Settembre, andiamo. E' tempo di migrare
(di Felice Celato)
Così
scriveva D’Annunzio tanti anni fa, avendo in mente le transumanze pastorizie.
Oggi
la parola migrare evoca ben altri
problemi, di fronte ai quali anche noi ci rifugiamo nei consueti schemi
“deviazionisti”, deviando cioè l’attenzione dal cuore dei problemi (guerre di
religione alle porte osservate passivamente, pressioni umanitarie, economiche e
demografiche destinate a durare) alle epifanie, magari scellerate, degli
stessi: e così vagheggiamo di inasprimenti normativi, di respingimenti, di
caccia agli scafisti, etc.. Una specie di caccia al capotreno dei convogli che
deportavano gli ebrei o ai capistazione che li facevano passare, nella speranza
di fermare così la Shoà. Anche qui, la lezione chiara e pragmatica della
signora Merkel potrebbe farci scuola.
Ma
non di questa migrazione vorrei occuparmi oggi, anche se in fondo dello stesso
“deviazionismo” si tratta. Abuso, lo so, di una parola che ha avuto tutt’altri
significati nella storia, ma che, mi pare, fotografi icasticamente la tendenza
che abbiamo, soprattutto in questo nostro paese ciarliero e godereccio, a deviare
l’attenzione dai problemi che dobbiamo
affrontare a quelli che possiamo
affrontare (o meglio, crediamo – se le maggioranze lo consentono – di poter
affrontare, non tanto per risolvere quanto per eludere gli altri, quelli che
dovremmo affrontare).
Mi
riferisco al grande consenso che, indubbiamente, è stato costruito attorno alla
“necessità delle riforme” senza il riguardo che merita il….merito delle stesse.
Certe volte, rispolverando vecchie reminiscenze ferroviarie, mi viene in mente
una metafora: se, per esempio, si fosse deciso che è necessario ed urgente
aumentare la velocità dei treni (quella della rete ordinaria!), che ne direste
di un “padrone delle ferrovie” che affrontasse prima di tutto il problema dei
criteri di nomina del consiglio d’amministrazione delle Ferrovie, poi quello
del mansionario dei capitreno ed, invece, trascurasse di occuparsi, chessò, del
segnalamento, dei binari o della trazione?
Bene,
anche qui, come sopra per la signora Merkel a proposito dei migranti, una
lezione ci viene – così almeno pare di leggere dai dati pubblicati recentemente –
dall’Europa, e precisamente dalla Spagna dove il premier Rajoy sta guidando il
paese ad una crescita che è di diverse misure superiore alla nostra, forse solo
avendo affrontato per primo il problema della “trazione” piuttosto che quello
delle regole istituzionali, forse (non so) da rivedere anche in Spagna, ma
certamente non prima che l’emergenza depressiva sia stata posta alle spalle.
Ecco
perché, al sopraggiungere di settembre, quando l’attività anche politica
riprende a pieno ritmo, mi viene in mente la necessità di migrare dalla superficie (che può appassionare i politici a caccia
di occasioni per dividersi) alla profondità dei nostri mali, che saranno anche
istituzionali – non lo nego – ma che sono soprattutto economici, fiscali (e
finanziari), di trazione, insomma.
A
leggere le cronache partitiche agostane non pare che la migrazione stia al top delle
attenzioni. Ma, ritemprato dalla sosta e non ostante il breve soggiorno
Leopardiano, non voglio indulgere al pessimismo: aspettiamo la voce di colui che primamente conosce il tremolar della
marina. Francamente, in quella del nostro di certo vigoroso Premier
(odierna intervista al Corriere della
sera) ho percepito, come D’Annunzio nella poesia, isciacquii e calpestii ma non so se siano sufficienti. Forse ci
vuole dell’altro. Vedremo. E – temo – torneremo a parlarne.
Roma
,30, ultima domenica d’agosto 2015
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