mercoledì 28 agosto 2013

Elusive divagazioni

Ucronìa
(di Felice Celato)
Mi pare di aver citato altre volte, su questo blog, un suggestivo racconto di quello straordinario letterato che è stato Jorge Luis Borges: Utopia di un uomo che è stanco, proposta da Adelphi nella raccolta Il libro di sabbia.
Mi è tornato alla memoria in questi giorni in cui ho cercato, costretto dagli eventi della cronaca politica ma autenticamente riluttante, di riprendere a riflettere, anche con l’aiuto di qualche amico paziente, sulla straordinaria concomitanza di disagi (culturali, intellettuali, morali ed emotivi) che si addensano attorno al mio modo di guardare al presente della nostra”vita democratica”: credo (senz’altro presuntuosamente) di veder chiaro dove rischiamo di impattare con la realtà (che sembra sfuggirci), anche se non percepisco con chiarezza attraverso quali strade urteremo l’ostacolo, perché tutte mi sembrano ad un tempo indefinite ed inevitabili, contorte eppure inequivocabilmente dirette alla meta dura.
[Diceva, nel 1991, un mio vecchio capo che fra due persone che corrono insieme alla rovina, chi soffre di più è chi riesce ad esserne cosciente mentre corre; chi percepirà la rovina solo quando questa arriverà, fino a quel punto può anche essere ragionevolmente contento: in fondo sta correndo e magari si sente addosso tutte le energie che ritiene necessarie per affrettarsi.]
Però questa “certezza”, che può apparire cupa (e forse lo è!), è mitigata da una speranza negativa: in fondo che ne so, io, veramente, delle più profonde stratificazioni sociali, delle energie animali che si sprigioneranno in capo a coloro che vitalmente si affanneranno per uscire dal labirinto? La risposta alla domanda è semplice: nulla, o al massimo, poco.
Che cosa mi giova (credere di) conoscere la strada se io posso starmene a guardare da un colle, in compagnia di qualche altro scettico amico, se non sono io quello che deve percorrerla?  Si potrebbe dire che questo è un “vantaggio” dell’età e del distacco che questa porta con sé; ma anche – eh! sì – che è un vantaggio immorale!
Bene, anzi male! Dunque, per diminuire il grado di immoralità di questo "vantaggio", vorrei additare anch’io una mia “Ucronìa di un uomo che è stanco” (utopia è un luogo che non esiste; ucronìa, un tempo che non esiste). Eccola: se, in vista di una necessaria ricomposizione dell’ambiente politico italiano, sfarinato dal ventennio di rancori che dovremmo pure, una buona volta, lasciarci alle spalle; se in vista di questo difficile ma sperabile passaggio, provassimo a darci un criterio nuovo (ed antico) per valutare le proposte politiche che ci verranno fragorosamente snocciolate nella prossima (non lontanissima) ordalia elettorale? Se, semplicemente, provassimo, cioè, a soppesare le retoriche elettorali in termini di carità (nella parola sta, forse, il massimo di ucronìa?), di carità verso gli altri, anche avversari, verso il Paese nel suo complesso e verso le sue comunità, verso le generazioni future, verso i mondi emergenti che (quanto meno demograficamente) premono alle nostre porte?
In fondo, l’esercizio è, in teoria, più semplice di quanto si immagini; se ne trova la guida nella Prima lettera ai Corinzi: basterà domandarsi quanto ciascuna proposta politica ha in sé di paziente, di benigno, di non invidioso, di rispettoso degli altri e della verità, di disinteressato, di propenso al perdono, di tollerante, di speranzoso, di disposto alla sopportazione. E votare di conseguenza, quando ne giungerà il momento.
Mi rendo conto che questa idea, senz’altro “bizzarra”, apparirà, ai più indulgenti, come un’altra elusiva divagazione di un uomo stanco, disperato nel presente e del tutto ignorante di politica e di meccanismi di formazione del consenso (non voglio immaginare cosa ne penseranno i meno indulgenti!). Ma let’s  have a dream! direbbe più o meno Martin Luther King, che, anche lui, forse, era  poco esperto di politica (non era anziano, però,  50 anni fa) : almeno non si potrà dire che chi credeva (o si illudeva, dolorosamente) di vedere le cose con chiarezza non ha voluto indicare una soluzione, per quanto “bizzarra” possa apparire a prima vista.
Roma,28 agosto 2013



martedì 20 agosto 2013

Fine vacanze


Il nuovo settembre
(di Felice Celato)
Una volta settembre era un bel mese: è vero, si tornava a scuola (e la cosa poteva non essere gradita), ma in fondo tutti aspettavano con piacere l'attenuarsi del caldo nelle giornate ancora luminose, l'abbondare dell'uva sulle nostre tavole, le piogge ancora rare e spesso odorose di ozono; gli "stabilimenti" a  mare cominciavano a ridurre  progressivamente  le file degli ombrelloni, restando per lo più aperti solo il sabato e la domenica, le fabbriche tornavano a girare a pieno ritmo, i giornali tornavano alle notizie "più serie",  i politici, abbronzati,  riprendevano pigramente il loro mestiere fra chiacchiere, qualche nuova legge già abbozzata in primavera ( anche allora,però, erano tutte rivoluzionarie e risolutive, nella retorica dei "legislatori") e qualche civile anche se aspra polemica concessa al popolo perché se ne beasse con moderazione, la televisione lanciava la nuova produzione autunno-inverno, come le case di moda; e si cominciava già a  parlare di miss Italia.

