domenica 30 agosto 2015

Il problema della trazione

Settembre, andiamo. E' tempo di migrare
(di Felice Celato)
Così scriveva D’Annunzio tanti anni fa, avendo in mente le transumanze pastorizie.
Oggi la parola migrare evoca ben altri problemi, di fronte ai quali anche noi ci rifugiamo nei consueti schemi “deviazionisti”, deviando cioè l’attenzione dal cuore dei problemi (guerre di religione alle porte osservate passivamente, pressioni umanitarie, economiche e demografiche destinate a durare) alle epifanie, magari scellerate, degli stessi: e così vagheggiamo di inasprimenti normativi, di respingimenti, di caccia agli scafisti, etc.. Una specie di caccia al capotreno dei convogli che deportavano gli ebrei o ai capistazione che li facevano passare, nella speranza di fermare così la Shoà. Anche qui, la lezione chiara e pragmatica della signora Merkel potrebbe farci scuola.
Ma non di questa migrazione vorrei occuparmi oggi, anche se in fondo dello stesso “deviazionismo” si tratta. Abuso, lo so, di una parola che ha avuto tutt’altri significati nella storia, ma che, mi pare, fotografi icasticamente la tendenza che abbiamo, soprattutto in questo nostro paese ciarliero e godereccio, a deviare l’attenzione dai problemi che dobbiamo affrontare a quelli che possiamo affrontare (o meglio, crediamo – se le maggioranze lo consentono – di poter affrontare, non tanto per risolvere quanto per eludere gli altri, quelli che dovremmo affrontare).
Mi riferisco al grande consenso che, indubbiamente, è stato costruito attorno alla “necessità delle riforme” senza il riguardo che merita il….merito delle stesse. Certe volte, rispolverando vecchie reminiscenze ferroviarie, mi viene in mente una metafora: se, per esempio, si fosse deciso che è necessario ed urgente aumentare la velocità dei treni (quella della rete ordinaria!), che ne direste di un “padrone delle ferrovie” che affrontasse prima di tutto il problema dei criteri di nomina del consiglio d’amministrazione delle Ferrovie, poi quello del mansionario dei capitreno ed, invece, trascurasse di occuparsi, chessò, del segnalamento, dei binari o della trazione?
Bene, anche qui, come sopra per la signora Merkel a proposito dei migranti, una lezione ci viene – così almeno pare di leggere dai dati pubblicati recentemente – dall’Europa, e precisamente dalla Spagna dove il premier Rajoy sta guidando il paese ad una crescita che è di diverse misure superiore alla nostra, forse solo avendo affrontato per primo il problema della “trazione” piuttosto che quello delle regole istituzionali, forse (non so) da rivedere anche in Spagna, ma certamente non prima che l’emergenza depressiva sia  stata posta alle spalle.
Ecco perché, al sopraggiungere di settembre, quando l’attività anche politica riprende a pieno ritmo, mi viene in mente la necessità di migrare dalla superficie (che può appassionare i politici a caccia di occasioni per dividersi) alla profondità dei nostri mali, che saranno anche istituzionali – non lo nego – ma che sono soprattutto economici, fiscali (e finanziari), di trazione, insomma.
A leggere le cronache partitiche agostane non pare che la migrazione stia al top delle attenzioni. Ma, ritemprato dalla sosta e non ostante il breve soggiorno Leopardiano, non voglio indulgere al pessimismo: aspettiamo la voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina. Francamente, in quella del nostro di certo vigoroso Premier (odierna intervista al Corriere della sera) ho percepito, come D’Annunzio nella poesia, isciacquii e calpestii ma non so se siano sufficienti. Forse ci vuole dell’altro. Vedremo. E – temo – torneremo a parlarne.

