mercoledì 31 maggio 2017

Il banchiere col marsupio

Incontri del C.U.R.
(di Felice Celato)
Stamane, mentre mi avviavo al mio meta-lavoro quotidiano, stavo ancora rimuginando (come si richiede ad ogni buon Camminatore Urbano Rimuginante) le tesi, fieramente contrapposte (sennò che gusto c'è?),  di una delle baruffe intellettuali nelle quali investo, con (mio) grande godimento, i molti spazi di tempo libero che mi rimangono ogni giorno. E, lo confesso, facevo fatica a celare a me stesso la soddisfazione per le mie performances polemiche.
Ed eccomi ad un incontro che, quasi provvidenzialmente, mi ha offerto una finestra per riconsiderare il tema (del resto tipico fra noi paulotti: il cuore e/o la testa nel rapporto fra "pastori e gregge"?) sul quale avevo investito il pomeriggio precedente (io sostenevo le ragioni della testa, ovviamente): alto e largo di spalle, sguardo forte di chi sa sempre cosa pensare, eccomi comparire davanti un atletico giovane che dovevo aver conosciuto in una delle tante fasi della mia vita in cui ho avuto a che fare con banche internazionali; culturalmente - direbbe qualche mio amico - un bocconiano (o forse un bostoniano) prestato al mondo. Ma - chi conosce l'ambiente può capire quanto insolitamente - anziché indossare la "divisa" d'ordinanza dello yuppie (gessato grigio, scarpe nere, camicia bianca con cravatta in blu, possibilmente di Hermès) il giovane uomo, in maglietta, recava sul petto uno di quei curiosi "marsupi " in cui si "imbustano" i bambini piccoli. E difatti dal marsupio uscivano due gambette esagitate di un bellissimo bambino (sette o otto mesi) che sorrideva al mondo e sbadigliava. Mi fermo per un breve saluto (stavolta, lì per lì, non ricordavo il nome del giovanotto); dopo qualche banalità riservata alla insolita dedizione del mio interlocutore (che quasi se ne giustificava con quello che forse era stato un suo "autorevole" cliente: era a Roma per un meeting e aveva trovato tempo di dedicarsi un po' al suo piccolino, che di solito vede solo per il fine-settimana!) e qualche inevitabile complimento al bambino (veramente simpatico), mi sono allontanato soddisfatto dell'incontro consolante (un giovanottone nella insolita veste di padre tenero, un bambino che metteva addosso il buonumore, in una mattina di pieno sole e di caldo incipiente).
E poiché noi cattolici siamo autorizzati dalla Rivelazione a cercare di immaginare, coi nostri poveri mezzi, l'occhio di Dio sul mondo, il mio pensiero è andato al Padre Eterno. Me Lo sono immaginato mentre da poco aveva sollevato, con lieve fastidio, la serranda della notte sul mondo, certo non soddisfatto di dover dare lo sguardo quotidiano a queste Sue creature confuse e pecione; ma anche improvvisamente attratto dalla scena che io stesso avevo appena vissuto. E ho provato ad immaginare che sentimenti dovesse suscitarGli lo splendore sgambettante del bambino agganciato al petto del fiero genitore (con quell'aggeggio che, però, presumo non debba piacerGli troppo, abituato com'è alle più tenere posture della Sua Madre terrena).
Dio mi perdoni, ma L'ho pensato ad un tempo tenero ed indulgente: tenero come solo si può essere di fronte a quell'esplosivo concentrato di speranza che è un ilare bambino sgambettante; ed indulgente verso il giovane padre, fiero detentore di incrollabili certezze provvisorie con le quali ogni giorno classifica il mondo; ma ad esse provvisoriamente sottratto per ben più nobili incombenze: pazienza se crede di sapere una sacco di cose, col tempo capirà; ora stava dedicandosi con affetto alla cosa giusta, e dunque, si sarà detto il Padre Eterno, sorridiamo della ingenua saccenza.
Con queste forse datate (e magari, per alcuni, mielose) sensazioni in testa, ho fatto fatica a tornare col pensiero  alle baruffe fra il cuore e  la testa dei "pastori"; e la soddisfazione per le mie performances polemiche si è un po' attenuata. Non del tutto, però; gradevolmente.
Roma 31 maggio 2017


