W l’Europa
(di
Felice Celato)
Dunque il trentanovenne Macron ha vinto, con 2/3 dei voti espressi
e quindi, direi, largamente sulla concorrente (che pure ha portato a casa un
consenso preoccupante). E anche la CDU di Angela Merkel ha vinto nelle elezioni
locali dello stato tedesco del Schleswig-Holstein, con il 43enne Daniel Guenter.
L'Europa tira un provvisorio sospiro di sollievo, in vista dei
molti appuntamenti "decisivi" che l’aspettano in questo tempo di lavori in corso (la May di nuovo l'8 giugno, la Germania in Ottobre, la Francia di
nuovo con le legislative di giugno, attesissime dalla non rassegnata sinistra, l'Italia
chissà quando e come, etc).
La Francia, che - ci piaccia o no - è uno dei due fondamentali
pilastri della costruzione Europea, ha scelto bene, fugando i fantasmi del
passato ri-mixati in chiave populista
e sovranista. Chi conosce un po’ la storia del nostro continente resterebbe
stupefatto a leggere i commenti tedeschi a questa vittoria del candidato
Europeista.
Macron, per quel che se ne legge, mi piace: è giovane, è colto, ha
studiato, ha lavorato, è un europeista, è un liberale. Vedremo cosa saprà fare;
altri giovani hanno deluso, lo so, ma anche i vecchi non ci hanno risparmiato delusioni. E dunque
non ci resta che sperare in uno che ha festeggiato sulle note dell'Inno
Europeo.
Già, perché l'Europa è il tema del presente politico europeo (e
quindi nostro). E l'Europa anche in mezzo a noi - così confusi, divisi, agitati
e depressi come siamo - è il tema decisivo per il nostro futuro, purtroppo in
mano a persone non del tutto rassicuranti (sul tema).
Che lo abbiamo capito o no, il problema dell'Europa siamo - in
gran parte - noi, col fardello crescente del nostro debito, con la sonnolenza
della nostra società, con la stanchezza delle nostra economia, con
l'inquietudine dei nostri assetti politici e un partito populista alle soglie
del prossimo governo. E lo siamo con riguardo all'unico tema sul quale la nuova
illusione dell'Europa a due velocità non fa presa: la disciplina fiscale è un
requisito della sopravvivenza dell'Euro; e non si danno - che io sappia - monete uniche a due velocità.
Possiamo, più o meno vanamente, per dare un senso alla nostra
voglia di superare le difficoltà del presente, ricamare sulle due velocità
politiche (del resto già in atto, vedasi Shengen, vedasi immigrazione, vedasi
persino la denominazione monetaria e vedansi anche alcune altre materie di
minore diversità) ma assai difficile è ricamare su una moneta unica a due
velocità, una per i paesi fiscalmente disciplinati, una per gli eterni
mistificatori: la valuta o è unica o unica non è; e se è duplice o triplice,
ogni parte di essa ha un suo corso, un suo destino, una sua sorte, anche legata
alla legge di Gresham.
Dunque, se mano a mano che passa il tempo, auspicabilmente si
sciolgono in Europa i nodi del diffuso anti-Europeismo (spesso di comodo), il
problema dell’Euro restiamo noi (sul quotidiano economico tedesco Handelsblatt, l’altro giorno, l’economista
Daniel Gros l’ha detto quasi brutalmente), troppo grandi per essere
trascurabili e troppo piccoli e confusi per essere autorevoli. E non so pensare
che l’Europa (politica) sopravviva alla fine dell’Euro.
Ecco perché, a mio avviso (non credo di esagerare), il futuro
dell’Europa si fonda sulle nostre mosse, politico-economiche, finanziarie e
culturali; sulla nostra determinazione a ridurre (da subito!) la nostra spesa
pubblica e il peso del nostro debito; sulla nostra capacità di restaurare,
nelle nostre teste e nei nostri affetti, il ruolo dell’Europa in un mondo
sempre più complesso; sul nostro rifiuto di retoriche semplicistiche a presa
rapida e a tenuta nulla; sulla nostra convinzione che, per l’Italia, o c’è
l’Europa o non c’è un futuro degno di essere desiderato.
Roma 8 maggio 2017
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