Già, c’era una volta: poi sono cominciati ad arrivare gli autunni caldi (le rese dei conti sociali e sindacali)  e a settembre le fabbriche hanno cominciato a non riaprire, le Casse Integrazione a decorrere, il debito pubblico ad impennarsi,  i bilanci del turismo a deludere, le polemiche sono diventate scontri, le crisi politiche si sono fatte più aspre anche per le code dei peggiori gossip estivi ai quali i giornali hanno prestato echi rombanti.

Settembre ha cominciato a perdere la sua connotazione di dolce mese di passaggio fra l'estate e l'autunno ed è diventato mese aspro.

Quest'anno, però, sarà – pare – addirittura mese apocalittico: la cosiddetta ripresa (intravista all’orizzonte più che materializzata) sembra essere più l’eco lontana di quella europea  che non  il frutto di una ri-scossa degli animal spirits italiani, la crisi continua a mordere perché le sue ragioni profonde non sono state affrontate, tutte le questioni rinviate (prime fra tutte quelle dell'Imu e dell'Iva) sono diventate decisive per le sorti non solo del governo ma addirittura della governabilità in Italia; a queste se ne sono aggiunte altre non meno drammatiche (politicamente) come quelle del voto sulla decadenza o sulla cosiddetta incandidabilità di Berlusconi. In altri tempi, in queste condizioni, si andava al voto (mai d'autunno, però): ma noi non abbiamo  nemmeno una legge elettorale utilizzabile (quella vigente è ritenuta indecente e comunque sub-judice dal punto di vista costituzionale); né abbiamo la saldezza sociale che ci consenta di affrontare una campagna elettorale, tanto più se immaginata come un'ordalia.

In questo contesto, non mi azzardo nemmeno a fare previsioni, tanto imprevedibili sembrandomi le strade che può prendere la nostra crisi culturale, sociologica ed antropologica. Il problema non mi pare essere il Governo, il migliore possibile nelle condizioni date, retto bene da una persona per bene alla quale perdono volentieri le sue goffe incursioni nel mondo, a lui culturalmente estraneo, della piccola demagogia propagandistica. Il problema, invece, sono i partiti che lo sorreggono, l’uno sconvolto dalla decapitazione politica del suo leader, l’altro infiacchito dal marasma senile e giovanile che lo caratterizza e tentato da soluzioni che sarebbero peggiori del male che vorrebbero fronteggiare.
Temo fortemente inenarrabili pasticci.
[Anche i libri che mi sono capitati fra le mani, mi hanno confortato fino a tutto ferragosto; poi la scelta è divenuta meno felice, fino a declinare nella banalità dei libri scelti più di recente. Sarà un caso, ma le delusioni sono arrivate tutte da scrittori italiani, quasi a ricordarmi la natura culturale della nostra crisi]
Orbetello, 20 agosto 2013

lunedì 12 agosto 2013

"Pensieri" oziosi

….ed ingenui
(di Felice Celato)
 “Se cade il Governo, si paga l’IMU” dice Enrico Letta, ottimo Presidente del Consiglio ma anche (ahilui!) rappresentante di spicco della forza (?) politica che ha formato il Governo dei Larghi Dissensi; forse però (lo sapremo, manco a dirlo, a settembre) l’IMU diventa Service Tax (con grande beneficio per i cittadini). E allora, penso, ingenuamente, il Governo potrà cadere impunemente?
Ma, avverte la Santanchè, smagliante rappresentante dell’altra forza (?) politica che sorregge il Governo dei Larghi Dissensi, se si paga l’IMU il Governo cade; dunque, penso, sempre ingenuamente, se l’IMU diventa Service Tax, il Governo non cade!
Il marasma senile del nostro povero Paese sta sfociando nel disturbo del pensiero e del linguaggio che va (credo) sotto il nome di “Afasia progressiva primaria”?
Fa veramente molto caldo, comunque; e questo può spiegare molte cose anche all’ingenuo pensatore ozioso. Chissà, forse, a settembre, col fresco….