sabato 27 maggio 2017

L'Ascensione

Nonostante tutto
 (di Felice Celato)
Il governo della non sfiducia” (Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano), nel 1977 (quarant’anni fa), abolì la festa nazionale dell’Ascensione che, fino a quella data, veniva celebrata – canonicamente – 40 giorni dopo la Pasqua. Un compromesso, forse, che allora parve saggio, come spesso pensiamo – magari infondatamente – di ogni compromesso.
E dunque la Chiesa ha spostato la celebrazione della salita in cielo di Gesù (l’Ascensione, appunto) alla domenica successiva alla data in cui sarebbe caduta la festività computando i 40 giorni sul calendario civile.
Non ha molta importanza questo computo burocratico perché, proprio nel racconto dell’evento che fa l’evangelista Matteo (28, 16-20), è contenuto il messaggio che rende, per così dire, ormai insignificante il computo del tempo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. 
Ogni giorno è buono, dunque, specie in questi tempi amari, per ricordare il dominio di Dio sul tempo, perché, per dirla con papa Benedetto, “il Signore si trova sempre a portata di voce….e ci aspetta sempre” .
E dunque noi cattolici leggiamo nel giorno dell’Ascensione questo magnifico epilogo del Vangelo secondo Matteo e lo ricordiamo come l’ultima promessa del Cristo passato sulla terra e, anzi, per la nostra terrena esistenza la più importante.
E’ curioso come, nel tempo, sia cambiato in me il sentimento di queste parole. Quando ero giovane, come ogni giovane proteso verso il futuro, mi sembrava di cogliere il senso della promessa nelle cinque parole finali dell’ultima frase del Cristo nella storia (fino alla fine del mondo) e, da credente, ne percepivo l’insita speranza come una garanzia sul senso della storia che avevo davanti.
Nonostante tutto quel che possa accadere, mi dicevo.
A distanza di anni (tanti anni, dalla mia giovinezza), forse per il turbamento che mi prende quando considero l’affannato presente nella prospettiva del futuro, mi capita più spesso di soffermarmi su quella che mi appare la parte della promessa più sperimentabile ( io sono con voi tutti i giorni), anzi più sperimentata (per me almeno, nella mia vita). La fine del mondo non conto proprio di vederla (salvo prova contraria, che, da nonno, proprio…. mi dispiacerebbe); e la storia non so proprio che strada prenderà negli anni, magari nei secoli, che verranno (per quanto, come sanno i pazienti lettori di questo blog, assai spesso presuma di vederla chiaramente, quantomeno per la dimensione degli anni). Ma il presente e, soprattutto, l’ahimè lungo passato, posso dire di conoscerlo, come ogni uomo crede (più o meno fondatamente) di conoscere il tempo che vive e che ha vissuto. E allora la promessa di Gesù mi pare abbia il senso di quella realized eschatology di cui parlava un teologo delle mie letture giovanili (Charles H. Dodd).
Se, dunque, ora presente e passato mi sembrano la sperimentata fedeltà di quella promessa nella mia stessa vita, devo anche più fermamente credere che anche le ultime cinque parole di Gesù resteranno salde nella parte della storia che non conoscerò, per le vite degli altri che verranno.
Nonostante tutto, mi dico guardando a quello che accade nel mondo.

