Nonostante
tutto
(di Felice
Celato)
“Il governo
della non sfiducia” (Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano),
nel 1977 (quarant’anni fa), abolì la festa nazionale dell’Ascensione che, fino
a quella data, veniva celebrata – canonicamente – 40 giorni dopo la Pasqua. Un
compromesso, forse, che allora parve saggio, come spesso pensiamo – magari
infondatamente – di ogni compromesso.
E dunque la Chiesa ha spostato la celebrazione
della salita in cielo di Gesù (l’Ascensione, appunto) alla domenica successiva
alla data in cui sarebbe caduta la festività computando i 40 giorni sul
calendario civile.
Non ha molta importanza questo computo burocratico
perché, proprio nel racconto dell’evento che fa l’evangelista Matteo (28,
16-20), è contenuto il messaggio che rende, per così dire, ormai insignificante
il computo del tempo: “Ecco, io sono con
voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Ogni giorno è buono, dunque,
specie in questi tempi amari, per ricordare il dominio di Dio sul tempo,
perché, per dirla con papa Benedetto, “il
Signore si trova sempre a portata di voce….e ci aspetta sempre” .
E dunque noi cattolici leggiamo nel giorno
dell’Ascensione questo magnifico epilogo del Vangelo secondo Matteo e lo
ricordiamo come l’ultima promessa del Cristo passato sulla terra e, anzi, per la
nostra terrena esistenza la più importante.
E’ curioso come, nel tempo, sia cambiato in me il
sentimento di queste parole. Quando ero giovane, come ogni giovane proteso
verso il futuro, mi sembrava di cogliere il senso della promessa nelle cinque
parole finali dell’ultima frase del Cristo nella storia (fino alla fine del mondo) e, da credente, ne percepivo l’insita
speranza come una garanzia sul senso della storia che avevo davanti.
Nonostante tutto quel che possa accadere, mi
dicevo.
A distanza di anni (tanti anni, dalla mia
giovinezza), forse per il turbamento che mi prende quando considero l’affannato
presente nella prospettiva del futuro, mi capita più spesso di soffermarmi su
quella che mi appare la parte della promessa più sperimentabile ( io sono con voi tutti i giorni), anzi
più sperimentata (per me almeno, nella mia vita). La fine del mondo non conto
proprio di vederla (salvo prova contraria, che, da nonno, proprio…. mi
dispiacerebbe); e la storia non so proprio che strada prenderà negli anni,
magari nei secoli, che verranno (per quanto, come sanno i pazienti lettori di
questo blog, assai spesso presuma di
vederla chiaramente, quantomeno per la dimensione degli anni). Ma il presente
e, soprattutto, l’ahimè lungo passato, posso dire di conoscerlo, come ogni uomo
crede (più o meno fondatamente) di conoscere il tempo che vive e che ha
vissuto. E allora la promessa di Gesù mi pare abbia il senso di quella realized eschatology di cui parlava un
teologo delle mie letture giovanili (Charles H. Dodd).
Se, dunque, ora presente e passato mi sembrano la
sperimentata fedeltà di quella promessa nella mia stessa vita, devo anche più
fermamente credere che anche le ultime cinque parole di Gesù resteranno salde
nella parte della storia che non conoscerò, per le vite degli altri che
verranno.
Nonostante tutto, mi dico guardando a quello che
accade nel mondo.
Roma 27 maggio 2017 (vigilia della festa dell’Ascensione
di N.S. Gesù Cristo)
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