Roma ,30, ultima domenica d’agosto 2015

lunedì 24 agosto 2015

Verso settembre

Soluzioni ioniche
(di Felice Celato)
Durante il mese di agosto, nell’illusoria speranza di ristorare l’intelletto con una salutare presa di distanza dai problemi che affliggono il nostro Paese, ho dedicato le mie attenzioni a quella che chiamo la nostra società ecclesiale, cioè alle “riflessioni” dei pastori del gregge dei fedeli Italiani: la scelta non si è rivelata felice, per la verità, perché mi è sembrato di constatare anche qui una angosciosa involuzione, se non della riflessione almeno della comunicazione episcopale, che non ha mancato di deprimermi.
Colle prime ventate pre-settembrine, ho ripreso oggi a seguire le cose Italiane, dalle quali, anche volendo, non possiamo prescindere nell’immaginare il futuro nostro e dei nostri figli.
Bene: sul Corriere della sera di oggi non ho quindi mancato di leggere l’ampia intervista rilasciata ad una brillante giornalista da Susanna Camusso, leader della CGIL, e quindi esponente di punta della nostra società civile, come si usa dire oggi; ed ho trovato subito di che preoccuparmi. La brillante proposta della  nostra è, se non ho capito male (cosa sempre possibile), sostanzialmente questa: mandare prima in pensione i lavoratori anziani – beninteso senza falcidie della loro pensione – per far posto a giovani disoccupati.
In altri termini lo sviluppo dell’occupazione, di cui tutti sentiamo angoscioso bisogno, è immaginato dalla Camusso non come espansione delle attività economiche (e quindi come creazione di nuovi posti di lavoro) ma come sostituzione di lavoratori nei posti di lavoro e per di più a spese delle già dissestate finanze del nostro sistema pensionistico! Una soluzione…alla greca, direi cedendo al vezzo di trovare altrove i nostri modelli!
Anche di questa idea agostana forse fra qualche giorno non si parlerà più; e quindi non mi preoccupa la strana idea in sé – sempre se l’ho capita bene – ma il retroterra culturale che la supporta. In Italia sembra non volersi capire che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’occupazione (vera) la genera l’impresa e non il debito corrente dello Stato; e che senza profitto non c’è impresa e senza impresa non c’è occupazione sostenibile; dunque occorre ripristinare le condizioni economiche, fiscali e culturali che consentano, all’ interno di regole chiare, efficaci e stabili, il perseguimento di un profitto (e il gusto dell’intrapresa). Questa è la vera riforma di cui abbiamo bisogno!
Potrà non piacere, questa verità, agli epigoni del social-comunismo che tanto bene ha già fatto al mondo; ma, fino ad oggi, non sono state trovate altre formule per attivare l’impresa. Se qualcuno ne ha trovata una, si affretti ad enunciarla, chiaramente e dettagliatamente. E tutti, anche quelli che, come me, sono consci dei tanti problemi che genera l’attività economica in ambiente competitivo per di più globalizzato, gliene saranno grati.
Un’altra perla dell’intervista sta nella ritrosa incursione nel politico (che, come ognuno sa, è sempre stato estraneo all’orizzonte proprio dei sindacati Italiani e in particolare della CGIL) che la Camusso si concede sul finire dell’intervista a proposito dell’ipotesi di voto anticipato: “E’ prerogativa del Parlamento deciderlo. Io faccio altro. Ciò che mi preoccupa è l’alta percentuale di astensione. La politica dovrebbe interrogarsi. O no?
Difficile darle torto, qui; però (defendit numerus!) la Confsal (quindi una fonte sindacale) qualche tempo fa rese noto che dei 5,7 milioni di iscritti alla CGIL, 3 sono di pensionati e che il tasso di sindacalizzazione complessivo in Italia è stimato fra il 35 e il 45%, largamente inferiore quindi al tasso di votanti sugli aventi diritto. I sindacati dovrebbero interrogarsi. O no?
Roma 24 agosto 2015