Roma 27 maggio 2017 (vigilia della festa dell’Ascensione di N.S. Gesù Cristo)

lunedì 22 maggio 2017

Incubi

Un risveglio terribile
(di Felice Celato)
“L’ITALIA AD UNA SVOLTA” era il titolo che campeggiava  a tutta pagina sul Corriere della sera, in prima, ovviamente. Le notizie erano sintetizzate in un vasto riquadro che evidenziava l’assoluta novità delle cose descritte all’interno del giornale; più o meno (l'emozione può farmi velo in qualche parte del ricordo) queste:
Finalmente raggiunto un maxi-accordo fra le forze politiche del Paese per imprimere una decisa svolta alla situazione da tempo impantanata in interminabili discussioni: le prossime elezioni si svolgeranno col sistema Mixitellum, 25% dei seggi col maggioritario, 25 % col proporzionale senza soglia, 25% col proporzionale con soglia, 25% a sorteggio. Per concorrere a quest’ultima quota occorrerà iscriversi via internet inviando un curriculum vitae (in inglese) ad un apposito ufficio costituito presso la Consip ma  vigilato dall’Anac di Renato Cantone. Questo per la Camera dei Deputati. Per il Senato (sempreché nel frattempo non venga sostituito dal Cnel, appositamente rilanciato) si voterà per alzata di mano nei principali stadi e saranno candidabili tutti i possessori di tessera del tifoso non scaduta e convalidata da almeno tre squadre del nord (per il 50 % dei seggi) e da almeno tre squadre del sud (per il restante 50%). Ovviamente si dovrà tenere conto delle quote rosa e delle quote azzurre, ma (attenzione!) all’interno di ciascuna delle quote previste sia per la Camera che per il Senato.
Le coalizioni in lizza saranno tre: 
catto-populisti, guidati da un quadrumvirato-mulierato composto da p. Grillo ofm e mons. Galantino e dalla coppia sindaca Raggi e  suor Paola;
demo-animalisti, invece, saranno guidati da Renzi (Matteo)  e Berlusconi (PierSilvio) e dal duo Boschi e  Brambilla;
leghisti del Sud, guidati da un solo leader (per smentire ogni possibile accusa di separatismo), Salvini.
Ognuna delle tre coalizioni dovrà esprimere in anticipo in nome del candidato premier in modo che, alla chiusura delle urne (questo è assolutamente essenziale!) si sappia chi governerà.
catto-populisti hanno già indicato il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio; i demo-animalisti Dudù (con una reggenza affidata a Roberto Saviano o a Erri De Luca) e i leghisti del Sud il presidente della Sicilia, Crocetta.
Al ministero dell’Economia andrà – nel ritrovato spirito unitario e per dare gli opportuni messaggi all’Europa ed ai mercati finanziari – un tecnico di comune fiducia e si fa già il nome Fabio Fazio (che nel frattempo passerà a Mediaset).
Per quanto riguarda la nostra posizione sull’Euro, tutti e tre le coalizioni si sono dichiarate concordi ad avviare un duro negoziato con l’Europa (anche minacciando una Italexit ma senza insistere troppo per evitare che, stavolta, veniamo presi sul serio) al fine di avere in Italia almeno tre valute: quella per gli scambi con l’estero resterà l’Euro; quella per gli scambi interni fra persone dello stesso sesso sarà denominata la pizza di fango omo-sex; quella invece per gli scambi fra persone di sesso diverso sarà denominata la pizza di fango bi-sex. Il cambio fra queste tre valute sarà fisso nei rapporti con l’Euro (1 € = 1.999 pizze di fango) e fluttuante quello fra le due pizze di fango (rispettivamente la omo-sex e la bi-sex) per fare in modo che il cambio rifletta continuamente l’interazione fra generi, fino al raggiungimento della perfetta parità, altamente auspicata da tutte le forze politiche e anche raccomandata da papa Francesco in un apposito messaggio al Paese per "benedire" la ritrovata concordia. Il debito pubblico sarà ripagato in pizze di fango (quello detenuto da investitori esteri, invece, in Euro).
Per la miseria! Che notizie! Roso dall'ansia, cominciavo a sfogliare freneticamente il giornale fino ad arrivare alle pagine sportive. E qui leggevo: la Juve crolla col Crotone.
Solo allora mi sono reso conto che stavo sognando. Non poteva essere vero, niente era vero. Niente grande accordo, niente Dudù, niente Mixitellum, niente Fazio al Tesoro. E purtroppo niente Crotone vincente. Eh!, sí, magari le cose andassero cosi, sarebbe troppo bello.


