domenica 30 marzo 2014

Corsivo

Quote rosa
(di Felice Celato)
Fra passaggio della primavera, arrivo dell’ora legale e la quantità di buio che vedo dattorno, oggi sarebbe bene non scrivere alcunché.
Ma poiché mi è venuto in mente, fra le tante cose sgradevoli, un pensiero quasi divertente, mi affretto a metterlo su carta, così non pensiamo al resto: siamo ossessionati dalle cosiddette quote rosa, in politica, nelle liste elettorali, nelle compagini ministeriali, nei consigli d’amministrazione, nei collegi sindacali, etc.. 
Ma allora - mi domando - perché vogliamo abolirle, queste quote rosa, proprio nell’unico organismo fondamentale per la società (la famiglia fondata da un uomo e una donna), dove da sempre le quote rosa non hanno trovato ostacolo, anzi si sono naturalmente imposte senza sforzo e senza forzature, dove funzionano da sempre e danno anche ottimi frutti?
Io sono favorevole alle quote rosa (e, perbacco!, come si potrebbe contestare questo caposaldo del politically correct cui tutti –pare – siamo tenuti?), tanto favorevole che vorrei mantenerle (obbligatoriamente) dove già ci sono!
In fondo non è stato proprio sgradevole avere un padre ed una madre; anzi, mi sono tanto innamorato della formula (della quale ringrazio Iddio), che, nel mio piccolo, ad essa mi sono strettamente attenuto, né – francamente – mi è venuto mai in mente qualcosa di diverso. Ma, si sa, io sono un conservatore!
Roma 30 marzo 2014

domenica 23 marzo 2014

Sul divano

Leggendo il giornale
(di Felice Celato)
Leggendo il giornale di oggi (Il Corriere della sera, per l’esattezza), ho trovato diversi spunti di riflessione che vorrei girare all’ attenzione dei miei lettori (pochi, per fortuna, ma buoni).
  • E’ uscito, in Francia, un libro di due psicologhe francesi (Catherine Sellenet e Claudine Paque, L’enfant préferé) che, come dice il titolo dell’articolo, “infrangono il tabù: il figlio prediletto esiste”. Mi è tornata in mente la parabola cosiddetta del figliol prodigo (Lc, 15, 11 e segg.) Quale era il figlio prediletto del padre? E mi sono sentito in colpa: io ho addirittura due figli prediletti!
  • Pierluigi Battista parla del rischio di ridisegnare la geografia, fra cose serie (la possibile “scissione” del Belgio, il referendum sull’autonomia della Scozia) e cose meno serie (il “referendum” via internet sulla secessione del Veneto): “troppe volte tutto è cominciato che sembrava uno scherzo”, conclude, a ragione, Battista. Anche quando le cose non cominciano con uno scherzo, la sottovalutazione è un pericolo costante; in fondo, racconta Emilio Gentile (Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo. Storia illustrata della Grande guerra, Laterza, 2014, pg. 9), pare che Francesco Giuseppe abbia confessato alla figlia, commentando la forzata successione  dell’arciduca Carlo al ruolo di erede al trono detenuto dall’arciduca Francesco Ferdinando, ucciso a Sarajevo, che per lui era “un grosso pensiero in meno”. Mi sono tornate in mente le elegie di Joseph Roth sulla fine dell’impero Asburgico per il dilagare dei “nazionalismi”: “sopra i bicchieri dai quali spavaldamente bevevamo, la morte invisibile incrociava già le sue mani ossute”. (La Cripta dei cappuccini, IV).
  • La Coldiretti si scaglia (come dicono i bravi giornalisti) “contro i furbi del Made in Italy”. Spiega l’articolo: “prosciutti venduti come italiani ma provenienti da maiali allevati all’estero (NdR: perché come li alleviamo noi, i maiali, nessun altro li sa allevare!), pasta ottenuta da un grano coltivato fuori dai confini (NNdR:  1. sacri? 2. Certo che se il Veneto si stacca dall’Italia….), etc.” E mi sono domandato: come la mettiamo col cioccolato, con la adorata Nutella o col caffè dal tipico sapore napoletano?

