domenica 28 febbraio 2021

Un'ottima lettura

Insegna Creonte

(di Felice Celato)

Per onestà intellettuale (della quale mi faccio sempre scrupolo) devo confessare che l’autore del bel saggio che sto per segnalare, per molti anni (quando era un politico), non “godeva“ delle mie personali simpatie: il fatto è che ho una sociologica antipatia per i magistrati che fanno politica (sia che “scendano in campo” formalmente, sia che – peggio – non lo facciano formalmente ma solo mediaticamente o in altre forme). Ovviamente si tratta di una “antipatia sociologica” e come tale riferibile genericamente ad un gruppo; a prescindere dunque dai profili personali delle persone cui mi riferisco, che talora costituiscono una piacevole sorpresa. 

Detto questo, sempre per onestà intellettuale, dico anche che, ogni volta che l’ho sentito parlare direttamente (in sedi più… colte di quelle politiche), ho avuto l’impressione che Luciano Violante sia un uomo di profonda cultura e di grande sensibilità politica ed umana, una persona che vale la pena di ascoltare.

Con queste premesse, eccomi a segnalare ai miei ventiquattro lettori proprio un saggio di Luciano Violante (Insegna Creonte, Il Mulino, 2021) che mi ha fatto compagnia in queste ore di forzata semi-immobilità (di natura post-chirurgica).

Sullo sfondo della figura di Creonte, l’arrogante eroe negativo dell’Antigone di Sofocle, Violante traccia, con esempi tratti dalla storia e dalla sua esperienza di politico, anche di primario rango istituzionale, una macro-mappatura delle virtù del politico: conoscenza, rispetto e coraggio. Ma, come ogni virtù, anche quelle del politico (che in fondo sono virtù umane assai preziose per ciascuno di noi) sono soggette all’errore dell’agente: superficialità della conoscenza, confusione fra conoscenza e convinzioni, sopravvalutazione di sé e delle proprie ragioni, o sottovalutazione degli altri e delle altrui ragioni, arroganza ed incapacità di dialogo, furori ed imprudenze o, addirittura, veri e propri deliri di onnipotenza; tutti errori in agguato nell’azione, non solo del politico, ma anche del giudice (molto suggestiva la post-fazione dell’Autore dedicata agli errori politici e giudiziari, visti da vicino) e di ogni altro uomo che si trovi ad esercitare un’azione, ma tanto più gravemente quanto essa azione sia per sua natura destinata ad incidere sulla vita degli altri.

In una società come la nostra, abituata da decenni al fallimento dei suoi politici, le riflessioni di Violante si presterebbero a molte e succose esemplificazioni, ovviamente ispirate a ciascuno di noi dalla propria sensibilità politica. E non è il caso, qui, di abbandonarsi a questo genere di esercizio, del resto sconfortante.

In estrema sintesi, Insegna Creonte è, oltre che un saggio colto ed interessante, una specie di piccolo manuale di civiltà della democrazia, non astratto e nemmeno ingenuo, anzi forgiato nell’esperienza concreta (prima di magistrato poi di politico) di chi non esclude l’errore dall’orizzonte delle proprie scelte, solo rivendicando la consolazione di aver forse evitato il più grave degli errori, quello di presumere di non commetterne. In definitiva, una lettura consolante in mezzo al clamore di granitiche certezze gridate con voci tonanti da chi, invece, è certo di non sbagliare.

Roma 28 febbraio 2021

 

domenica 21 febbraio 2021

Un'opinione

…..fra le tante

(di Felice Celato)

Per certi aspetti il timing di questa crisi politica che si è appena conclusa nei suoi aspetti formali è indicativo della sua potente “ambivalenza”: dipanatasi nel corso del carnevale - così iconico per l’atteggiamento “politico” del paese -, si è conclusa nei primi giorni della quaresima, a loro volta rappresentativi della situazione che viviamo e che ancora incombe sui nostri destini. La quaresima, per noi cattolici, è tempo di conversione, di metànoia, dicevamo qualche giorno fa. E il cambio di mentalità (metànoia, appunto) è la sfida che innerva la scommessa sul nostro futuro e che – auspicabilmente –  sta alla base dei profondi rivolgimenti “politici” cui abbiamo assistito, con trepidazione, speranza e cautela.