giovedì 20 agosto 2015

Interviste col caldo

Poveri noi!
(di Felice Celato)
Dunque monsignor Gianfranco Todisco, Vescovo di Melfi, Rapolla e Venosa, con una vigoroso intervista rilasciata al Fatto Quotidiano ha detto la sua: “Bergoglio (i.e. il Papa Francesco, NdR) ci ha invitato a ‘non essere timidi nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata’ che può danneggiare ‘gli onesti lavoratori’”.  E su questo assunto programmatico, ha illustrato la sua lettera a Marchionne sul lavoro domenicale in uno stabilimento della Fiat.
Ora, si sa, i Vescovi non sono sempre accorti nei rapporti coi media; è capitato – pare – anche a Galantino con Famiglia Cristiana, figuriamoci se non poteva accadere anche allo sventurato Vescovo meridionale con un giornale certamente non di ispirazione cattolica. Ma, di sicuro – beninteso, semplicemente lo spero da fedele affezionato anche alla dignità intellettuale della sua Chiesa – qualcosa non deve avere funzionato nella comunicazione fra Todisco ed il suo intervistatore. E perché presumi ciò? direte voi, miei poveri lettori.
Perché, appunto da fedele che non ha rinunciato all’uso della testa, mi rifiuto di pensare che un Vescovo possa avere detto queste cose, e anche in maniera così fatua. Esemplifico:
A Melfi il riavvio dell’attività è avvenuto dopo due anni di cassa integrazione. E’ stata una boccata d’ossigeno per ottomila famiglie….mi ero già augurato che il lavoro domenicale non continuasse a lungo. Sono al corrente della necessità del lavoro (sic!), la cui mancanza mortifica le persone, ma finito (sic!) questo tempo di grazia (sic!) permettiamo ai dipendenti di passare il tempo (sic!) con la famiglia…..perché quando il profitto viene messo al primo posto la famiglia diventa un albergo a cinque stelle (sic!) in cui c’è tutto quello che serve, ma dove non si sta più insieme….Un devoto mi ha scritto su WhatsApp  (sic!): ‘complimenti per la lettera’…il turno domenicale è un sacrificio per i lavoratori, non deve essere la norma…ora è il tempo di vacche grasse (sic!) e ci sta, ma mi auguro che poi ripensino i modelli di produzione…la domenica deve essere per tutti, anche per quelli che vogliono lavorare (sic!). Consideriamo anche che molti lavoratori vengono sfruttati, prendono 50 anziché 100 (sic!).”
Ora, una simile congerie di sciatterie non può, lo dico da fedele, guelfo e papista, costituire l’oggetto di una comunicazione di un Vescovo! A meno che, nell’ansia di acquisire l’odore delle pecore, il pastore non abbia perso la testa, infilando una serie di infortuni che francamente non sarebbero capitati nemmeno al più populista dei laici! Credo che bastino i “sic!” a commentare la sciatteria degli enunciati attribuiti (sperabilmente “per colpa del solito giornalista”) al Vescovo di Melfi; mi limiterò ad una osservazione di fondo che, certamente al Vescovo di Melfi (dichiarato conoscitore della Caritas in Veritate) non può essere sfuggita. Dunque, la domenica lavorano almeno: forze dell’ordine (carabinieri, finanza, polizia, vigili etc.), addetti alla sicurezza (vigili del fuoco e guardie forestali), addetti alla sanità (medici, infermieri, portantini, etc.), addetti al funzionamento di aeroporti, trasporti pubblici e privati, etc. etc.. E anche le Guardie Svizzere! Si dirà: ma quelli lavorano a tutela di ordine, sicurezza, sanità, mobilità, etc.; mentre quelli di Melfi lo fanno per far conseguire alla loro impresa l’orrido profitto!
Vero; ma si dà il caso che dalla possibilità di quel profitto dipendano, almeno: (1) l’occupazione e quindi la retribuzione dei lavoratori; (2) il pagamento dei contributi agli enti previdenziali per pagare le pensioni; (3) il pagamento dei fornitori di impianti e di materie prime; (4) il pagamento delle imposte dirette ed indirette (che a loro volta rendono possibile l’erogazione dei servizi dello stato e quindi, fra l’altro, le retribuzioni di quegli addetti ai servizi essenziali che lavorano anche di domenica, invece di passarla “nell’albergo a 5 stelle” dove sicuramente abitano le loro famiglie); e (5) gli interessi passivi alle banche che hanno prestato soldi attingendoli ai risparmi dei lavoratori depositati presso di loro; e se ce ne avanza – il che non a sempre è accaduto  per esempio alla Fiat in Italia – anche il dividendo agli azionisti.
Sono certo che domani leggeremo la chiara smentita di Mons.  Todisco che il giornale non mancherà di pubblicare. Beh! Almeno io lo spero (per prudenza comunque domani non compro il Fatto Quotidiano: non reggerei alla mancanza di smentita!).