Roma,23 marzo 2014 (ultimo colpo di coda dell’inverno?)


sabato 22 marzo 2014

Clima

Sospensione di giudizio
(di Felice Celato)
C’è un clima strano, in Italia, in queste settimane. Io stesso ne risento, tanto vero, che, come forse avrete notato, per qualche giorno mi sono ritratto anche dalle nostre chiacchierate via internet. Ho partecipato invece, con media soddisfazione, ad alcuni scambi di idee letterarie su uno dei tanti blog di appassionati lettori.
Quando dico strano clima, non intendo, vi sarà già chiaro, quello meteorologico che è quello tipico della primavera, che a molti non piace per qualche allergia che si risveglia; intendo quello psicologico, se così si può dire del diffuso senso di sospensione che si avverte dattorno; sospensione di giudizio nel duplice senso che cercherò di illustrare per come mi pare di recepirlo parlando con amici e conoscenti e leggendo i giornali.
Da un lato c’è una diffusa sospensione di giudizio sulle prime mosse del nuovo Governo: molti evitano di soppesare l’eterno (da noi) sbilancio fra il piatto delle promesse (i fini) e quello delle attuazioni (i mezzi). Si sentono intimoriti dalla possibile evidenza di un nuovo inciampo, percepiscono la dinamica del cambiamento che sembra essersi innestata come un gesto quasi disperato, nel senso che, faute de mieux, si è provato un salto epocale, senza bene calcolare se si riesca a sollevarsi dal suolo e quanto a lungo si riesca a stare in aria. Solo chi sa di essere pesante, lasciatevelo dire da chi se ne intende di questo, sa bene che, quand’anche si riesca a staccarsi dal suolo, si ricade subito; chi si sente leggero può pensare anche di essere Bob Beamon o Mike Powell e quindi spiccare il volo e magari, perché escluderlo, diventare il nuovo campione del mondo. E dunque, mi pare che tutti pensino, aspettiamo ancora un po’ e poi vediamo quanto lontano si sia arrivati. Per ora godiamoci la rincorsa, per quanto appaia già zoppicante, ancorché apparentemente potente.
Dall’altro, c’è invece una sospensione del giudizio, inteso per tale quello che negli uomini si manifesta di solito con un mal di denti che dovrebbe fisicamente annunciare l’arrivo della maturità. E’ vero, si dirà, che da tempo ne facciamo scarso uso, sennò non ci troveremmo come ci troviamo. Ma, perbacco!, ora si scherza col fuoco! Sbaglierò, ma lo sgangherato referendum telematico del Veneto non porterà nulla di buono nel  contesto, già di per sé mentalmente turbato, della imminente tornata elettorale europea. Non manca perfino chi ritiene di ispirarsi alla primavera di Crimea. E per la verità non trovo nemmeno assennato il mantra stupidamente bulletto di cui tutti i politici, dell’una e dell’altra parte, del Governo e dell’opposizione, sembrano innamorati, tanto da desiderare di ripeterlo a proposito (talora) e a sproposito (molto, molto spesso) quando parlano d’Europa: mi sembra un vellicamento di piccole pulsioni scioviniste alle quali non annetto nemmeno barlumi di intelligenza, anche se ne intuisco, con timore, il significato elettorale.
Attenti, scriteriati giovani e vecchi! “Le parole generano opinioni, le opinioni danno forma ai sentimenti e i sentimenti diventano fatti” scriveva qualche tempo fa qualcuno. Che succederebbe, in questa concatenazione causale, se le parole fossero stupide?
Roma, 22 marzo 2014


PS: ieri ho dato un passaggio in macchina ad una sconosciuta, vecchia suorina che da viale Romania voleva andare verso il lungotevere. Chiacchierando amabilmente, Suor Franceschina (così si chiama, curiosamente mi ha dato anche un biglietto da visita) mi ha elargito un “grande” consiglio, valido, dice lei, per tutti: cessare immediatamente di guardare la televisione! Ho provato a dirle che io guardo solo il calcio, il golf e il sumo (quando c’è) e Don Matteo; niente da fare, dice suor Franceschina, sospendere subito! E chissà che non abbia ragione. Deciderò domani, dopo Lazio – Milan. 

