lunedì 31 ottobre 2016

Novembre

Emozioni e commozione
(di Felice Celato)
Lo sanno, i miei lettori più antichi, che i giorni di Ognissanti e della Commemorazione dei morti mi suscitano un flusso di emozioni e di ricordi sui quali mi viene naturale indugiare (anche su queste “colonne”, diventate diario per l’occasione) perché li vivo con animo grato per tutto quello che ho avuto dalla Fede, dalla fede nella comunione dei santi e dall’amore dei miei cari passati.
C’è un bellissimo passaggio conclusivo della liturgia cattolica dei defunti che mi commuove ogni volta che lo sento recitare, perché congiunge mirabilmente – quasi con grazia coreografica – il mondo da cui la morte ci allontana con quello nel quale crediamo che vivremo e nel quale speriamo di ritrovare tutti gli affetti che la vita disperde nel tempo, purificati dalla misericordia di Dio: Venite santi di Dio, accorrete angeli del Signore: accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’Altissimo; una grande “mobilitazione”, richiesta a gran voce da tutti i fedeli, per qualcuno che ci precede di qualche passo e al quale spetterà di presentarci al trono dell’Altissimo quando sarà giunto il nostro passo.
Oggi, nel piccolo cimitero dei miei genitori e dei miei nonni, le orme sulla ghiaia triste risuonavano – come è d’uso in queste giornate – più numerose del solito, quasi come se la grande “mobilitazione” cominciasse da lì; come se la presentazione al trono dell’Altissimo cominciasse col lustrare le lapidi, come faceva una signora armata di straccio e detersivo su una lapide recente. E, in fondo, anche questa cura era – senza volerlo – un piccolo segno della comunione che supera i confini della morte…perché riunisce assieme tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito Santo (J. Ratzinger : Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, 2005, pg 324-325).

Quest’anno triste aggiunge al tempo dei santi e dei morti le emozioni del sisma nel cuore: nel cuore silenzioso dell’Italia, nei luoghi dove nacque, dallo sfacelo dell’impero Romano, l’anima cristiana dell’Europa; nei luoghi, anche, della mia giovinezza e di quella dei miei genitori. Non ci sono altri morti, per fortuna, dopo i tanti di qualche mese fa; c’è “solo” la distruzione di un patrimonio di venerate memorie, custodite fra i monti da comunità di forte spessore umano, schiacciate nelle loro sostanze e segnate nelle loro esistenze. Non c’è un requiem da recitare, solo una difficile speranza da alimentare.