Abbiamo vissuto per molti anni l’estenuazione dell’agone democratico nei suoi riti elettorali, durante i quali vengono messi a punto e “collaudati” gli slogan destinati ad influenzare le legislature e continuamente  fatti riecheggiare con mille mezzi mediatici. Seguono poi – ordinariamente e nel durante – l’incoerente povertà delle azioni (per l'inadeguatezza di chi dovrebbe metterle in campo) e le agitazioni psicomotorie delle pubbliche opinioni, “misurate” quasi quotidianamente nel loro mutevole atteggiarsi e spesso eccitate da una informazione pregiudizialmente schierata sull’esaltazione di una continua inclinazione al peggio (copyright Censis, qualche anno fa). In questo teatro chiassoso, il muto declino del paese ha “mimato” ogni giorno, per molti anni, il suo dramma allarmante, che solo di tanto in tanto è riuscito a sfondare il muro del rumore e ad arrivare alle teste dei vocianti.  “Grazie” alla pandemia e alle sue spaventose implicazioni sociali ed economiche, stavolta il “mimo” ha ottenuto attenzione, determinando i rivolgimenti politici cui accennavamo. Che si tratti di episodiche “damascate” (cfr. post del 7 febbraio scorso) o, invece e sperabilmente, della famosa metànoia di cui abbiamo estremo ed urgente bisogno lo vedremo nel prosieguo; e lo vedremo nelle azioni di chi ha ricevuto le “chiavi della macchina”; ma soprattutto da come esse saranno vissute nel tessuto profondo della nostra collettività. Lo dico subito: ho molta fiducia in molti degli uomini posti a guida del paese e, soprattutto, nel saggio, colto, competente, riservato, cauto e “prestigioso” uomo che, nel linguaggio comune, sarà l’eroe eponimo di questo nuovo governo. Ma non c’è Salomone che regga se la nostra società seguiterà a rivolgere lo sguardo verso i vitelli d’oro che i vari Geroboamo collocano al centro delle nostre convivenze per suscitarne il culto.

Dunque, forse come sempre e come è ovvio, l’avventura del Governo Draghi resta affidata più al paese che agli uomini che si apprestano a guidarlo, per quanto saggi siano; e per questo trepidazione, speranza e cautela sono d’obbligo per chi non voglia rimanere indifferente alle vicende che ci sono proprie e, al tempo stesso, non illudersi ancora. 

Forse un operoso silenzio è difficile attenderselo subito; e sarebbe anche innaturale per un popolo da troppo tempo amante del vociare. Ma la coscienza del baratro sembra essersi fatta strada anche nelle dure cervici dei nostri Geroboamo e dei loro fedeli adoratori di vitelli d’oroLa responsabilità di avviare una Nuova Ricostruzione, come ha detto il nuovo Presidente del Consiglio al Senato, postula l’apporto di tutti, nella distinzione dei ruoli e delle identità ma anche nella chiarezza e saldezza delle nostre appartenenze. Non è, forse, vacuo ottimismo l’attendersi che questo apporto possa finalmente avvenire. (Ma, come dicevamo qualche giorno fa, anche l’ottimismo è un esorcismo, contro l’ineludibile nostra ignoranza del futuro.)

Roma, 21 febbraio 2021

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 10 febbraio 2021

Giorni di pioggia

Ottimismo e pessimismo

(di Felice Celato)

Non ricordo dove ho letto questa che mi pare una autentica “verità” (la cito come me la ricordo, senza alcuna garanzia di precisione della memoria): ottimismo e pessimismo sono i nomi che diamo agli atteggiamenti dell’animo circa il futuro; essi servono solo ad esorcizzare l’angosciosa realtà della nostra ineliminabile ignoranza sul futuro.

