Vólano o volàno?
(di Felice Celato)
Me
lo ripeto spesso, ma invano: la confusione di idee che regna incontrastata in questo nostro
povero paese non deve mettermi in agitazione, anzi direi meglio: non deve farmi
infuriare! Addirittura spesso mi ripeto le poche parole di Santa Teresa d’Avila
che so in spagnolo: Nada te turbe, nada
te espante…todo se pasa, Dios no se muda. Ma, come dicevo, purtroppo è più
forte di me: non riesco a convincermi che un paese che si proclama a gran voce “moderno”
(o forse addirittura smart) possa
sopravvivere a lungo in questo bailamme
di parole incontrollate che danno luogo a opinioni scriteriate e quindi – secondo
la ben nota sequenza, qui più volte citata – prima o poi a sentimenti
pericolosi.
Che
cosa ti fa infuriare, oggi? Domanderanno i miei pazienti lettori. Nel dibattito
sulla imminente legge finanziaria (o come altro l'abbiamo chiamata per far
credere ad una avvenuta riforma della sostanza) gli spunti sarebbero
innumerevoli: e per questo tento di tenermi lontano dal correlato
chiacchiericcio mediatico che come ogni anno annebbia le idee e consente gli
scempi di sempre. Ma ce n'è uno che grida vendetta di fronte…..al dio Mercurio
ed agli uomini (ragionanti): ma - secondo voi - abbiamo chiaro, in Italia, che
vuol dire “investimento”? E gli
stessi nostri politici ce l’hanno chiaro, il concetto?
Secondo
me no. E la cosa si aggrava quando - come accade annualmente soprattutto in
questi giorni d’autunno - si torna a parlare di investimenti pubblici come
"voláno" per la ripresa (notate l'accento: le spese vólano, gli
investimenti…..volàno, un accento ti
cambia la vita, direbbe la pubblicità).
Dunque cerchiamo almeno di capirci fra noi, semplificando per
quanto possibile: l’investimento
è un esborso effettuato nell’assunto (ragionato) che esso (da solo o
combinandosi con altri fattori) generi nel tempo incassi (nel caso dello Stato
investitore, si può ben concedere, invece di incassi, benefici) superiori
all’esborso stesso comprensivo degli interessi connessi al decorso del tempo, così
da ripagarsi integralmente e da produrre anche un incremento della “ricchezza”
disponibile. Sennò è una spesa, un costo, chiamatelo come volete ma non
investimento!
Questo concetto molto
semplice – non occorre aver studiato alla Columbia University per arrivare a
capirlo – vale per le aziende, ovviamente, ma anche per lo Stato. E da esso
discendono non marginali conseguenze in ordine alle modalità più opportune per
finanziare questo esborso (cioè per trovare i fondi per sostenerlo, l’esborso):
quindi – semplificando un po’, per amore di brevità – si direbbe: i costi si
coprono con le entrate correnti, gli investimenti (anche) col debito.
Un’avvertenza prima di
concludere: non è la finalità di una spesa a mutare la natura di un esborso,
trasformandolo da spesa in investimento. Così le famose buche fatte scavare e
poi ricoprire dagli operai per creare redditi e quindi stimolare l’economia,
secondo il noto paradosso keynesiano, sono e restano emblematicamente inutili;
e l’esborso per le paghe degli operai che prima le scavano e poi le ricoprono, pur potendo essere una spesa in certe circostanze
opportuna – o addirittura benefica – e anche finanziabile a debito, non sarà mai un investimento. Non è una
questione nominalistica; è invece rilevantissima quando si giudica della
qualità di un singolo progetto o si deve scegliere fra più progetti.
Bene, se questi semplici
concetti sono chiari, disponiamo ora di un criterio razionale per giudicare
tante delle cose che si dicono o sono state dette per progetti passati,
presenti o futuri (tutti ovviamente considerati “un investimento per il futuro del paese”), dall’Expo alle Olimpiadi
di Torino 2006, alle mancate Olimpiadi romane del 2024, alla TAV, al mitico
Ponte sullo Stretto, etc. E’ molto istruttivo, ogni tanto, verificare ex-post se gli attesi "ritorni"da progetti osannati come “investimenti”
si sono poi nel concreto manifestati o se, invece, si sono rivelati fondati su un fragile ottimismo, tanto da trasformare il progettato investimento in una
spesa dagli effetti inevitabilmente effimeri.
Così mi parrebbe si debba
ragionare e decidere in un paese moderno e civile; soprattutto in un paese che
ha bisogno di convincere il mondo che chiede a prestito soldi dal mercato non
per incrementare le sue spese ma per finanziare i suoi investimenti.
Roma 6 ottobre 2016
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