venerdì 30 settembre 2022

Post-elezioni

Personalissimi punti saldi

(di Felice Celato)

Eccoci qua, dunque, giunti a questo post-elezioni, desiderato per saturazione di vacuità e dei rumori coi quali si è cercato di esorcizzarla. Gli Italiani (o meglio: meno dei due terzi di essi) hanno votato (con regole bizzarre volute a larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2017) delineando un quadro politico fra i più nuovi di quelli che sono seguiti a ciascuna elezione, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del nuovo; perché il passato era (evidentemente) insoddisfacente per i più ed il nuovo è naturalmente inesplorato per tutti. I giornali sono pieni di commenti e non sarò certo io – come sempre rassegnato ad essere deluso da chi ha votato – ad aggiungere il mio.

Ripensando alla domanda ed all’offerta di politica (di cui abbiamo parlato recentemente e a tratto molto generale) mi è tornata in mente (curiosamente: mentre guardavo in TV l’ennesima replica del Montalbano de La forma dell’acqua) una citazione da sant’Agostino (già utilizzata qui, oltre sei anni fa, cfr. post Il problema dei contenitori, del 1° maggio 2016) che in qualche modo si applica biunivocamente anche a quell’incontro, appunto fra domanda ed offerta di politica, che si realizza – inevitabilmente – in ogni elezione: quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur (qualunque cosa viene ricevuta, viene ricevuta secondo la capacità di chi la riceve): gli eletti hanno recepito a modo loro, per come l’hanno interpretata, la domanda che veniva dagli elettori (più o meno coscienti di quel che domandavano); e questi, a modo loro, hanno recepito, come l’hanno capita, l’offerta che veniva da chi si candidava ad essere eletto (più o meno cosciente del vero da farsi). Il risultato compone il nuovo legislatore e comporrà (a breve) il nuovo scontato governo. W la democrazia (se è e resterà liberale, naturalmente, nel senso di cui dicevamo, da ultimo, nel post Lessico e nuvole di una dozzina di giorni fa).

Detto ciò, non resta che sperare, attendere e guardare con attenzione. Per quanto riguarda il mio passivo ruolo di inutile osservatore (che prova, però, ad essere attento, non foss’altro per rileggersi senza vergogna a distanza di tempo) i punti saldi (i criteri di giudizio, se vogliamo) sono quelli che ai miei lettori sono ben noti: liberal-democrazia (nel senso predetto), rule of law, più Europa federale, rigorosa responsabilità fiscale (e previdenziale), tutela dei (veri) più deboli, concentrazione sulla creazione della ricchezza (prima che sulla sua distribuzione), studio e lavoro, disciplina inclusiva e lungimirante dell’immigrazione e dell’integrazione, politica estera sulla traccia di quella portata avanti da Draghi.

Sulla base di questi punti saldi, osserverò quel che è venuto fuori dal volere del popolo, con la ferma speranza che, all’apparir del vero, molte delle parole spese nella campagna elettorale restino, almeno in gran parte, appunto, parole da campagna elettorale; e che il sistema politico non si annidi in un acquietamento di pensiero, maschera di ogni poco curata transizione (Censis, Rapporto 2021).

Roma, 30 settembre 2022

 

sabato 24 settembre 2022

Pro-memoria per il 25 settembre

Da ricordare

(di Felice Celato)

Spero di rendere un piccolo servizio ai miei affezionati lettori segnalando alcune cose da ricordare.


Anzitutto: domani 25 settembre è la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Mi permetto di suggerire a tutti, laici o credenti, di celebrarla leggendo (o rileggendo) la pericope evangelica che proprio domani chi va in Chiesa si sentirà proclamare dall’altare. Si tratta (lo preciso per coloro che non sono avvezzi a questa frequentazione domenicale) del brano che parla di un povero di nome Lazzaro [In quel tempo Gesù disse ai farisei: “ C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo. E ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe….]. Chi non lo ricorda, lo trova al capitolo 16 (vv. 19-31) del Vangelo secondo Luca (disponibile anche in ebook!) e può leggerlo per intero e meditarlo per suo conto. Bene: propongo a tutti noi di pensare ai migranti ed ai rifugiati che incontriamo lungo le nostre strade come fossero tutti il Lazzaro del breve discorso parenetico di Gesù.


Poi, domani 25 settembre, al tramonto comincia la grande festa ebraica di Rosh Hashanah (il capodanno ebraico) e l’augurio che tutti dovremmo ricordarci di fare ai nostri fratelli maggiori di fede ebraica è quello della loro tradizione: Possa il tuo nome essere inscritto e conservato (nel libro della vita) per un buon anno. In questa festa, il tradizionale suono dello shofar (un corno di montone fatto tromba) è destinato a risvegliare il popolo ebraico dal suo torpore, ricordandogli che sta per avvicinarsi il giorno in cui verrà giudicato. Secondo i racconti dei midrashim ebraici (strumenti della tradizione religiosa per illustrare e spiegare quelli propriamente biblici) Dio, assiso sul trono e con i libri che raccolgono la storia dell’umanità davanti a sé, prende in esame ogni persona per valutare se meriti o non meriti il perdono. 