domenica 9 marzo 2014

Spigolature italiane

Schizofrenie e smemoratezze
(di Felice Celato)
  • Vogliamo abolire i termini anagrafici ( ma non solo anagrafici, per la verità! ) di padre e di madre, perché diciamo, con pomposità un po’ fessa, il genere non conta (più). Però vogliamo che il genere conti nelle liste elettorali. Ma allora, serve o non serve 'sto genere che ci è diventato di peso quando parliamo di madre e di padre?
  • Va di moda, ad ogni cambio di governo, spargere dubbi sulla qualità del conti lasciati " dalla gestione precedente". Sono pressoché certo che il problema non ha consistenza tecnica, nel senso che non credo che nessuno abbia "truccato" i conti nazionali. Invece il problema è, se non mi sbaglio nell'interpretare ( per la verità con qualche fatica) il senso di queste ormai ricorrenti affermazioni sempre oscure, che i vari Governi, nel formulare previsioni di entrate e di uscite, tendono, di solito, " a gettare il cuore oltre l'ostacolo" formulando (ragionati) auspici più che (realistiche) previsioni ( ho sempre raccomandato a chi ha di questi slanci:quando gettate il cuore oltre l'ostacolo, badate bene che  la testa rimanga collegata col cuore, sennò ci troveremo col cuore di là e la testa di qua dell'ostacolo!). Una vecchia proposta torna di moda: e se provassimo a dire sempre la verità ai governati?
  • Per la memoria dei molti smemorati ricordo che il Fiscal Compact (sul quale in tanti fanno spallucce) è stato approvato da 24 stati europei, meno di due anni fa, nell’estate 2012; in Italia, al Senato (315 membri) con 216 sì, 21 astenuti e 24 no; alla Camera dei Deputati (630 membri) con 368 sì, 65 astenuti e 65 no. Senza considerare gli astenuti (chissà poi con quale faccia uno che è stato mandato lì per votare per conto del famoso popolo non sa che pesci pigliare su una decisione tanto rilevante?) parliamo del 62% dei membri del Parlamento; i “veri” contrari erano meno del 10%. Ah! Sempre per gli smemorati: il Fiscal Compact prevede che l’eccedenza di debito pubblico di ciascuno Stato (cioè la differenza fra il debito pubblico effettivo -attualmente, da noi, 133% del PIL- e quello “obbiettivo” del 60% sempre del PIL) venga ridotta al ritmo di 1/20 (cioè del 5%) all’anno a partire dal terzo anno successivo alla chiusura di eventuali procedure di infrazione (cioè, per l’Italia, dal 2016). Come abbiamo ricordato qualche settimana fa, proprio su questo blog, negli ultimi anni di “austerity”, dopo la crisi del 2008, l’abbiamo aumentato, il debito pubblico, più o meno di 27 punti percentuali! Per carità, anche la contrazione del PIL ha contribuito grandemente; e una (futura e -come ti sbagli!- auspicata) ripresa del PIL mitigherebbe di molto la gravità del problema....ma le spallucce mi paiono proprio da incoscienti.

Roma, 9 marzo 2014 (Santa Francesca Romana)


