sabato 17 febbraio 2024

Letture peri-evangeliche

Segnalazioni per lettori tenaci

(di Felice Celato)

Per tenermi lontano, anche nelle ore dedicate alla letteratura (di solito quelle notturne), dalle cronache deprimenti e dai loro cascami, mi sono avventurato in alcune letture molto impegnative, che riverso qui, sotto forma di mere segnalazioni, per coloro che ne abbiano la voglia e la pazienza. Si tratta di due libri che hanno in comune due cose: la qualità dell’autore (parliamo di due grandi della nostra letteratura contemporanea, Giuseppe Berto e Mario Pomilio, scomparsi rispettivamente nel 1978 e nel 1990) e il tema della narrazione (in estrema sintesi, una rivisitazione delle narrazioni evangeliche, secondo le ottiche di cui dirò subito, partitamente). 

Cominciamo con La gloria di Giuseppe Berto (Neri Pozza, ebook 2017). Si tratta del processo a Gesù raccontato da Giuda, dal suo discepolo-traditore, carico di complessi per essersi percepito come un discepolo non amato e purtuttavia necessario, convinto di essere stato una tragica pedina del disegno Redentore, e, quindi, addirittura co-essenziale al disegno stesso. Le narrazioni evangeliche che fanno da tessuto a quella del romanzo, non rendono conto appieno - Giuda ne è convinto - del significato di queste due morti (quella di Gesù e quella di Giuda) contemporanee e – sostiene Giuda – connesse: Io sono la tenebra, Gesù. Ma a Te, che sei la luce, dagli abissi della mia oscurità continuo a chiedere: nella storia della tua morte, che sarebbe dovuta essere gloria e vittoria sulla morte, io, Giuda, da Te segnato come figlio di perdizione, sono stato semplicemente strumento affinché si adempisse una Scrittura, cioè fosse fatta la misteriosa volontà dell'Eterno? O piuttosto: c'era qualcosa che ci accomunava, qualcosa che, visto come sono andate le cose, non si è adempiuto se non nella conclusione minore che siamo morti tutti e due quasi insieme?

E’, ovviamente, inutile immaginare una discussione teologica del libro, che non è un testo di teologia ma solo una suggestiva rappresentazione drammatica della Passione, raccontata da un attore secondario del dramma che, da dietro le quinte, fatta la sua breve apparizione sulla scena, segue le mosse del Protagonista, invidiandone il ruolo e percependone la grandezza. 

Come dicevo, la materia della narrazione di Berto è, in qualche modo, la stessa di quello di Mario Pomilio (Il quinto evangelio, Bompiani, ebook 2022), un romanzo molto strutturato, molto profondo e scritto con prosa raffinata. Qui l’impianto narrativo si incrocia – anzi forse ne è soverchiato – con uno di tipo saggistico/filologico, sicuramente di grande interesse ma francamente vagamente eccessivo nell’estensione. Il tema sottostante è quello della compiutezza della Rivelazione: in altri termini,  può esistere (o essere esistito in mezzo ai tanti apocrifi della storia) un altro Vangelo autentico, oltre ai quattro canonici? Il Vangelo è un libro compiuto o un libro che la cristianità può, per così dire, continuare a scrivere a mano a mano che si sforza di re-inverare il messaggio della Rivelazione? Un quinto evangelio può essere una metafora dei quattro Vangeli canonici perpetuamente rinnovati dal loro impatto con la storia

La parte finale del libro (che segue la lunga ricostruzione, in gran parte di dichiarata ideazione dell’autore, delle tracce secolari di questo quinto, supposto Evangelio), è un testo teatrale che, in un certo senso, ricapitola le due chiavi narrative del libro, stavolta in modo drammaturgico: attorno al 1940, nella Germania nazista, un gruppo di cittadini di mista estrazione, mette in scena il processo e la passione di Gesù, comparando, nella testimonianza dei vari personaggi del dramma (Giuda e Pilato compresi), i testi dei quattro evangelisti (anch’essi sulla scena) alla presenza del mitico quinto; con la finale irruzione drammatica del presente storico contingente (Germania, 1940).