Roma 22 maggio 2017



venerdì 19 maggio 2017

Letture

Volgare eloquenza
(di Felice Celato)
Eccoci qua, di nuovo con un consiglio per la lettura. Si tratta, stavolta, di un libro appena uscito (di Giuseppe Antonelli: Volgare eloquenza – Come le parole hanno paralizzato la politica, Giuseppe Laterza ed., 2017, disponibile anche in ebook) che incrocia due temi ricorrenti su questo blog e a me particolarmente cari (si vedano i post del 16 febbraio e del 21 marzo 2017, entrambi non a caso intitolati Babele): la nostra crisi culturale e antropologica vista attraverso la crisi del linguaggio della politica. L’autore del libro, infatti, è un professore di linguistica e la sua materia si presta magnificamente a misurare, nelle forme (i significanti), il degrado della sostanza (i significati), peraltro secondo un processo circolare sintetizzato da una fulminante citazione di George Orwell (Se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero) che, in fondo, richiama il senso di quella, più modesta, da noi più volte rubata ad un film di Moretti: chi parla male, pensa male e vive male.
E che la nostra “politica” pensi male (anzi proprio abbia rinunciato a pensare per, piuttosto, fabulare, banalizzare, turpiloquiare, ostentare una popolarità artificiale, simulare schiettezza, piacere ad ogni costo, slabbrare concetti differenzianti, omogeneizzare attraverso lo sghignazzo ruffiano, ridurre tutto in parole povere, etc ) Antonelli lo documenta con una vasta congerie di esempi (alcuni anche divertenti, tragicamente divertenti) che testimoniano la dilagante vacuità dei linguaggi,  indotta, ahinoi!, dalla vacuità delle retrostanti “culture”; perchè l’imputato non è la lingua – ribadisce il linguista Antonelli citando Francesco Merlo – che è sempre ricca e dunque impura ma è il collasso dei valori che nella lingua si trasmette.
L’analisi e l’esemplificazione di cui il testo abbonda sono rigorosamente bi-partisan, anche se – fatalmente – la diagnosi linguistica porta ad indentificare un passaggio critico nell’ evoluzione dall’italiano popolare all’italiano populista, peraltro non necessariamente confinato nell’area politica alla quale si attribuisce tale connotazione; anzi, dice Antonelli, tutto è cominciato con la seconda Repubblica. La crisi dei partiti tradizionali, infatti, è stata prima di tutto una crisi linguistica. La mitologia del nuovo ha reso improvvisamente vecchie le formule identitarie che fin dal dopoguerra avevano caratterizzato il discorso di destra, di sinistra e di centro. E quelli che si sono presentati come i nuovi soggetti politici hanno preso a rivolgersi non ad un preciso blocco sociale ma al cosiddetto “italiano medio”. O meglio all’ipostasi, talvolta alla caricatura, dell’italiano medio.
Alla fine del saggio (breve, ricco e piacevolissimo da leggere), l’autore avanza un’ipotesi di terapia che, io, francamente, leggo più come un’invocazione nostalgica che come una concreta speranza; ma che tuttavia mi ha colpito per le parole così vicine al mio sentire: dobbiamo tornare a dire di sì al logos, prima come pensiero e poi come parola. Riflettere, discutere, mettere a punto delle idee, prima di cercare il modo per veicolarle e diffonderle. Interpretare la complessità del mondo nei suoi meccanismi economici e sociali e poi proporre soluzioni realistiche e praticabili, non slogan ripetibili. Solo così la politica potrà restituire peso alle parole. L’ecosistema tecnologico c’è già: la sfida – per la politica – è renderlo anche un nuovo ecosistema linguistico.
Malinconicamente: le sottolineature sono mie.

Roma  19 maggio 2017 (San Pietro da Morrone, venerato come san Celestino V, 192° papa della Chiesa Cattolica, così poco compreso dal nostro Padre Dante)