venerdì 7 marzo 2014

La grande sfida

Papa Francesco
(di Felice Celato)
Eccoci qua, dunque ci avviciniamo a celebrare il primo anno di questo straordinario pontificato, dopo aver celebrato quello del gesto profetico di Benedetto XVI.
Per la verità, da buon guelfo, clericale e paolotto*, sono portato a considerare ogni pontificato a suo modo straordinario (non mi vergogno ad ammetterlo: io sono di quei “creduloni” che credono ancora allo Spirito Santo e alla sua presenza nella Chiesa): tutti quelli che ricordo, almeno dall’età della ragione (e, quindi, dopo Pio XII, nell'ordine: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II e Benedetto XVI), per motivi diversi mi sono apparsi – e forse sono veramente stati – straordinari, talora per particolari carismi anche umani dei pontefici (Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II), talora per la libertà della loro visione del mondo e per la loro sapientia cordis (Giovanni XXIII), talora per la sapientia mentis et cordis (Benedetto XVI), talvolta per la parola profonda e sofferta (Paolo VI e Benedetto XVI), talaltra, infine, semplicemente e superficialmente, per il legame del loro tempo coi tempi migliori della mia “gioventù” (Paolo VI) o con quelli più pensosi della mia "tarda maturità"(Benedetto XVI); e certamente anche il pontificato di Francesco ha una sua straordinarietà e un suo fascino che abbiamo già scoperto con grande simpatia in questo suo primo anno e che spero ci accompagni a lungo.
Per certi aspetti, il suo pontificato ha un sapore "Roncalliano": il grande carisma dell’uomo, la sua semplicità non banale, la sua naturale cordialità,  l’entusiasmo che sente e comunica per la fede (come del resto sapeva fare anche Giovanni Paolo II) ne fanno un segno vivente di una Chiesa buona compagna dell’uomo.
Per altri aspetti, invece, Francesco sembra dotato di una (tutta sua) sensibilità empatica (rara nei papi!) che – forse perché in una certa misura estranea al suo immediato predecessore – ne fa risaltare “la novità” (anche quando, per fortuna, novità non è) agli occhi di un mondo che appunto alla “novità” sembra attribuire una incondizionata virtù, specialmente in materia ecclesiale (che normalmente sconosce.) E così Francesco diventa il segno vivente di una Chiesa che si avvicina al mondo, con fiducia e coraggio, “come nessuno aveva mai fatto prima di lui”, ha detto qualcuno poco pratico di Chiesa.
Ecco, lungo gli insidiosi crinali di questi duplici segni, sta la grande sfida che, con coraggio, il papa venuto “dalla fine del mondo” ha preso sulle spalle, quasi fingendo di non sentirne il peso e, da uomo di grande fede, di non volerne considerare i rischi: certamente Francesco sa bene che la Chiesa, nell’essere buona compagna dell’uomo, non cessa di esserne maestra (mater, sì, ma anche magistra); come pure sa bene che il cristiano (e dunque la Chiesa) deve essere nel mondo senza essere del mondo. Proprio in questo sta la grandezza della sua sfida; nel fatto cioè che “il mondo” non vuole maestri (perché si sente maestro a se stesso) né estranei  che non si lascino omologare alla sua misura. E dunque Francesco accetta di parlare al mondo, di stare nel mondo, come da compagno e da “interno”, quando solo compagno non può essere né può esserne omologo: e in questi ruoli prova a proporre quotidianamente il “praecipuum” della sua missione petrina, magari non come il Gesù che sale sulla montagna ( o si scosta dalla riva con la barca) per parlare alla folla ma come il Gesù che, fattosi viandante fra viandanti, parla lungo il cammino, sulla strada per Emmaus.
Una sfida difficile, perché il mondo assimila ed omologa, direi fagocita, e magari tratta il papa come fosse un eroe da sorrisi e canzoni; non ama, il mondo, discorsi dalla montagna, non tollera che gli vengano additate strade più faticose di quelle che da solo crede di individuare; e quando è stanco del percorso, verso sera, anche se ha gradito la compagnia, non necessariamente dice "resta con noi Signore".
Francesco certamente lo sa, non sarebbe un discepolo di Sant'Ignazio se non sapesse che il partecipare e l'accompagnare prendono senso dal discernere: solo ha più fede di chi si preoccupa di qualche sua parola che appaia concessiva, che usa come strumento di dialogo e come esca per i pesci più lontani, a costo di lasciare talora sorpresi i più vicini.
Speriamo con tutto il cuore che la sua sfida abbia successo; anzi, ne siamo sicuri, perché, anche questo papa, ci viene dallo Spirito Santo ( e poi perché, innegabilmente, ci sta simpatico, anche quando ci sorprende).
Roma, 7 marzo 2014

* per chi non conosce il termine: in origine nome dato ai membri della Compagnia di San Vincenzo de' Paoli; poi passato a significare, soprattutto nell’Italia del centro-nord, genericamente bacchettone, bigotto, baciapile.