Roma 31 ottobre 2016

mercoledì 26 ottobre 2016

Après moi le déluge

Parole e fatti
(di Felice Celato)
Dice l’apostolo Giacomo (Gc, 3, 1 e sg)  che se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. E in effetti – ce se ne rende conto con l’età – la lingua (organo del parlare) è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna;…ogni sorta di bestie e di uccelli.....sono stati domati dall’uomo, ma  la lingua nessuno la può domare.
Il passo è inquietante. Soprattutto – dicevo – si ha ragione di lasciarsene inquietare in tarda età, quando magari ci si è lungamente esercitati, con alterni successi, a domare  altre bestie, rassegnandosi ad un uso “spigliato” della parola quasi come una compensazione per altri magari riusciti contenimenti; e quando si sono avute più occasioni per constatare le rovine che le parole possono generare: le parole sbagliate (l’abbiamo detto qualche altra volta attingendo liberamente ad una forte osservazione di R. Calimani sulla storia degli Ebrei) generano opinioni sgangherate, le opinioni sgangherate danno forma a sentimenti perversi; e i sentimenti perversi diventano fatti, spesso tragici.
E dunque la straordinaria potenza della parola (dalla stessa bocca escono la benedizione e la maledizione, nota ancora san Giacomo) non ha rilievo solo morale ma anche, come spesso accade, politico.
Direi, anzi, che in questa epoca di post-verità mediatizzata (cfr. Spigolature / 9. Post-truth politics, del 12 sett. 2016) la suggestione della parola decettiva è diventata – in politica – un’arma letale di straordinaria potenza, alla quale attingono con sconsiderata costanza uomini di governo e di opposizione. Che ne possano seguire opinioni sgangherate, sentimenti perversi e fatti tragici, non importa alcunché; après moi le déluge, sembrano pensare i nuovi Luigi XV: l’importante è arraffare consenso (o forse: credere di arraffare consenso), per qualche tempo, fino a che non si renda necessaria una nuova seminagione di vento e non ostante un’impossibile incoscienza.
Non sono diverse – nella sostanza – queste considerazioni da quelle che veniamo facendo da qualche tempo; solo che il tanto parlare di questi giorni (su Europa, legge finanziaria, costo della politica, etc.) me ne pare una conferma che aggiunge domande su quel che resterà dopo tanto vento seminato. Prendete il caso di Gorino e leggete attentamente le frasi dei capi-popolo. Stesso linguaggio - stessi sentimenti? - di chi ha seminato vento: sulla  maglietta di Naomo (il capopopolo di Gorino) c’è scritto – leggo dal Corriere della Sera –“A casa! A calci in culo!”. S’intende: anche alle donne incinte, perché “i buonisti si nascondono davanti [?] alle femmine incinte”.
Poi, certo, è bene saperlo, rimane il problema: i numeri ci dicono che la grande maggioranza dei rifugiati è alloggiato in “strutture provvisorie”; problema che nessuno affronta, perché è più facile (o addirittura più conveniente?) parlarne, con le solite lagne dall’una e dall’altra parte.
Hanno chiesto aiuto alla Caritas: qui – per fortuna – è stata seminata un’altra Parola.
In treno, fra Milano e Roma, 26 ottobre 2016