Mi veniva in mente – questa imprecisa citazione – osservando come fluttuano gli umori  più diffusi seguendo le “serie” difficoltà che impacciano il cammino di quella auspicata metànoia collettiva di cui dicevamo l’altro giorno. E così, per incasellarli fra i motivi di ottimismo o di pessimismo, ci induciamo ingenuamente a soppesare, come fossero consistenti, slogan, dichiarazioni strumentali, provvisori “mai” o dubbiosi “sempre”, oscillanti fermezze e solide librazioni; persino i borborigmi della pancia del vecchio filosofo dello “stato di natura” ci tengono in ansia come fossero rivelazioni da cui può dipendere il nostro futuro.

Non resta che attendere; attendere il tempo che queste cose richiedono, nel timore e con cautela, come dice il Censis (Rapporto 2020) ma senza la certezza che sia, finalmente e veramente, arrivato il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando dritti.

Ci risentiamo presto, magari frattanto la pioggia (che tanto nuoce al mio umore) sarà cessata.

Roma 10 febbraio 2021

domenica 7 febbraio 2021

Conversioni

Una metànoia collettiva?

(di Felice Celato)

Per noi cattolici la conversione può essere, certamente, un evento improvviso (tipicamente: la conversione di san Paolo sulla via per Damasco) al quale  - come nel caso dell’Apostolo delle Genti – seguono però effetti duraturi; ma è anche un processo continuo: metànoia – conversione, in greco – vuol dire cambiamento di mentalità, cioè cambiamento del parametro di giudizio, che, per sua natura – appunto come parametro di giudizio – è destinato, ad un tempo, ad operare in via permanente e ad essere operato quotidianamente, perché quotidianamente abbiamo bisogno di ri-considerare  – alla luce della Parola – i valori etici, culturali, politici e sociali correnti.

Mi veniva in mente, questa riflessione da paolotto (clericale, bigotto, baciapile), proprio in questi giorni in cui ho dovuto – mio malgrado e costretto solo dal prorompente clamore degli sviluppi della crisi politica – ricominciare a seguire le cronache politiche nostrane, così dense, sì, delle consuete e consunte convenzioni verbali (ormai ridotte a slogan sincopati del tipo di quelli sciorinati tutte le sere in TV ), ma anche di inattese conversioni. E’ inutile mettersi, qui, ad elencare le damascate cui, speranzosamente e lietamente, abbiamo assistito nelle retoriche dei nostri aspiranti uomini politici; i giornali ne sono pieni e gli osservatori più pungenti ne hanno fatto oggetto di divertenti collages intesi ad esaltare la radicalità (talvolta comica) di tali conversioni. I parametri di giudizio (per esempio, su uomini, storie, esperienze e situazioni) sembrano scossi da profonde metànoie, indotte forse da una (finalmente) percepita gravità della crisi (stato di forte perturbazione nella vita di un individuo o di un gruppo di individui, sempre dalla benedetta Treccani online) che l’Italia vive, spesso senza rendersene conto. Si dirà: ma come senza rendersene conto? Non senti, dovunque, risuonare questa parola riferita alla sanità, alle condizioni economiche e sociali, persino ai modelli di vita? Vero: nelle correnti lamentele, di cittadini e di osservatori, certamente la crisi è - e non potrebbe non essere – chiaramente percepita, almeno nelle sue manifestazioni sintomatiche. Ma, guarda caso, il dubbio che così, più in profondo, non sia, mi viene quando, sotto la spessa corteccia delle lamentele, si scava nella coscienza della natura e della genesi di questa crisi; non sento, per esempio, i tanti mea culpa che sarebbero dovuti e necessari, perché – insegna sempre la cultura cattolica – senza coscienza della colpa non può esserci il proposito di non più incorrervi, in queste culpae spesso così radicate nelle nostre mentalità (o nei nostri abituali comportamenti). Capisco che il mea culpa non è, per nessuno, un esercizio gradevole, né, forse, per i politici, un’ammissione “pagante”: ma, secondo me, per l’archiviazione di questa crisi di radici remote e di onda lunga, è l’unico percorso affidante (anni fa, qui, mi era balenata l’esigenza di un reciproco perdono politico, come chiave di una fin da allora sperata palingenesi politica; cfr. Parole guida, un post dell’agosto 2012).