12 agosto 2013

domenica 11 agosto 2013

Segnalazioni

In principio
(di Felice Celato)
In questo agosto molto fortunato (per le letture, intendo) torno con una segnalazione rispetto alla quale – prevedo – molti lettori di questi spunti “libreschi” resteranno freddi.
Infatti, lo dico subito, il libro di cui intendo farvi breve cenno, per esser apprezzato, richiede: 1) una grande passione (che, lo confesso, io coltivo da molti anni ma che non sempre è altrettanto forte fra i miei amici) per i temi della cultura e della storia ebraiche moderne; 2) una certa resistenza a molte pagine angosciose e, in generale, alla (forse eccesiva) ampiezza del libro; 3) una notevole tolleranza per la striminzita manifattura dell’edizione Garzanti che ho, casualmente, trovato in libreria.
Fatta questa premessa, veniamo al libro: In principio di Chaim Potok (un autore e rabbino americano, scomparso una decina di anni fa, del quale credevo – evidentemente sbagliando – di aver letto tutta la produzione narrativa) è – come si dice – un commovente e profondo “romanzo di formazione” che ha come protagonista un giovane (David, l’io narrante) figlio di ebrei ortodossi e attivisti polacchi emigrati negli Stati Uniti fra le due guerre mondiali; e narra, con la maestria propria di quest’autore, le vicende del bambino David, appunto, gracile e molto debole di salute, che acquisisce via via la forza e la risolutezza che gli consentono di diventare nel tempo uno studioso di scienze bibliche moderne, in conflitto con la cultura ortodossa e tradizionalista della famiglia (del padre, in particolare) e del suo ambiente, nel quale le tensioni fra modernità e tradizione nell’interpretazione  dei testi vengono percepite in radicale contrapposizione.
Sullo sfondo, prima, i difficili problemi di convivenza con le ostilità dei “goyim” che evidentemente non mancavano anche nell’ambiente degli immigrati in America; poi, la Grande Crisi degli anni ’30 e la persecuzione nazista che cancella le famiglie di origine del padre e della madre di David, rimaste intrappolate nell’ Europa dell’Est.
In sintesi: una lettura interessante e, nelle pagine del lungo finale, anche molto suggestiva.

11 agosto 2013, Santa Chiara

giovedì 8 agosto 2013

Segnalazioni

Il club degli incorreggibili ottimisti
(di Felice Celato)
Chi segue le mie segnalazioni letterarie sa bene che non amo i romanzi troppo lunghi. Dunque non segnalerei questo bel libro di 700 pagine (Il club degli incorreggibili ottimisti di Jean-Michel Guenassia, Salani Editore) se proprio non valesse la pena di leggerlo (pensate che, come mi è capitato proprio con un altro bellissimo romanzo  francese, Le benevole di J. Littell, per leggerlo più agevolmente a letto ho dovuto artigianalmente “scinderlo” – nottetempo e con l’aiuto di un taglierino -  in due semi-volumi da 350 pagine l’uno!).
Il protagonista del libro (Michel, l’io narrante) è un adolescente francese, di famiglia borghese di origine francese e italiana, grande lettore e rocambolesco studente, che, nei suoi oziosi vagabondaggi urbani, viene in contatto con un curioso “circolo” di profughi dell’Est Europeo - siamo nei primi anni ’60, della guerra francese d’Algeria - che si ritrovano, nel retrobottega di un bistrot di Parigi, per grandi bevute, lunghe partite a scacchi, barzellette su Stalin e  accese discussioni.
I vitali personaggi di questo mondo, legati fra loro da una misteriosa vicenda che si rivela solo nel finale drammatico, hanno, ciascuno, una sua storia di fughe, dolori e peripezie da esiliati, che annegano, finché possono, in un animoso attaccamento al presente, nel quale sopravvivono, da profughi, svolgendo lavori umili ed irregolari, molto distanti da quelli che hanno lasciato dietro di sé nelle loro precipitose fughe, variamente connesse al disfacimento del blocco ideologico del socialismo reale; al quale, tuttavia,  con opposti sentimenti, rimangono, in qualche modo, incorreggibilmente legati.
Questi vissuti personaggi, a vario titolo, divengono confidenti e maestri di vita di Michel, del quale accompagnano, coi loro disincantati consigli, la crescita, il primo amore e i difficili problemi familiari ed al quale, fra mille reticenze, raccontano frammenti delle loro tribolate esistenze.
Narrate con grande maestria e con tocco lieve e talora divertente, le belle storie del libro sembrano legate fra loro, oltreché dal ben riuscito contrappunto fra presente e passato, dal senso tenero della fragilità  delle esistenze umane, sconvolte dalle onde della storia e della vita, e delineano – quelle degli amici di Michel – un quadro drammatico della fase del tramonto dell’ideologia comunista.
Insomma, un libro interessante, molto gradevole da leggere, incredibilmente resistente… all’abbondanza delle pagine.
Orbetello. 8 agosto 2013, San Domenico Guzman