domenica 23 ottobre 2016

Spigolature / 11

Vagabondaggi lessicali
(di Felice Celato)
Non ricordo parlando di quale uomo politico, un mio amico ha usato questo fulminante giudizio che mi è subito parso un ossimoro felice: un geniale cialtrone. E poiché gli ossimori – come le parole in generale – mi incuriosiscono sempre, ho provato ad immaginare che tipo di persona descriva questo: come deve essere qualcuno (un politico, nella fattispecie) per giustificare l’applicazione di questo ossimoro?
Ragioniamoci insieme, anzitutto ricercando l’ossimoro – se veramente c’è – nei due concetti antitetici che di solito lo compongono (ricordo, attingendo, qui come in seguito, al dizionario Devoto Oli: Ossimoro = figura retorica consistente nell’accostare, alla medesima locuzione, parole che esprimono concetti contrari,  come lucida pazzia, ghiaccio bollente, etc).
La prima constatazione che mi è venuto di  fare, però,  è che – a stretto rigore – geniale cialtrone non è un vero e proprio ossimoro perché cialtrone ( = persona volgare e spregevole, priva di serietà e di correttezza nei rapporti umani o che manca la parola negli affari) non è il contrario di geniale ( = caratterizzato da una felice o inattesa inventiva).
Eppure un vago sentore di ossimoro si respira nell’espressione del mio amico, perché geniale e cialtrone esprimono comunque due apprezzamenti antitetici (sia pure genericamente antitetici), uno positivo (geniale) e uno negativo (cialtrone); e dunque consideriamolo pure, se volete, uno pseudo-ossimoro  ma, riconoscendone l’intuizione, cerchiamo almeno di afferrare i connotati del politico  geniale cialtrone.
Dunque il cialtrone, quando di mestiere fa il politico, fa della scarsa serietà  e della scarsa correttezza (serietà = la consapevolezza della propria dignità, che si traduce in compostezza di atteggiamenti, nel senso di responsabilità e del dovere, nella rispondenza ai principi di rettitudine e di moralità; correttezza = comportamento secondo le buone regole della morale e dell’educazione anche civica) un suo habitus normale, magari vòlto non tanto, qui, alla alterazione della buona fede negli affari (come sarebbe proprio, l’abbiamo visto, del cialtrone generico) ma alla alterazione della buona fede nella ricerca del consenso sul quale si regge la sua “presa” politica (per rifarci alla analogia col  cialtrone generico, potremmo infatti dire che il consenso è, in fondo, l’affare di cui si occupa il politico; del resto, non ricordo chi diceva che i politici si guadagnano la vita cercando di farsi rieleggere). Insomma un politico cialtrone è colui che, appunto spregevolmente, mistifica ( = trae in inganno abusando della buona fede o alterando deliberatamente i fatti) la verità per manipolare il consenso di cui gode. Ovviamente finché gli riesce (ricordiamo sempre il monito di Machiavelli sul consenso, che abbiamo avuto modo di ri-citare qualche giorno fa).
Bene, forse siamo vicini ad aver capito in che consiste, a rigor di dizionario, la cialtroneria in un politico. Non ci resta ora – ma qui il compito è più agevole – che occuparci dell’altra locuzione dello pseudo-ossimoro di cui ci stiamo occupando: la  genialità.
Beh, la genialità sta tutta, come spiega il dizionario, nell’inventiva felice e sorprendente, cioè in quella speciale abilità di far sembrare sempre nuove le cose, rendendole anzi gradevoli o attraenti e anche suscitando, attorno a sé, empatia ( = la capacità di coinvolgere emotivamente il fruitore con un messaggio in cui lo stesso è portato ad immedesimarsi) e anche, talora, entusiasmo (= partecipazione totale, gioiosa o ammirativa, a ciò che si vede o si ascolta), magari con l’uso di slogan felicemente inventati per far sparire le complessità del reale (giacché il reale sembra diventato la negazione del politico).
Dopo questo – spero non noioso – vagabondaggio all’interno delle nostre parole, mi rimane solo un rammarico: non riesco a ricordare a chi si riferiva il mio amico inventore della “figura” del politico geniale cialtrone. Non fa niente, divertitevi voi – se vi va – ad applicarla a chi volete: temo che avrete solo l’imbarazzo della scelta! Salvo che non vogliate pensare che, in fondo, genialità e cialtroneria siano proprio caratteri antropologici del nostro paese, anzi che costituiscano un mix che “tutto il mondo ci invidia”; e che quindi il politico geniale cialtrone ci rappresenta proprio bene, tanto da poter aspirare senza vergogna financo alle massime responsabilità politiche. Se così è, questa passeggiata nel dizionario sarà almeno servita per conoscerci meglio.
Roma 23 ottobre 2016


venerdì 21 ottobre 2016

Brevi spigolature mattutine

Frammenti d’Italia
(di Felice Celato)
Leggo dal Corriere della sera di oggi:
  • Nel comune di Cittadella (PD) da domani la bandiera Veneta (quella col leone di San Marco) sventolerà a mezz’asta con il segno del lutto, a ricordo di quello che le locali autorità considerano una sciagura tra le maggiori: cioè l’unione del Veneto…. all’Italia all’indomani della III Guerra d’Indipendenza,  di cui in questi giorni ricorre per l’appunto il 150esimo anniversario.
  • Il Presidente del Consiglio Italiano  parla come segue dell’Europa (e dei suoi rapporti con noi, uno dei Paesi fondatori dell’Europa stessa): E’ l’Europa che preoccupa il mondo, me l’ha detto anche Obama, non certo lo zero virgola in più o in meno del bilancio Italiano. Con la Commissione troveremo un’intesa, vediamo che fanno, per me la manovra è ottima e non ho intenzione di cedere, ma non penso che andiamo incontro ad una guerra. Ci mandano una lettera? Risponderemo, le mandano a tutti, non è questo il problema.

Una nota meno desolante, quasi buffa:
  • la famosa capsula Schiaparelli, quando stava per atterrare su Marte era “italiana”; una volta schiantatasi (così pare), è tornata europea.

Buona giornata! Ne abbiamo bisogno tutti, vecchi, adulti, giovani e....Peter Pan.

