Parole e
fatti
(di Felice Celato)
Dice l’apostolo Giacomo (Gc,
3, 1 e sg) che se
uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno
anche tutto il corpo. E in effetti – ce se ne rende conto con l’età – la lingua (organo del parlare) è inserita nelle nostre membra, contagia
tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna;…ogni sorta di bestie e di uccelli.....sono stati domati dall’uomo, ma la lingua nessuno la può domare.
Il passo è inquietante. Soprattutto – dicevo – si ha ragione di
lasciarsene inquietare in tarda età, quando magari ci si è lungamente esercitati,
con alterni successi, a domare altre
bestie, rassegnandosi ad un uso “spigliato” della parola quasi come una
compensazione per altri magari riusciti contenimenti; e quando si sono avute più
occasioni per constatare le rovine che le parole possono generare: le parole sbagliate (l’abbiamo detto
qualche altra volta attingendo liberamente ad una forte osservazione di R.
Calimani sulla storia degli Ebrei) generano
opinioni sgangherate, le opinioni sgangherate danno forma a sentimenti
perversi; e i sentimenti perversi diventano fatti, spesso tragici.
E dunque la straordinaria potenza della parola (dalla stessa bocca escono la benedizione e
la maledizione, nota ancora san Giacomo) non ha rilievo solo morale ma
anche, come spesso accade, politico.
Direi, anzi, che in questa epoca di post-verità mediatizzata (cfr. Spigolature / 9. Post-truth politics, del 12 sett. 2016)
la suggestione della parola decettiva è diventata – in politica – un’arma letale di straordinaria
potenza, alla quale attingono con sconsiderata costanza uomini di governo e di
opposizione. Che ne possano seguire opinioni sgangherate, sentimenti perversi e
fatti tragici, non importa alcunché; après
moi le déluge, sembrano pensare i nuovi Luigi XV: l’importante è arraffare
consenso (o forse: credere di arraffare consenso), per qualche tempo, fino a
che non si renda necessaria una nuova seminagione di vento e non ostante un’impossibile
incoscienza.
Non sono diverse – nella sostanza – queste considerazioni da quelle
che veniamo facendo da qualche tempo; solo che il tanto parlare di questi
giorni (su Europa, legge finanziaria, costo della politica, etc.) me ne pare una
conferma che aggiunge domande su quel che resterà dopo tanto vento seminato. Prendete
il caso di Gorino e leggete attentamente le frasi dei capi-popolo. Stesso
linguaggio - stessi sentimenti? - di chi ha seminato vento: sulla
maglietta di Naomo (il capopopolo di Gorino) c’è scritto – leggo dal
Corriere della Sera –“A casa! A calci in culo!”. S’intende: anche alle
donne incinte, perché “i buonisti si
nascondono davanti [?] alle femmine incinte”.
Poi, certo, è bene saperlo, rimane il problema: i numeri ci dicono
che la grande maggioranza dei rifugiati è alloggiato in “strutture provvisorie”; problema che nessuno affronta, perché è più facile (o addirittura più conveniente?) parlarne, con le solite lagne dall’una e dall’altra parte.
Hanno chiesto aiuto alla Caritas: qui – per fortuna – è stata
seminata un’altra Parola.
In treno, fra Milano e Roma, 26 ottobre 2016
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