Educarsi all’intelligenza
(di
Felice Celato)
Qualche
tempo fa, non ricordo dove, ho trovato citato un filosofo italiano di cultura
cattolica (Emanuele Samek Lodovici) scomparso giovane nel 1981. La citazione
comprendeva anche alcune argute osservazioni sull’intelligenza che mi hanno
catturato nonostante io non sia avvezzo alle letture filosofiche. Sicché –
potenza della rete! – sono riuscito a mettere le mani sul testo scritto a più
mani da autori diversi per commemorare, appunto, Samek Lodovici (i cosiddetti,
classici, “scritti in memoria”) e dal quale erano estratte le citazioni che mi
avevano incuriosito. Del resto, il suggestivo titolo del libro (L’origine e la mèta, Ares 2015) evocava comunque
temi che mi appassionano (l’homo
religiosus – scrive il curatore e prefatore del volume Gabriele De Anna –….vede nella realtà e nella storia le
tracce di un Principio trascendente che lo chiama a sé, cosicché la storia non
è un processo che ha in sé stesso la sua spiegazione); ma, lo confesso
senza vergogna, i contributi dei vari autori si sono rivelati, per lo più,
troppo specialistici perché io potessi gustarli o appassionarmene. Invece, come
mi aspettavo, mi ha molto colpito la trascrizione integrale della conferenza
dalla quale erano tratte le citazioni che mi avevano attratto e tenuta da Samek
Lodovici, proprio nell’anno della sua tragica scomparsa, ad un uditorio di
giovani/giovanissimi. Il tema della conferenza era Educarsi all’”intelligenza” e il relatore lo tratta con piglio da
educatore ma, secondo me, con grande acutezza, dettando alcune “regole in grado di propiziare l’intelligenza”
che mi sono sembrate veramente azzeccate. Fra queste ne citerò alcune che trovo
particolarmente “utili”e, lo confesso senza modestia, anche in linea con gli
sforzi che facciamo quando “ragioniamo” insieme.
Anzitutto
occorre accettare che l’intelligenza è un
dovere, non è dunque facoltativa: dobbiamo essere intelligenti, ricordati che
devi essere intelligente, che devi esercitare l’arte del sospetto, ricòrdati
che non devi farti ingannare; e poi che devi educarti alla volontà di verità, [a]
voler sapere come stanno le cose, [a]
non accontentarsi di qualche pagina di giornale, o dei rimasugli eruttati da
qualche mediocre, [a] fare il
possibile per capire: e, inoltre, che ci
educhiamo all’intelligenza quando capiamo che è non indifferente il linguaggio
che usiamo.
Poi
ci sono “le regole” che – per come le ho lette – mi sono parse il giusto "temperamento" di questi “doveri” all’intelligenza: noi non siamo non intelligenti quando sbagliamo ma siamo intelligenti
quando rettifichiamo….partiamo sempre dall’idea che ad essere intelligenti siano gli altri e non noi….non prendiamoci troppo sul serio….perchè l’intelligenza da sola non basta. E
infine: diventiamo intelligenti se ci
esercitiamo a contemplare la morte, una delle cose che, più di tutte, può
insegnarci a capire la vita che abbiamo e che stiamo vivendo.
Come
vedete ce n’è abbastanza per restare abbarbicati alla nostra congiunta volontà
di interrogarci....per discernere, per
cercare di veder chiaro, nella confusione, forse non involontaria, che ci
circonda.
Roma
10 ottobre 2016
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