Ah! Quasi dimenticavo: domani, in questa piccola crosta del mondo che abitiamo rumorosamente, si vota per una non prevista consultazione popolare sul governo che il paese (dove abita meno dell’1% della popolazione del globo) vuol darsi per i prossimi anni (o mesi?), mentre nel mondo ribollono fetidi umori, agitati da gelidi venti. Ricordiamoci di recarci alle urne, quand’anche – come è facile – ci abbia nauseato la campagna elettorale cui abbiamo assistito; anche facendo risuonare dentro di noi il lugubre suono dello shofar: magari di quello che verrà fuori da questo improvvido evento non resterà traccia nei libri che raccolgono la storia dell’umanità; forse però, nel libricino che riguarda questa piccola porzione dell’umanità che siamo noi, qualche sgualcitura è possibile. A Roma comunque è prevista tempesta (in senso meteo, naturalmente).

Buona domenica a tutti, in attesa di lunedì (fra l’altro è anche previsto un incontro Italia – Ungheria, ma di calcio per fortuna).

Roma 24 settembre 2022

domenica 18 settembre 2022

Lessico e nuvole (politiche)

 Una precisazione… pedante

(di Felice Celato)

Nel blue mood che caratterizza le mie aspettative elettorali (credo di averne parlato fin troppo nei post più recenti), l’ultima cosa che vorrei aggiungere per rendermi definitivamente pesante è una precisazione “lessicale” alla quale, però, sono molto affezionato (tant’è che più volte ne ho scritto qui).

Per dimostrare che non è una solo mia ossessione, lo farò prendendo in prestito le parole recenti di Francis Fukuyama (in Il liberalismo e i suoi oppositori, Utet, 2022) per la loro succinta chiarezza (ma il concetto è tutt’altro che nuovo): a rigore, liberalismo e democrazia sono basati su differenti principi e istituzioni. La democrazia si riferisce al governo del popolo, che oggi è istituzionalizzato in periodiche elezioni multipartitiche, libere ed eque, basate sul suffragio universale degli adulti. Il liberalismo (….) si riferisce allo Stato di diritto, un sistema di regole formali che limitano i poteri dell'esecutivo, anche se quello esecutivo viene democraticamente legittimato tramite un'elezione.

In sostanza siamo di fronte a due concetti di diversa natura (ma, nella mia visione, necessariamente “consustanziali”): procedurale, il primo, perché attiene al metodo di formazione della volontà politica di un paese (la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, come recita appunto il secondo comma dell’art. 1 della nostra carta costituzionale); il secondo, di natura effettivamente valoriale, perché attiene, appunto, ai valori (stato di diritto, primato morale della persona, eguaglianza, diritto all’autonomia, libertà di parola, di associazione, di fede, di vita politica, etc.) che incarnano le fondamenta di una convivenza civile.

Nel suo magnifico (e profetico!) libro (The future of freedom, Norton & Co., 2003, ormai quasi “ventenne” e qui più volte citato), Fareed Zakaria analizza in ottica globale le frizioni fra democrazia e libertà e i pericoli cui quest’ultima è talora esposta quand’anche uno stato possa dirsi – dal punto di vista meramente  procedurale – uno stato democratico. E Anne Applebaum, più recentemente (cfr. Il tramonto della democrazia – Il fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo, Mondadori, 2021), in qualche modo aggiorna le esemplificazioni al riguardo; come pure avevano fatto – anche in ottiche diverse –  Steven Levitsky e Daniel Ziblatt (cfr. Come muoiono le democrazie, Laterza, 2019, ebook) e Yascha Mounk (cfr. Popolo vs Democrazia – Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Feltrinelli 2018, ebook), tutti segnalati su queste colonnine. 

Dunque, per venire alla conclusione di questa pedante notarella e con riferimento ad alcune focose prese di posizione di questi tristi giorni di campagna elettorale, oserei dire che la riaffermazione di "valori democratici" (perché la volontà di uno stato si è formata democraticamente, per esempio in Ungheria) non mi dà alcun conforto circa la natura di quel modello (se di modello si trattasse per qualcuno); a meno che non possa anche dirsi che quella democrazia è anche una democrazia liberale (nel senso sopra detto).

Di una democrazia illiberale non abbiamo  né desiderio né rimpianti (in fondo anche Mussolini nel 1924 ed Hitler nel 1933 ricevettero un ampio consenso democratico, e non credo che tale consenso fosse solo apparente, ancorché espresso in forme di sicuro democraticamente non limpide). Anzi, più brutalmente, (e mi si scusi l’autocitazione da un post del 7 aprile 2017) non saprei che farmene dei cosiddetti valori democratici (in termini più rigorosi: di governanti scelti democraticamente dalla maggioranza) se non fossero indissolubilmente connessi coi valori liberali che stabiliscono il primato della persona sullo stato e, a questo, fissano limiti invalicabili.