Come sicuramente si sarà capito, anche dalla fatica di far percepire in poche righe la grande complessità del libro di Pomilio, anche qui ci troviamo difronte ad un testo molto impegnativo; nel rileggerlo a distanza di tanti anni (quasi 50!) dalla prima lettura, mi ha anzi rivelato complessità di cui non tenevo memoria. Ma anch’esso, come quello di Berto, mi sento di raccomandare ai lettori più impegnati e tenaci.

Roma, 17 febbraio 2024

 

 

 

mercoledì 14 febbraio 2024

Metànoia

Un laico esercizio

(di Felice Celato)

Nei tredici anni (dalla primavera del 2011 fino ad oggi) in cui ho condiviso qui, fra amici, alcune sparse e personalissime riflessioni, non credo di aver mai vissuto scenari così complicati e rischiosi come quelli in cui siamo immersi. Scenari bellici, macroeconomici, geopolitici ed Eu-politici che non ho bisogno di descrivere, perché, intrecciati fra loro, sono davanti agli occhi di tutti, solo che – come sembra accadere nel nostro povero paese – non si abbia la ragione definitivamente appannata dai rumori della annuale ostensione di “cultura nazional-popolare” messa in scena a San Remo, mentre scorreva - temo solo sul calendario! - il nostro triste carnevale. 

E, come da calendario, ecco sopraggiungere la quaresima; un tempo di metànoia… cioè di cambiamento interiore… di deserto e di incontro speciale col Padre, come diceva Benedetto XVI; un tempo ideale – proseguiva – per trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l'acqua viva che disseta e ristora.

Certo, si dirà non senza ragione, questo è un senso della quaresima tipicamente cristiano, non necessariamente percepibile da chi cristiano non si sente. Eppure mi pare che di metànoia – che, non a caso, “contiene” la parola greca che significa pensare –  il mondo intero abbia proprio bisogno; anzi, meglio e di più: mi pare che ogni persona dotata di ragione abbia, appunto, una buona ragione di desiderare, proprio oggi, per sé e per i suoi simili un momento di sosta e di silenzio, per verificare se i sentimenti e i pensieri che abbiamo incamerato e che ci portiamo dietro nel giudicare di ciò che vediamo, non siano solo il frutto marcio delle parole che abbiamo usato o sentito dire. [Ci sarà fra i miei lettori qualcuno che ricorda la spaventevole sequenza qui più volte citata e tratta da un libro di Riccardo Calimani: Le parole generano opinioni e le opinioni danno forma ai sentimenti. I sentimenti diventano fatti; e dico spaventevole avendo in mente il dissennato uso delle parole che il nostro mondo iper-connesso ci vede praticare ogni giorno].

Dunque, anche di una metànoia laica abbiamo bisogno, dopo il carnevale del nostro tempo che, forse, immagina non più replicabili le autentiche esplosioni del male che il ventesimo secolo ha vissuto. 

Ma ogni vera metànoia (dal Vocabolario on line della Treccani: profondo mutamento nel modo di pensare, di sentire, di giudicare le cose), sia laica che fidelis, non può che essere un interiore processo individuale; auspicarne una dimensione collettiva può essere un puro desiderio utopico. Però cominciare da noi stessi è senz’altro un esercizio benefico, perché, come diceva (mi pare) San Bonaventura, bonum diffusivum sui, ciò che è buono tende naturalmente ad essere diffusivo di sé, come fosse un benefico contagio. Noi, cattolici convinti, nella nostra metànoia spirituale andiamo cercando un tempo di grazia. Ma, per restare alla prospettiva laica che qui vogliamo adottare (anche se non coincide integralmente con la nostra), è ragionevole pensare che qualche fermo esercizio di laica metànoia possa essere anch’esso diffusivum sui, magari cominciando – chessò – dal sistematico rifiuto delle opinioni correnti e del modo in cui sono argomentate (quando lo sono) ed enunciate. Questo non basterà, siatene certi, a cambiare le sorti balorde che il nostro tempo sembra voler tessere per sé; ma aiuterà almeno noi stessi a conservare un laico rispetto di noi stessi; che, se fosse anch’esso diffusivum sui, potrebbe risultare un utile antidoto alle follie collettive.

Roma, 14 febbraio 2024