domenica 11 settembre 2022

Meno 14

A due settimane dalle elezioni

(di Felice Celato)

A due settimane dalle pessime elezioni che ci aspettano, so già che continuerò ad essere (cfr. Chi scrive, qui accanto) un elettore sempre deluso da chi ha votato; una ragione in più per non dire, qui, come (probabilmente) voterò; fermo restando che, se Dio vorrà, mi recherò alle urne, come è dovere di ognuno che voglia dirsi “un buon cittadino”; per sbagliare ancora, molto probabilmente, ma – per non dovermene vergognare –  non senza aver riflettuto lungamente (e soffertamente) sulla perdurante povertà della nostra offerta politica, in un passaggio cruciale della nostra storia recente e, soprattutto, del nostro presente, nel durissimo contesto che si prospetta per i mesi (o per gli anni) a venire.


La politica pecca di irrealtà, ha scritto qualche giorno fa sul Corriere della Sera Sabino Cassese: prende per reale il contingente e il quotidiano, spesso l’effimero. Fa programmi che sono tutti al presente, senza prospettare un futuro. Elenca promesse, ma non indica tempi e costi. Guarda alla tasca, in una sorta di bengodi, prospettando un’orgia di sgravi, bonus, superbonus, stabilizzazioni, adeguamenti stipendiali, senza chiedersi con quali mezzi finanziarli e come gestirli. Del resto – e qui, uso le parole dell’ultimo Rapporto Censis, quello del 3 novembre 21, che ci etichettava come la società irrazionale – nessuno si azzarda a dire che l'approccio da economia sussidiata e il consolatorio rifugio in traguardi indistinti e iniziative opache sono anche una forma di autodifesa dal dover prendere coscienza di antichi mali; e (aggiungerei io) di più recenti e gravi diffuse corresponsabilità. 


Ma mi parrebbe di poter dire che la politica (in Italia) pecca pure di vacuità (dalla Treccani on linemancanza di consistenza, povertà assoluta di capacità intellettuale e di contenuti) anche quando prospetta, con incongruo vigore, (verosimili?) cambi di paradigmi politici, o quando si appollaia su vecchi concetti (e usurati ideologismi) per scongiurare quei cambi, che, pure, sembra aver accettato con rassegnazione.


Quando si approccia in questi termini il buio periodo politico che viviamo, viene inevitabilmente da chiedersi che tipo di domanda politica stia stimolando quel tipo di offerta; e sorge il dubbio che l’offerta politica sulla quale esprimeremo il voto sia, anche, il frutto di quel diffuso acquietamento del pensiero (copyright Censis, ibidemche si annida, prima che nel sistema politico, nel sottosviluppo di una moderna coscienza collettiva del nostro paese.


Forse non ci sarebbe quell’offerta politica se non ci fosse, nascosta nei precordi del paese, questa domanda di politica, fatta di un culto irrazionale per l’onnipresenza dello stato come protettore di prima istanza, come ombrello onnipotente di fronte ai temporali della storia, come protagonista attivo in ogni angolo dell’economia, in fondo – da questo punto di vista – come erede, allo stesso tempo, del concetto di stato del fascismo e dell’eurocomunismo (sì: anche nella forma di catto-comunismo!) che ha caratterizzato gran parte della vita politica e culturale del nostro paese per ben più di un cinquantennio. Non è un caso – credo – che nessuno (a parte qualche sparuta minoranza radicale, peraltro focalizzata quasi monisticamente sui temi dei diritti), in questo nostro povero paese, abbia più il coraggio di richiamarsi credibilmente, soprattutto in economia, ad ideali liberali, cui tutti, anzi, si affannano ad alludere con parole di senso preconcettamente negativo, frutto di suggestive sconoscenze (Scendete pure in piazza contro il neoliberismo – scrive Alberto Mingardi nel suo bel libro, La verità, vi prego, sul neoliberismo, Marsilio, 2019 –, ma prima cercate di capire di che cosa si tratta). 


Che la civiltà liberale, coi suoi principi, le sue istituzioni, le sue regole, sia il più importante dono dell'Europa moderna al mondo  e che un sia pur imperfetto ordine liberale offre più di quanto prende, distribuisce beni pubblici (condizioni favorevoli allo sviluppo economico, sostegno alla democrazia e, quindi ai governi per consenso, preservazione della pace) il cui afflusso è nell'interesse di tutti non interrompere (A. Panebianco e S. Belardinelli: All’alba di un nuovo mondo, Il Mulino, 2019), sembrano verità non sufficientemente suggestive per basarci offerte politiche appetibili per un elettorato accuratamente avvezzato alla statolatria. E allora va bene invocare fiscalizzazioni della realtà, misteriosi patriottismi, ossessioni confinarie e purismi quasi raziali, ossidati populismi, propinando – se capita – anche ambigui ammiccamenti alla scarsa solidità del nostro essere cittadini dell’Unione Europea. 


L’importante è trasmettere al popolo sovrano, convocato attorno all’altare del dio-stato, il messaggio che gli eletti potranno fare grandi cose per lui, preservandolo dal male che c’è intorno ed anche in mezzo al popolo.

Con queste percezioni per la testa, è veramente difficile attendersi grandi cose dal voto del 25 settembre. Ma, come sempre, chi vivrà vedrà. E ancora una volta spero veramente di sbagliarmi.

Roma 11 settembre 2022 

 

 

 

 

 

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