Roma, 20 agosto 2015

domenica 16 agosto 2015

Polemiche confuse

Pensieri astratti su problemi concreti
(di Felice Celato)
Per chi, come me, si considera un cattolico convinto e, ad un tempo, un liberale convinto, risulta faticoso orientarsi nel grumo di polemiche, più o meno intelligenti, che si agitano sui giornali a proposto del problema rifugiati; problema che mi vede (istintivamente) appassionato simpatizzante dei profughi (dei loro drammi e delle loro speranze) quanto, per la verità, povero di competenze utili ad articolare proposte serie (per quelle non serie ci sono già i politici italiani) per la gestione di questa epocale provocazione rivolta dalla storia al nostro mondo. Non ho dubbi, peraltro, che se si sottoponesse ad un rozzo referendum l’atteggiamento degli Italiani verso il problema dei rifugiati, i voti degli anti-patizzanti  supererebbero largamente quello dei sim-patizzanti: ci siamo biecamente abituati a considerare i rifugiati come una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza, come una fastidiosa emergenza che moltiplica i problemi di occupazione che caratterizzano la nostra società o  come una minaccia per il futuro del nostro Paese, che già di problemi ne ha tanti, sicuramente in eccesso rispetto alla sua capacità di risolverli. E tuttavia negare che un caotico afflusso di rifugiati costituisca un problema, e anche serio, non aiuta certo ad affrontarlo secondo ragione.
In questo quadro estremamente confuso e problematico ma non privo, come abbiamo appena detto, di fondamenti ragionevoli, si è inserita una polemica Chiesa/politica che mi percuote su entrambi i versanti della mia cultura, quello di cattolico e quello di liberale (altri direbbe di laico; ma io dico di liberale).
Per l’esperienza che ho di me stesso, so che in queste situazioni tendo – a costo di apparire a me stesso astratto – a rifarmi ai principi sui quali si incardina (più o meno giustamente, ma certamente in maniera convinta) il sistema dei valori che rende (per me) compatibili, anzi…perfettamente equilibrate fra loro, la fede di un cattolico e le preoccupazioni di un liberale.
Dunque: il praecipuum della Chiesa sul piano morale mi pare essere quello di parlare – nella Verità – alla coscienza dell’uomo, additandogli il senso della sua natura creaturale, delle sue responsabilità  orizzontali prima che verticali (se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti col tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono, Mt. 5, 23-24), della comune paternità divina, della dignità di ciascun fratello creato ad immagine e somiglianza di Dio e da Questo amato. L’individuazione di soluzioni tecniche, invece, esula dalla sua competenza, almeno finché tali soluzioni non mettano in questione profili rilevanti per la coscienza, che la Chiesa – se del caso – non può, ma semplicemente, deve denunciare.
Il sommo magistero del Papa Emerito, d’altro canto, con una dotta citazione nel discorso di Regensburg (che tanto dispiacque ai lettori più scarsi), ricordava che “non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio”, per significarci, fra l’altro, che – come anche altre volte ebbe a dire – la fede cattolica è dunque ragionevole e nutre fiducia nella ragione umana.
Ora, non vi è dubbio, secondo me, che anche un problema (l’ho già detto) epocale come quello delle pressioni demografiche (ora, per effetto di situazioni emergenziali, divenute umanitarie), debba essere affrontato alla luce della ragione; e che l’esercizio di tale ragione costituisca il praecipuum della politica, magari – se non è troppo chiedere – illuminata nei suoi valori fondamentali dalla antropologia cristiana che costituiscono (mi dispiace per i francesi che sembrano vergognarsene!) l’innegabile sostrato della nostra civiltà occidentale.
Bene: se le cose, anche lontanamente, stanno come a me sembra, non c‘è dubbio che stia alla politica (e non alla Chiesa) il compito di trovare  soluzioni adeguate alla natura ed all’ intensità del problema dei rifugiati, nell’immediato, per il soccorso (come in fondo mi pare l’Italia stia ben facendo) e, nel tempo, per il ragionato inserimento nel nostro paese, secondo regole e limiti tutt’ora non pensati, di questo patrimonio di umanità che rifluisce disordinatamente sulle nostre coste; e che stia alla Chiesa il compito di richiamare alle coscienze (anche, per quel che può servire, dei Paesi dai quali i rifugiati fuggono) i valori propri del suo magistero morale, anche con il silenzioso esercizio della sua attività caritativa, indubbiamente esemplare ma complementare rispetto al suo praecipuum magistrale.
Che poi la Chiesa, al netto di scialbi infortuni di linguaggio, sappia bene come esercitare il suo magistero  mentre la politica non abbia nemmeno la più pallida idea di come mettere mano al suo dovere di ragionate azioni, è questione diversa e purtroppo non solo Italiana.
Tutto il resto, mi pare, francamente inutile; prima di tutto per la soluzione dei problemi.
Orbetello, 16 agosto 2015

