giovedì 6 ottobre 2016

Chiariamoci

Vólano o volàno?
(di Felice Celato)
Me lo ripeto spesso, ma invano: la confusione di idee  che regna incontrastata in questo nostro povero paese non deve mettermi in agitazione, anzi direi meglio: non deve farmi infuriare! Addirittura spesso mi ripeto le poche parole di Santa Teresa d’Avila che so in spagnolo: Nada te turbe, nada te espante…todo se pasa, Dios no se muda. Ma, come dicevo, purtroppo è più forte di me: non riesco a convincermi che un paese che si proclama a gran voce “moderno” (o forse addirittura smart) possa sopravvivere a lungo in questo bailamme di parole incontrollate che danno luogo a opinioni scriteriate e quindi – secondo la ben nota sequenza, qui più volte citata – prima o poi a sentimenti pericolosi.
Che cosa ti fa infuriare, oggi? Domanderanno i miei pazienti lettori. Nel dibattito sulla imminente legge finanziaria (o come altro l'abbiamo chiamata per far credere ad una avvenuta riforma della sostanza) gli spunti sarebbero innumerevoli: e per questo tento di tenermi lontano dal correlato chiacchiericcio mediatico che come ogni anno annebbia le idee e consente gli scempi di sempre. Ma ce n'è uno che grida vendetta di fronte…..al dio Mercurio ed agli uomini (ragionanti): ma - secondo voi - abbiamo chiaro, in Italia, che vuol dire “investimento”? E gli stessi nostri politici ce l’hanno chiaro, il concetto?
Secondo me no. E la cosa si aggrava quando - come accade annualmente soprattutto in questi giorni d’autunno - si torna a parlare di investimenti pubblici come "voláno" per la ripresa (notate l'accento: le spese vólano, gli investimenti…..volàno, un accento ti cambia la vita, direbbe la pubblicità).
Dunque cerchiamo almeno di capirci fra noi, semplificando per quanto possibile: l’investimento è un esborso effettuato nell’assunto (ragionato) che esso (da solo o combinandosi con altri fattori) generi nel tempo incassi (nel caso dello Stato investitore, si può ben concedere, invece di incassi, benefici) superiori all’esborso stesso comprensivo degli interessi connessi al decorso del tempo, così da ripagarsi integralmente e da produrre anche un incremento della “ricchezza” disponibile. Sennò è una spesa, un costo, chiamatelo come volete ma non investimento!
Questo concetto molto semplice – non occorre aver studiato alla Columbia University per arrivare a capirlo – vale per le aziende, ovviamente, ma anche per lo Stato. E da esso discendono non marginali conseguenze in ordine alle modalità più opportune per finanziare questo esborso (cioè per trovare i fondi per sostenerlo, l’esborso): quindi – semplificando un po’, per amore di brevità – si direbbe: i costi si coprono con le entrate correnti, gli investimenti (anche) col debito.
Un’avvertenza prima di concludere: non è la finalità di una spesa a mutare la natura di un esborso, trasformandolo da spesa in investimento. Così le famose buche fatte scavare e poi ricoprire dagli operai per creare redditi e quindi stimolare l’economia, secondo il noto paradosso keynesiano, sono e restano emblematicamente inutili; e l’esborso per le paghe degli operai che prima le scavano e poi le ricoprono, pur potendo essere una spesa in certe circostanze opportuna – o addirittura benefica – e anche finanziabile a debito, non sarà mai un investimento. Non è una questione nominalistica; è invece rilevantissima quando si giudica della qualità di un singolo progetto o si deve scegliere fra più progetti.
Bene, se questi semplici concetti sono chiari, disponiamo ora di un criterio razionale per giudicare tante delle cose che si dicono o sono state dette per progetti passati, presenti o futuri (tutti ovviamente considerati “un investimento per il futuro del paese”), dall’Expo alle Olimpiadi di Torino 2006, alle mancate Olimpiadi romane del 2024, alla TAV, al mitico Ponte sullo Stretto, etc. E’ molto istruttivo, ogni tanto, verificare ex-post se gli attesi "ritorni"da progetti osannati come “investimenti” si sono poi nel concreto manifestati o se, invece, si sono rivelati  fondati su un fragile ottimismo, tanto da trasformare il progettato investimento in una spesa dagli effetti inevitabilmente effimeri.
Così mi parrebbe si debba ragionare e decidere in un paese moderno e civile; soprattutto in un paese che ha bisogno di convincere il mondo che chiede a prestito soldi dal mercato non per incrementare le sue spese ma per finanziare i suoi investimenti.

Roma 6 ottobre 2016

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