sabato 21 febbraio 2015

Presente & presente

La dilagante incongruità del presente/2
(di Felice Celato)
                                         Imagini di ben seguendo false
                                           che nulla promession rendono intera
                                            (Dante, Purgatorio, XXX, 131-132)

Se avrete fatto caso – come suggerivamo nel post precedente – alla dilagante incongruità del presente, forse vi sarete accorti dell’insidioso succedaneo che ci propiniamo di fronte al vuoto che ci pervade ogni volta che ci affacciamo, appunto, sul presente: la droga dell’apparenza (spesso un po’ mondana), offerta a grandi mani da quegli straordinari pusher dell’apparenza che sono i nostri (peggiori) media e quasi tutti i nostri politici.
Dicono – non sono assolutamente esperto della materia – che uno dei più efficaci motori della pulsione verso la droga sia l’insoddisfazione o il vuoto del presente. E’ forse quello che accade anche a noi? Insoddisfatti della realtà, ci rifugiamo inermi, come nei fumi dell’oppio, nella trappola dell’apparenza, dove i significanti (i simboli) prendono  il posto dei significati: allora anche le persone più serie, e mentalmente più strutturate, si abbandonano all’esaltazione di ciò che, almeno, simboleggia la realtà che desidereremmo, quasi come se la concretezza di questa possa essere scambiata con la suggestione di un semplice simbolo. E così ci accade di non vedere nel fatto ciò che c’è di reale o di vederci ciò che non c’è, come dice Manzoni di un personaggio che gli era bonariamente antipatico; cose che, avverte il sommo scrittore, accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori, ma che a noi, dico io, oggi, accadono troppo spesso.
E allora, ansiosi di buone notizie, plaudiamo speranzosi, per esempio, al Presidente che prende l’aereo di linea, o al Papa che ci dice buon pranzo all’Angelus; perché vogliamo essere certi che questi segni significhino ciò che in fondo desideriamo (chessò, semplicità, bonomia, “normalità”) e che – nelle fattispecie esemplificate – sicuramente c’è ma che, altrettanto certamente, nulla dice in sé circa il proprium di quegli altissimi (anzi, per me, nel caso del Papa, sommi) officia (plurale di officium, servizio, funzione, carica, etc.).
Bene, si dirà non senza qualche ragione, ma ti vai a lagnare di questa tutto sommato tollerabile (e talora anche divertente) predominanza dell’apparenza sulla realtà, con tutto ciò che di ben più pericoloso ci accade dattorno?
E’ vero, forse me ne lamento troppo e magari finisco per irritare o, almeno, annoiare; ma, in realtà, io credo che una democrazia adulta affondi le sue radici in una costante e diffusa percezione del reale, dell’effettivo, del concreto, della rispondenza fra officium ed acta; senza di che, assuefatti alla droga dell’apparenza, finiremmo per essere, come i prigionieri della caverna di Platone, ingannati dalle ombre e, forse, ingenui specchi di una banale semplificazione confezionata e distribuita per obnubilare il reale e condizionarne la percezione.
Mi viene in mente un curioso personaggio di un libro straordinario che lessi qualche tempo fa: il dottor Pappenheim, co-protagonista di un romanzo di Aharon Appelfeld (Badenheim 1939, Guanda, 2007), che, rifiutando di leggere nei fatti la realtà dell’incipiente caccia all’ebreo, sale, ignaro per inconsapevole scelta, sul vagone della deportazione, propinando ai malcapitati compagni di quell’ultimo viaggio una speranzosa considerazione  basata sull’apparenza: “se i vagoni sono così sporchi, significa che non si andrà lontano”.
Roma, 21 febbraio 2014