Roma 18 settembre 2022

domenica 11 settembre 2022

Meno 14

A due settimane dalle elezioni

(di Felice Celato)

A due settimane dalle pessime elezioni che ci aspettano, so già che continuerò ad essere (cfr. Chi scrive, qui accanto) un elettore sempre deluso da chi ha votato; una ragione in più per non dire, qui, come (probabilmente) voterò; fermo restando che, se Dio vorrà, mi recherò alle urne, come è dovere di ognuno che voglia dirsi “un buon cittadino”; per sbagliare ancora, molto probabilmente, ma – per non dovermene vergognare –  non senza aver riflettuto lungamente (e soffertamente) sulla perdurante povertà della nostra offerta politica, in un passaggio cruciale della nostra storia recente e, soprattutto, del nostro presente, nel durissimo contesto che si prospetta per i mesi (o per gli anni) a venire.


La politica pecca di irrealtà, ha scritto qualche giorno fa sul Corriere della Sera Sabino Cassese: prende per reale il contingente e il quotidiano, spesso l’effimero. Fa programmi che sono tutti al presente, senza prospettare un futuro. Elenca promesse, ma non indica tempi e costi. Guarda alla tasca, in una sorta di bengodi, prospettando un’orgia di sgravi, bonus, superbonus, stabilizzazioni, adeguamenti stipendiali, senza chiedersi con quali mezzi finanziarli e come gestirli. Del resto – e qui, uso le parole dell’ultimo Rapporto Censis, quello del 3 novembre 21, che ci etichettava come la società irrazionale – nessuno si azzarda a dire che l'approccio da economia sussidiata e il consolatorio rifugio in traguardi indistinti e iniziative opache sono anche una forma di autodifesa dal dover prendere coscienza di antichi mali; e (aggiungerei io) di più recenti e gravi diffuse corresponsabilità. 


Ma mi parrebbe di poter dire che la politica (in Italia) pecca pure di vacuità (dalla Treccani on linemancanza di consistenza, povertà assoluta di capacità intellettuale e di contenuti) anche quando prospetta, con incongruo vigore, (verosimili?) cambi di paradigmi politici, o quando si appollaia su vecchi concetti (e usurati ideologismi) per scongiurare quei cambi, che, pure, sembra aver accettato con rassegnazione.


Quando si approccia in questi termini il buio periodo politico che viviamo, viene inevitabilmente da chiedersi che tipo di domanda politica stia stimolando quel tipo di offerta; e sorge il dubbio che l’offerta politica sulla quale esprimeremo il voto sia, anche, il frutto di quel diffuso acquietamento del pensiero (copyright Censis, ibidemche si annida, prima che nel sistema politico, nel sottosviluppo di una moderna coscienza collettiva del nostro paese.


Forse non ci sarebbe quell’offerta politica se non ci fosse, nascosta nei precordi del paese, questa domanda di politica, fatta di un culto irrazionale per l’onnipresenza dello stato come protettore di prima istanza, come ombrello onnipotente di fronte ai temporali della storia, come protagonista attivo in ogni angolo dell’economia, in fondo – da questo punto di vista – come erede, allo stesso tempo, del concetto di stato del fascismo e dell’eurocomunismo (sì: anche nella forma di catto-comunismo!) che ha caratterizzato gran parte della vita politica e culturale del nostro paese per ben più di un cinquantennio. Non è un caso – credo – che nessuno (a parte qualche sparuta minoranza radicale, peraltro focalizzata quasi monisticamente sui temi dei diritti), in questo nostro povero paese, abbia più il coraggio di richiamarsi credibilmente, soprattutto in economia, ad ideali liberali, cui tutti, anzi, si affannano ad alludere con parole di senso preconcettamente negativo, frutto di suggestive sconoscenze (Scendete pure in piazza contro il neoliberismo – scrive Alberto Mingardi nel suo bel libro, La verità, vi prego, sul neoliberismo, Marsilio, 2019 –, ma prima cercate di capire di che cosa si tratta). 


Che la civiltà liberale, coi suoi principi, le sue istituzioni, le sue regole, sia il più importante dono dell'Europa moderna al mondo  e che un sia pur imperfetto ordine liberale offre più di quanto prende, distribuisce beni pubblici (condizioni favorevoli allo sviluppo economico, sostegno alla democrazia e, quindi ai governi per consenso, preservazione della pace) il cui afflusso è nell'interesse di tutti non interrompere (A. Panebianco e S. Belardinelli: All’alba di un nuovo mondo, Il Mulino, 2019), sembrano verità non sufficientemente suggestive per basarci offerte politiche appetibili per un elettorato accuratamente avvezzato alla statolatria. E allora va bene invocare fiscalizzazioni della realtà, misteriosi patriottismi, ossessioni confinarie e purismi quasi raziali, ossidati populismi, propinando – se capita – anche ambigui ammiccamenti alla scarsa solidità del nostro essere cittadini dell’Unione Europea. 


L’importante è trasmettere al popolo sovrano, convocato attorno all’altare del dio-stato, il messaggio che gli eletti potranno fare grandi cose per lui, preservandolo dal male che c’è intorno ed anche in mezzo al popolo.

Con queste percezioni per la testa, è veramente difficile attendersi grandi cose dal voto del 25 settembre. Ma, come sempre, chi vivrà vedrà. E ancora una volta spero veramente di sbagliarmi.

Roma 11 settembre 2022