….e i
partiti politici e gli Italiani
(di Felice Celato)
Che cosa pensino (o pensi) dei partiti politici (la
maggioranza de)gli Italiani è chiaro e, credo, non bisognoso di estesa
documentazione: basta la quotidiana lettura dei giornali (e dell’”opinionismo
istantaneo” che, purtroppo, vi trova ospitalità, come, del resto, negli altri media) o una semplice conversazione al
bar (o da bar) per convincersi del diffuso (e confuso) grado di discredito e di
sfiducia che circonda questi “corpi intermedi” di cui, pure, indubbiamente, c’è
necessità per governare – senza ancora più pericolosi assemblearismi – la
democrazia di un paese che vorrebbe essere moderno. E non è necessario nemmeno
fare congetture sui possibili livelli di assenteismo che caratterizzeranno le
prossime elezioni politiche né considerare il ritmo di crescita delle retoriche
populiste e spesso anti-partitiche per essere seriamente preoccupati, appunto,
dell’opinione degli Italiani sui partiti politici in generale, starei per dire
senza distinzioni (il che potrebbe anche essere ingiusto e sommario ma, credo,
è).
Prima di andare avanti nel ragionamento, mi sento di
chiarire questo: il governo dei tecnici comincia – secondo me e per ragioni che
in altra sede potrei anche argomentare dettagliatamente – ad aver esaurito la
sua spinta emergenziale e, mano a mano che si allontana dalla gestione della
massima emergenza inciampa su errori banali come, per esempio, quelli commessi
con la cosiddetta legge di stabilità (ma non solo). Ma non sono scomparsi i
sintomi di problemi tuttora irrisolti [è di ieri la notizia che i CDS (Credit
default swaps) sul debito
dell’Italia – in altre parole le polizze che i creditori comprano sul futuro
dell’Italia – nell’ultimo anno sono aumentati di ben 75 miliardi di Euro, pari
al 25% dello stock di CDS in circolazione un anno fa!] e anzi si rafforzano le
inquietudini sulla capacità del paese di “governarsi” bene dopo aver (ben) governato
la massima emergenza (di questo sono testimonianza il famoso spread e queste “polizze” sul nostro
futuro, non di altro).
Per questo, occorre guardarsi bene dal sottovalutare i
rischi della crisi di credibilità dei partiti politici che si candideranno fra
qualche mese – come è giusto e fisiologico – a governarci nel prosieguo del
tempo.
Ma, prima di abbandonarci alle ansie dell’attesa del
“ritorno della politica” (come dicono i miei amici della sinistra, per la
verità in maniera poco rassicurante, visti i guasti che certa politica ha combinato
all’Italia), vorrei ribaltare – per la nostra piccola mania di dibattere questi
temi – la questione che ponevo all’inizio: se è chiaro, credo, che cosa
pensino, in maggioranza, gli Italiani dei partiti, ci siamo mai domandati che
cosa pensino degli Italiani i partiti?
Io credo che questa domanda sia più inquietante della
prima, perché sul reciproco mistrust non
si può costruire nulla di sano: gli Italiani non si fidano (più) dei partiti,
ma i partiti si fidano degli Italiani?
Ebbene, io credo di no. Credo cioè che anche i partiti
(come molti altri notabilati
italiani) tendano a pensare gli Italiani come una insignificante
plebe elettorale (le espressioni in
corsivo sono di Galli della Loggia, sul Corriere
di ieri), da molcire, subornare, sedurre con ogni tipo di suggestione,
confondere con ogni più usurata retorica, stimolandone confusamente il
desiderio di ripresa con proposizioni che non hanno base nella realtà.
L’importante è che si rechino a votare e che scelgano per la conferma dei
partiti che, “con vece assidua”, ci hanno “sgovernato” negli ultimi 20/30 anni
(il che – si badi bene a quel che voglio dire – è comunque un male molto minore
rispetto a quello di abbandonare il Paese in mano ai populismi che vi pullulano!).
Troppe volte l’ho detto per non rischiare di essere
noioso: perché si pensa che agli Italiani non si possa semplicemente proporre la
verità sullo stato del Paese e sulle origini dei suoi mali, il “perdono” dei reciproci errori, e la
necessità di “stringere i denti” ancora a lungo? Perché si preferisce pensare che occorra
confezionare agli Italiani una nuova auto-rappresentazione elusiva e facilista,
fatta di narrazioni sciocche? Perché nessuno propone di fare definitivamente i
conti con la realtà? Forse perché gli Italiani sono plebaglia elettorale? E
questo, ci piace? Siamo disposti ad accettarlo? Io no! E per questo detesto profondamente le
retoriche che i partiti propongono agli Italiani!
Intendiamoci bene: (1) non sono così ingenuo da non
sapere quali siano da sempre (si riveda il manuale per la campagna elettorale
che, nel I secolo a.C., il fratello Quinto dedicò al candidato console Marco Tullio Cicerone!) e dovunque
(vedansi, ad esempio, gli USA attuali) le “regole” e le ipocrisie delle campagne elettorali,
ma mi pare che, nel passaggio in cui siamo, si esageri enormemente; non ci
credete? Fate una prova: ascoltate un comizio, non di un cialtrone qualsiasi ma di una persona seria, che so?, di Bersani! (2) mi rendo conto che la mia posizione possa essere tacciata di intellettualismo
lontano dalla comprensione dei sensi della “ggente”,
ma credo che un eccesso di cinismo faccia molto più male. Anche nell'essere cinici ci vorrebbe una misura.
Roma, 4 novembre 2012, San Carlo Borromeo e festa
dell’Unità Nazionale (94 anni dopo il Bollettino della Vittoria, firmato: Diaz)
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