sabato 14 febbraio 2015

Presente e memorie

La dilagante incongruità del presente
(di Felice Celato)
Ci sono delle giornate in cui mi torna in mente, purtroppo non come memoria ma come diagnosi sul presente, una frase che corse, tanti anni fa (quasi 20, di sicuro), in una conversazione serale, a fine lavoro, con un vicinissimo collega, in un momento di grave complessità e difficoltà della nostra vita di “fatica” in comune: “la quantità e la qualità dei problemi che abbiamo di fronte supera largamente la nostra capacità di risolverli”, mi disse più o meno l’amico e collega, non incline, di solito – come me, del resto – all’ottimismo.
Bene: più o meno è quello che mi capita di pensare in questi giorni sfogliando il giornale. Ho l’impressione che l’Europa e l’Italia in particolare – ma forse, starei per dire, il nostro mondo – stiano vivendo un periodo straordinariamente pericoloso e accidentato in condizioni di straordinaria debolezza del loro pensiero e della loro volontà: da un lato, venti di guerra fredda ad oriente, nemmeno poi completamente fredda, a giudicare dai morti, purtroppo; una marea montante di oscure minacce a meridione, annunciate da flussi di umanità terrorizzata che fatichiamo a comprendere e gestire giustamente; una vita economica affannata da recessione e disoccupazione, schiacciata da volumi di debito difficili anche da cifrare, scossa persino nella certezza della sua unità di misura; le stesse regole basilari di convivenza civile sembrano aggredite da fanatismi ciechi e sordi, violenti e  capaci di sottrarsi ad ogni misura di prevenzione. Dall’altro, l’inconsistenza di ogni coesione, l’incertezza di ogni di ogni volontà, l’ inaffidabilità di ogni punto di appoggio, come quando si cammina su una pietraia scoscesa, l’insicurezza di ogni valore condiviso, l’incoerenza caduca di ogni enunciato che consenta di sviluppare un discorso filato, l’inadeguatezza generalizzata delle risposte alla provocazione delle domande.
Si dirà, non senza saggezza: la storia dell’Italia e dell’Europa hanno conosciuto ben altro, per sgomentarsi di venti, ondate, affanni, minacce, incertezze; e spesso in condizioni non meno liquide e melmose delle presenti. Certamente vero, in prospettiva storica.
Ma il presente, per quanto figlio della storia, non è mai, esso stesso, la storia; e, quand’anche questa ci insegni a relativizzare le oscillazioni dei tempi e ad attendere le loro maturazioni, noi, vivendo nel presente, hic et nunc, non possiamo sottrarci alla dolorosa constatazione della dilagante incongruità del presente; che la storia, magari, per strade che non vediamo, sanerà, nel tempo, ma che oggi ci colpisce, oggi ci sgomenta, oggi ci preoccupa.
Fateci caso: provate a sottoporre, riflettendo accuratamente, alla prova di congruità – o, se volete, di adeguatezza, di rispondenza, di appropriatezza – ogni corrente enunciato (di giudizio o di volontà) rispetto ad ogni corrente problema e forse – anzi, ne sono certo – proverete anche voi la sensazione di vuoto che mi pare di provare ogni volta che mi affaccio sulle le opinioni e sulle azioni con le quali tentiamo di inquadrare e gestire i problemi che ci affannano.
E’ vero, ritornando alla frase del mio (allora) sconsolato collega ed amico, poi “la storia” che seguì ci aiutò a trovare la strada e anche qualche efficace soluzione che ha resistito all’usura del tempo; ma quella sera – era una sera di inizio primavera – tornammo a casa quasi disperati, come se un perdurante inverno della realtà soffocasse sul nascere la speranza della primavera che cercavamo di sentire nell’aria; un po’ come oggi, sul finire di questo carnevale.
Roma, 14 febbraio 2015, mielosa festa di San Valentino.




martedì 10 febbraio 2015

Stupi-diario Greco / 2

Italiani o tedeschi?
(di Felice Celato)

Come detto, sto seguendo attentamente la vicenda Greca.
Sulle edizioni on line dei giornali impazza da tempo, ne abbiamo già parlato qui, questa incomprensibile mania di dare spazio ai commenti a caldo dei lettori, cosa che mi è da subito diventata insopportabile ma che, sullo specifico argomento, seguo tuttavia con curiosità (in veste di lurker*, ovviamente) non solo per esplorare a fondo la rozzezza delle opinioni correnti (in materia del resto anche complessa) ma per tastare il polso pazzo della cosiddetta opinione pubblica.
Bene. In questa “veste” ho constatato una cosa che mi ha fatto amaramente sorridere: ora che anche i lettori più superficiali hanno capito che l’ipotesi di mancato rimborso del debito pubblico (da parte dei Greci ma da molti vagheggiato anche come soluzione ai nostri problemi) comporterebbe per l’Italia (cioè per noi) il rischio di perdere qualcosa come i 40 mildi di € di nostra esposizione appunto verso la Grecia, molti Italiani enunciano (ovviamente drastiche) opinioni che – nella nostra semplificata visione della realtà – immaginiamo in bocca ad un “perfido” tedesco (o ad un altro "insensibile" Europeo del nord): perché dovremmo pagare noi, coi nostri soldi, gli sperperi dei Greci?
Dunque, basta cambiare posizione (da debitore a creditore) e cambia la nostra visione della solidarietà Europea, della messa in comune dei debiti pubblici, del rigore finanziario, etc. e i nostri “opinionisti estemporanei” diventano anch’essi rigidi fautori dei programmi di austerità a tutti i costi (…per gli altri, ovviamente).
Roma. 10 febbraio 2015

*
Lurker, ho appreso da poco, nel linguaggio internet è un frequentatore di chat o di un      newsgroup o di un forum che si limita a leggere i messaggi altrui senza inviarne di propri.