Roma 21 ottobre 2016

mercoledì 19 ottobre 2016

Il Muro del Pianto

Una vicenda da non sottovalutare
(di Felice Celato)
A mia memoria credo di non aver mai preso parte ad una dimostrazione di piazza: vuoi per la mia natura di cane sciolto, vuoi per una certa diffidenza verso compagni di strada (o di piazza) non scelti da me medesimo, vuoi per la patina di scetticismo vagamente snob che ha sempre velato il mio sguardo sui riti di piazza, vuoi, infine, per il fastidio per le forme rumorose di espressione del pensiero (se di pensiero si tratta quando si è in molti a gridare); fatto sta che sono quasi certo di aver sempre disertato, durante tutta la vita, ogni occasione di manifestazione collettiva di pensiero aggregato, anche quando - magari casualmente...e senza mia volontà - mi è capitato di pensarla come coloro che scendevano in piazza.
Eccomi, invece, alla venerabile età che mi porto addosso, ad aver partecipato, oggi, ad una manifestazione di piazza: mosso da uno sdegno che ha vinto ogni radicata insofferenza per il genere, ho preso parte ad una marcia di protesta (forse sarebbe meglio dire ad un sit-in o ad uno stand-in, sempre che così si dica di una manifestazione in forma statica) promossa da il Foglio  contro la delibera dell'UNESCO che “battezza” come sito islamico il Monte del Tempio, situato, come noto, nella parte orientale di Gerusalemme (per intenderci: dove è il Muro del Pianto, il luogo più sacro alla religione ebraica e, esso stesso, muro residuo del Secondo Tempio di Gerusalemme, costruito oltre 500 anni  a.C.); un episodio di antisemitismo culturale di cui credo non  sia bene sottovalutare la portata politica, che non è certamente una questione di naming (il link per il testo della delibera lo trovate sotto; credo sia quello definitivo).
Leggo dal sito Italiano dell'UNESCO (ente internazionale, lo confesso, fino ad oggi a me noto praticamente solo per le pompose e spesso ovvie proclamazioni di appartenenza di qualche monumento o di qualche sito al Patrimonio dell'Umanità) che il preambolo del suo statuto reca questa ambiziosa affermazione: Poiché le guerre hanno origine nello spirito degli uomini, è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace; e mi domando se l'UNESCO sia convinta di aver corrisposto a questo suo programmatico indirizzo negando, non foss’altro in nomine, fra faziosi ed ambigui preamboli e contro ogni logica ed elementare coscienza storica, l’ebraicità (e – per conseguenza – anche la cristianità) del luogo. Non a caso, credo, Benedetto Croce la definì, già nel 1950, “un’istituzione sbagliata”.
Preciso (ma ormai lo saprete tutti) che questa decisione è stata assunta dall'UNESCO su proposta del Sudan, col voto favorevole di 24 paesi (fra i quali Russia e Cina, oltre che, ovviamente, tutti i paesi islamici, sunniti o sciiti), col voto contrario di USA, Germania, UK, Olanda ed Estonia e con la vigorosa astensione di 26 paesi fra i quali, insieme a Francia e Spagna, l’Italia, spesso furbastra e poco dignitosa in politica estera, non ostanti le pretese di protagonismo.
Lasciando da parte il significato civile della manifestazione promossa da il Foglio, due parole sul suo svolgimento me le consentirete, nello spirito del…. debuttante che, magari, non calcherà mai più scenari simili: non so stimare quante persone affollassero la piccola piazza Firenze (sede della delegazione italiana dell’Unesco) peraltro anche parzialmente occupata da macchine parcheggiate: forse 300;  qualche politico di medio rango; nessun intellettuale noto (per lo meno a me; del resto si sa, Benigni è negli Usa e Celentano vive a Milano); diversi giornalisti de il Foglio (fra i quali, ovviamente, il direttore e il fondatore); folta rappresentanza della comunità ebraica di Roma; pochi amici di ebrei e di Israele (fra i quali io); pochi slogan, grande emozione, brevi discorsi molto civili, in molti hanno cantato l’inno di Israele (in ebraico). Non ho avuto ragioni per  rammaricarmi di essere sceso in piazza, per la prima volta, in età avanzata.
Roma 19 ottobre 2016