Il nuovo settembre
(di Felice Celato)
Una volta settembre era un bel
mese: è vero, si tornava a scuola (e la cosa poteva non essere gradita), ma in
fondo tutti aspettavano con piacere l'attenuarsi del caldo nelle giornate
ancora luminose, l'abbondare dell'uva sulle nostre tavole, le piogge ancora
rare e spesso odorose di ozono; gli "stabilimenti" a mare
cominciavano a ridurre progressivamente le file degli ombrelloni, restando
per lo più aperti solo il sabato e la domenica, le fabbriche tornavano a girare
a pieno ritmo, i giornali tornavano alle notizie "più serie", i
politici, abbronzati, riprendevano pigramente il loro mestiere fra chiacchiere,
qualche nuova legge già abbozzata in primavera ( anche allora,però, erano tutte
rivoluzionarie e risolutive, nella retorica dei "legislatori") e
qualche civile anche se aspra polemica concessa al popolo perché se ne beasse con moderazione, la
televisione lanciava la nuova produzione autunno-inverno, come le case di moda;
e si cominciava già a parlare di miss Italia.
Già, c’era una volta: poi sono
cominciati ad arrivare gli autunni caldi (le rese dei conti sociali e
sindacali) e a settembre le fabbriche hanno cominciato a non riaprire, le
Casse Integrazione a decorrere, il debito pubblico ad impennarsi, i
bilanci del turismo a deludere, le polemiche sono diventate scontri, le crisi
politiche si sono fatte più aspre anche per le code dei peggiori gossip estivi ai quali i giornali hanno
prestato echi rombanti.
Settembre ha cominciato a
perdere la sua connotazione di dolce mese di passaggio fra l'estate e l'autunno
ed è diventato mese aspro.
Quest'anno, però, sarà – pare – addirittura
mese apocalittico: la cosiddetta ripresa (intravista all’orizzonte più che materializzata)
sembra essere più l’eco lontana di quella europea che non il frutto di una ri-scossa degli animal spirits italiani, la crisi
continua a mordere perché le sue ragioni profonde non sono state affrontate, tutte
le questioni rinviate (prime fra tutte quelle dell'Imu e dell'Iva) sono
diventate decisive per le sorti non solo del governo ma addirittura della
governabilità in Italia; a queste se ne sono aggiunte altre non meno
drammatiche (politicamente) come quelle del voto sulla decadenza o sulla
cosiddetta incandidabilità di Berlusconi. In altri tempi, in queste condizioni,
si andava al voto (mai d'autunno, però): ma noi non abbiamo nemmeno una legge elettorale utilizzabile (quella
vigente è ritenuta indecente e comunque sub-judice
dal punto di vista costituzionale); né abbiamo la saldezza sociale che ci
consenta di affrontare una campagna elettorale, tanto più se immaginata come
un'ordalia.
In questo contesto, non mi
azzardo nemmeno a fare previsioni, tanto imprevedibili sembrandomi le strade
che può prendere la nostra crisi culturale, sociologica ed antropologica. Il
problema non mi pare essere il Governo, il migliore possibile nelle condizioni
date, retto bene da una persona per bene alla quale perdono volentieri le sue
goffe incursioni nel mondo, a lui culturalmente estraneo, della piccola
demagogia propagandistica. Il problema, invece, sono i partiti che lo
sorreggono, l’uno sconvolto dalla decapitazione politica del suo leader, l’altro infiacchito dal marasma
senile e giovanile che lo caratterizza e tentato da soluzioni che sarebbero
peggiori del male che vorrebbero fronteggiare.
Temo fortemente inenarrabili
pasticci.
[Anche i libri che mi sono
capitati fra le mani, mi hanno confortato fino a tutto ferragosto; poi la scelta è divenuta meno felice, fino a declinare nella banalità dei libri scelti più di recente. Sarà un
caso, ma le delusioni sono arrivate tutte da scrittori italiani, quasi a
ricordarmi la natura culturale della nostra crisi]
Orbetello, 20 agosto 2013
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