergenziale e, mano a mano che si allontana dalla gestione della massima emergenza inciampa su errori banali come, per esempio, quelli commessi con la cosiddetta legge di stabilità (ma non solo). Ma non sono scomparsi i sintomi di problemi tuttora irrisolti [è di ieri la notizia che i CDS  (Credit default swaps)  sul debito dell’Italia – in altre parole le polizze che i creditori comprano sul futuro dell’Italia – nell’ultimo anno sono aumentati di ben 75 miliardi di Euro, pari al 25% dello stock di CDS in circolazione un anno fa!] e anzi si rafforzano le inquietudini sulla capacità del paese di “governarsi” bene dopo aver (ben) governato la massima emergenza (di questo sono testimonianza il famoso spread e queste “polizze” sul nostro futuro, non di altro).
Per questo, occorre guardarsi bene dal sottovalutare i rischi della crisi di credibilità dei partiti politici che si candideranno fra qualche mese – come è giusto e fisiologico – a governarci nel prosieguo del tempo.
Ma, prima di abbandonarci alle ansie dell’attesa del “ritorno della politica” (come dicono i miei amici della sinistra, per la verità in maniera poco rassicurante, visti i guasti che certa politica ha combinato all’Italia), vorrei ribaltare – per la nostra piccola mania di dibattere questi temi – la questione che ponevo all’inizio: se è chiaro, credo, che cosa pensino, in maggioranza, gli Italiani dei partiti, ci siamo mai domandati che cosa pensino degli Italiani  i partiti?
Io credo che questa domanda sia più inquietante della prima, perché sul reciproco mistrust non si può costruire nulla di sano: gli Italiani non si fidano (più) dei partiti, ma i partiti si fidano degli Italiani?
Ebbene, io credo di no. Credo cioè che anche i partiti (come molti altri notabilati italiani) tendano a pensare gli Italiani come una  insignificante plebe elettorale (le espressioni in corsivo sono di Galli della Loggia, sul Corriere di ieri), da molcire, subornare, sedurre con ogni tipo di suggestione, confondere con ogni più usurata retorica, stimolandone confusamente il desiderio di ripresa con proposizioni che non hanno base nella realtà. L’importante è che si rechino a votare e che scelgano per la conferma dei partiti che, “con vece assidua”, ci hanno “sgovernato” negli ultimi 20/30 anni (il che – si badi bene a quel che voglio dire – è comunque un male molto minore rispetto a quello di abbandonare il Paese in mano ai populismi che vi pullulano!).
Troppe volte l’ho detto per non rischiare di essere noioso: perché si pensa che agli Italiani non si possa semplicemente proporre la verità sullo stato del Paese e sulle origini dei suoi mali,  il “perdono” dei reciproci errori, e la necessità di “stringere i denti” ancora a lungo? Perché si preferisce pensare che occorra confezionare agli Italiani una nuova auto-rappresentazione elusiva e facilista, fatta di narrazioni sciocche? Perché nessuno propone di fare definitivamente i conti con la realtà? Forse perché gli Italiani sono plebaglia elettorale? E questo, ci piace? Siamo disposti ad accettarlo? Io no! E per questo detesto profondamente le retoriche che i partiti propongono agli Italiani!
Intendiamoci bene: (1) non sono così ingenuo da non sapere quali siano da sempre (si riveda il manuale per la campagna elettorale che, nel I secolo a.C., il fratello Quinto dedicò al candidato console Marco Tullio Cicerone!) e dovunque (vedansi, ad esempio, gli USA attuali) le “regole” e le ipocrisie delle campagne elettorali, ma mi pare che, nel passaggio in cui siamo, si esageri enormemente; non ci credete? Fate una prova: ascoltate un comizio, non di un cialtrone qualsiasi ma di una persona seria, che so?, di Bersani! (2) mi rendo conto che la mia posizione possa essere tacciata di intellettualismo lontano dalla comprensione dei sensi della “ggente”, ma credo che un eccesso di cinismo faccia molto più male. Anche nell'essere cinici ci vorrebbe una misura.

Roma, 4 novembre 2012, San Carlo Borromeo e festa dell’Unità Nazionale (94 anni dopo il Bollettino della Vittoria, firmato: Diaz)




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