giovedì 13 agosto 2015

Sconsolazioni agostane

Irriverenti divagazioni Leopardiane
(di Felice Celato)
Se mi giro indietro a guardare – tramite il nostro blog – quali sono stati i “pensieri” che il mese di agosto mi ha suggerito almeno nell’ultimo quinquennio, dovrei dire che il classico mese delle vacanze non giova ad una visione confortante del nostro presente. Mi rendo conto che nemmeno gli altri mesi dell’anno…..mi vedono sprizzare ottimismo da tutti i pori, ma, ho notato, nel caldo agostano la considerazione dei fatti e dei dibattiti che si leggono sui giornali inevitabilmente tende a suscitarmi un inquieto desiderio di palingenesi, che si esprime col ricorso a concetti e sentimenti di solito estranei al linguaggio delle riflessioni “civili” (politiche, economiche, sociologiche, etc.): “risveglio” nel 2011, “verità”, “perdono” e “fatica” nel 2012, addirittura “carità” nel 2013, ancora “verità” nel 2014, sono le parole che caratterizzano le mie “predicazioni” agostane, rivolte a me stesso ovviamente e ai pochi che ad esse hanno fatto paziente abitudine.
Bene; quest’anno, complice una mezz’ora passata sul colle dell’Infinito a Recanati, la mia parola d’agosto è “naufragio”; mi pare, cioè, di vedere il nostro povero paese come un vascello minuscolo, sballottato in un oceano tempestoso, condotto da un capitano giovane, magari coraggioso ma evidentemente avvezzo a mari interni, circondato da una ciurma eterogenea e vociante in lingue diverse, incapace di comunicare pensieri e quindi avvezza ad esprimere solo gutturali emozioni disordinate, additando di volta in volta veri o immaginari mostri marini da quali dipende la salvezza del vascello, entusiasta quando l’onda sospinge il vascello fuori dell’abisso e disperata quando l’onda ridiscende verso il basso.
Si dirà: adesso esageri! E’ vero, forse esagero, anzi, senz’altro: quest’anno l’effetto agostano non produce aspirazioni palingenetiche ma una vena nihilista. Però, provate a pensare al nostro tempo secondo il metro del paradosso poetico del grande poeta Marchigiano: da un lato, il lontano infinito, lì rasserenante (interminati spazi…sovrumani silenzi…. profondissima quiete…l’eterno…) e qui inquietante: la Cina svaluta (= meno importazioni e più esportazioni), la Russia annaspa economicamente e reagisce aggressivamente, l’America pensa di spingere in alto i tassi di interesse, l’Africa preme dal basso con masse umane ingovernate, l’Europa sembra smarrita, il vicino Oriente in tempesta continua; dall’altro (e come il vento odo stormir fra queste piante, così vicine, io quell’infinito silenzio a questa voce vo comparando), il nostro eterno dibattito sulla legge elettorale, sul Senato elettivo o non elettivo, il nuovo patto del Nazareno, il rimpasto, la scissione del PD.
Il naufragar ci è dolce in questo mare?
Orbetello, 13 agosto 2015

PS: Il grande Poeta perdonerà questo rozzo saccheggio? E soprattutto questo scherzare sul suo straordinario metro poetico? Speriamo. Presto – ahi voi! – torneremo seri….(abbandonando i caratteri rossi che riserviamo alle cose….lievi).