sabato 7 febbraio 2015

Stupi-diario della felicità

Grandi questioni
(di Felice Celato)
Oggi il Presidente del Consiglio ha parlato all’assemblea dell’Expo, definendo il 2015 un anno felix e vaticinando la ripresa della corsa.
Bene, rallegriamoci (e, soprattutto, facciamoci coraggio vicendevolmente, ne abbiamo proprio bisogno!).
Però, secondo dati UE di un paio di giorni fa, l’Europa – soprattutto grazie al basso prezzo del petrolio, al basso cambio dell’ euro verso il dollaro e del costo del denaro bassissimo (che avvantaggia noi più di tutti gli altri) – nel 2015 crescerà dell’1,7 % e l’area Euro dell’1,3%; e noi dello 0,6%, ultimo paese per tasso di crescita (per intenderci: per la Grecia e la Spagna sono previsti un 2,5 e un 2,3%). La disoccupazione è previsto che resti ferma, da noi, al 12,8%.
Allora, domando: che cos’è la felicità?

Roma, 7 febbraio 2015

giovedì 5 febbraio 2015

Orizzonti Greci

Historia magistra vitae
(di Felice Celato)
Forse è segno di vecchiaia ma molte delle cose che si seguono sui media italiani  mi interessano poco o non mi interessano affatto, alcune anzi (forse troppe, lo ammetto) addirittura mi infastidiscono. Però ce n'è una che forse faremmo veramente bene a seguire attentamente tutti: la vicenda Greca, ricca, secondo me, di problemi seri che, mutatis mutandis, non ci sono estranei, e di indicazioni utili per il nostro presente e anche, forse, per il nostro prevedibile futuro; e per non incorrere in pericolosi equivoci.
Cominciamo coi problemi seri: la Grecia, super-indebitata e già beneficiaria di almeno una profonda ristrutturazione del debito, naviga da tempo in una recessione pesante, con conseguenze sociali ormai divenute pericolose ( o almeno allarmanti). Per uscirne (non ostanti i diversi segni positivi che cominciavano a manifestarsi) ha scelto politicamente una strada (apparentemente) dura, “mettendo alla porta” i creditori (la famosa Troika che, in fondo, rappresenta nient’altro che tutti i preoccupati creditori della Grecia) e arrivando a minacciare il disconoscimento del proprio debito; già a pochi giorni dalle elezioni ( vinte dalla sinistra poi però alleatasi con una destra non del tutto rassicurante) la minaccia, per la verità, è evoluta verso una più realistica richiesta di ulteriore pesante rinegoziazione del debito (questo è, a parte le fumisterie tecniche, lo swap di cui si parla in questi giorni. NB: notare che quando studia all’estero anche la sinistra si innamora delle alchimie capitaliste, di solito considerate diaboliche!).
Nessun dubbio, dunque, che si tratti di problemi seri, per i Greci, per l'Europa in generale e per noi in particolare, date alcune evidenti analogie e anche data la nostra posizione di creditori diretti della Grecia per qualcosa come 40 mildi di € (spesso dimenticati).
Bene; veniamo agli insegnamenti intanto acquisiti (altri ne verranno, per questo la vicenda è da seguire). Primo, generale e perenne: non esistono soluzioni semplici per problemi complessi, checché se ne dica nelle campagne elettorali; secondo, idem: i popoli pagano sempre, prima o poi, le colpe dei loro cattivi governanti (mi riferisco, qui, a quelli che hanno ridotto la Grecia in queste condizioni); ci pensino bene quando li scelgono, anche se promettono mari calmi e monti fioriti; terzo: i debiti hanno un grave difetto, devono essere rimborsati, checché se ne pensi quando cominciano a pesare; quarto: il default di un Paese è per il Paese stesso – prima ancora che per i suoi creditori – un tale abisso che è bene tenersene accuratamente lontani, per quanti sacrifici possa costare. Se ne sta rendendo conto anche chi – fino a poco tempo fa – ne faceva una bandiera elettorale; quinto: il problema di un membro è il problema di tutto il corpo. Senza voler scomodare San Paolo o anche Menenio Agrippa, occorre che ce se ne renda realisticamente conto: a Bruxelles, come a Francoforte, come a Berlino, come a Parigi e come a Roma. Se l’Europa continua a sentirsi, invece che come un unico corpo, come una somma di membra, i problemi saranno sempre più seri. D’altro canto, in ciascuna di quelle città (e anche in altre che non ho menzionato) occorre finirla (e subito!) con le stucchevoli e stupide retoriche che identificano nella Germania l’origine di ogni male (inteso come tale: di ogni sano rigore finanziario e di ogni adempimento di impegni solennemente presi);  sesto (e spero, su questo, di sbagliarmi): dietro l’angolo della Grecia, c’è la Russia che sbircia ciò che avviene in Europa.
Come vedete, se non sbaglio, ce n’è abbastanza per seguire con attenzione e con passione quel che accade in Grecia, sperando che la sua storia sia arrivata a quel momento in cui, come diceva Abba Eban, esplorate senza successo tutte le altre strade, si sceglie quella della saggezza.
Roma, 5 febbraio 2015