Bene, torniamo alle conversioni: dicevo che esse, per essere autentiche, non possono e non devono essere confinate nell’evento di un istante. Non basta cadere da cavallo lungo la strada, sentire voci, perdere la vista e la nozione del tempo per un po', come accadde a San Paolo lungo la via per Damasco; occorrono poi lunghi e faticosi viaggi, infinite difficoltà da superare, sacrifici, lunghe riflessioni e persino il sacrificio di sé stesso. Come dicevamo poco fa la conversione, la metànoia, implica una revisione dei parametri di giudizio; e rivedere i propri parametri di giudizio è un esercizio che va operato quotidianamente, anche partendo dal linguaggio che, della politica, è un insostituibile strumento e un indice performativo (detto di enunciazioni …che non descrivono un’azione né constatano un fatto …bensì coincidono …con l’azione stessa).

Dunque, mentre speriamo nella solidità di queste conversioni, nel breve giudicheremo prima di tutto dal linguaggio. Il tempo potrebbe anche recare una sorpresa: che da una crisi politica così diffusamente considerata incomprensibile o, peggio, irresponsabile, sia poi nata una metànoia collettiva.

Roma, 7 febbraio 2021

 

 

 

lunedì 1 febbraio 2021

Brevissime dal lazzaretto

Impertinenze pandemiche

(di Felice Celato)

 

1. NUMERI

Sanno tutti, i miei ventiquattro lettori, che io soffro di “aritsmomania” (mania dei numeri); dunque, con un mio personalissimo “tableau de bord”, tengo quotidianamente sott’occhio i dati (fonti: WHO e Protezione Civile) del nostro paese e quelli di altri 10 paesi, in gran parte Europei (UK, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Belgio e Olanda; e USA, Giappone e Brasile). Da questo poco scientifico "campione" mi viene fuori che: in fondo come contagi per milione di abitanti non siamo messi proprio male (saremmo i terzi "migliori" del "campione", dopo Giappone e Germania); come morti per milione di abitanti siamo invece fra i peggiori, meglio solo di Belgio e USA; se però scorporiamo dai numeri dell’Italia i dati della Lombardia miglioriamo di molto (che i “vecchi” – che il P.U.A., il Pensiero Unico Aggregato, vuole responsabili del nostro anomalo tasso di letalità – siano più fitti in Lombardia mi viene difficile da crederlo; e forse qualche più attrezzata analisi al riguardo non sarebbe male, magari senza farne motivo delle solite furiose diatribe).

Nel mese di gennaio appena passato abbiamo avuto – rispetto al 31 12 2020 – un incremento di circa 14 mila nuovi contagi al giorno e di poco più di 350 morti al giorno, incremento forse in tendenza recessiva. 

2. LETTURE

Segnalo un coltissimo e “divertente” libretto (Il virus che ci rende folli, La Nave di Teseo, 2020) col quale Bernard-Henry Levy fa una specie di censimento dei colpi inferti durante questa strana crisi alle nostre metafisiche intime, ispirato dalla convinzione che un’epidemia è un fenomeno sociale che ha alcuni aspetti medici (come pare ritenesse Rudolf Virchow, padre dell’anatomia patologica).

Un piccolo saggio, dicevo, coltissimo; al punto che il senso di qualche riferimento mi è anche sfuggito…. non ostante la mia ben nota mostruosa cultura 😉; ma in ogni caso di gradevolissima e stimolante lettura.

[N.B.: dopo aver tanto avversato la mania degli emoticon (che mi parevano rivelatori di gravi insufficienze espressive) mi sono convinto che in qualche occasione possono anche tornare utili, senza con ciò mettere in dubbio il dominio delle parole cui dovremmo essere abituati; ricordo che mia madre – maestra elementare – mi insegnava che per iscritto non bisogna mai scherzare perché chi legge non vede la faccia di chi scrive. Però, allora non c’erano gli emoticon! E nemmeno i fulminei SMS o WhatsApp, nei quali le parole scorrono così veloci]

Roma 1° febbraio 2021