domenica 29 aprile 2012

Stupi-diario felice



Vigilanza critica
(di Felice Celato)

Il senso di questa nostra rubrichetta (come dico spesso, oziosamente vagante fra stupidità e puro stupore) si colora oggi appieno di un beato stupore, muovendo da conversazioni privatissime che, ieri sera, mi hanno dato proprio soddisfazione.
Una mia amica, le cui opinioni si muovono spesso sul delicato crinale che sta fra la massima serietà e un controllato eccesso di severità, ha enunciato, attorno ad una pizza ma partendo da alcuni esempi specifici e recenti, il proposito (e la necessità) di applicare con costanza una severa (e, nel caso concreto, si può stare sicuri che lo sarà) acribìa nei confronti delle forme di “costruzione” della pubblica opinione che strisciano, quasi meccanicamente, sui media “nelle notizie di tutti i giorni”, cioè non nei pensosi editoriali o nei (talora colti) commenti, ma nei modi con cui si vestono (o anche solo si titolano)  le notizie apparentemente minori.
Facendoci caso con costanza – da molto tempo la penso anch’io così (ecco perché mi beo del temperamento di solitudine “ideologica” che mi deriva dall’opinione della mia amica) –  si possono individuare alcuni stilemi costanti nelle narrazioni giornalistiche (temo talora ispirati da una certa pigrizia mentale);  cito due fra i percorsi “narrativi” più costantemente “gettonati” (e per me più fastidiosi) : il percorso, devo dire – ahimè! – tipicamente di sinistra, del politically correct (l’esprimersi, cioè, secondo le linee più convenzionali di ciò che si suppone generalmente accettato come necessariamente, anzi, doverosamente pensato da tutti, e, fatalmente, non da me) e il percorso di un Naderismo vagamente populista verso coloro che si suppongono ontologicamente  prepotenti, sempre e comunque, a prescindere dalle situazioni di fatto (siano essi i produttori verso i consumatori, o i venditori di prodotti e servizi verso i clienti, o Equitalia verso gli evasori, o le Pubbliche Amministrazioni verso i cittadini e così via).
Bene; molto bene! Se, come sono convinto, la pubblica opinione si costruisce, si forma, si coltiva anche nei dettagli minuti, questa forma di attenzione anche alle dosi omeopatiche di convenzionalità non può che farmi piacere! Soprattutto sapendo che viene da chi non ha certo metri indulgenti nel valutare i veri prepotenti! Che, quando sono veri, detesto fortemente anch’io.

Roma, 29 aprile 2012




sabato 28 aprile 2012

Letture


Letterari conforti e sconforti
(di Felice Celato)

Eccoci qua, dopo qualche malanno di stagione (passaggi dell’anno o della vita?) e molti antibiotici, torniamo alle nostre conversazioni asincrone. Le molte ore trascorse a casa hanno inevitabilmente portato molte letture; ne citerò due, assai diverse fra loro, che mi hanno tenuto lontano da quella dei giornali, senza alcuna nostalgia.

la prima è un vasto romanzo di un giovane scrittore libanese Rabee Jaber, Come fili di seta (Feltrinelli) che racconta, attraverso la (forse vera) storia di una magnifica donna (in qualche modo un’ascendente dell’autore), l’epopea dell’immigrazione in USA di molti libanesi–siriani nel corso di tutto il ‘900. Per certi versi il libro replica La signora di Ellis Island di Mimmo Gangemi, un racconto bellissimo che abbiamo già segnalato su questo blog e dedicato, invece, alla migrazione italiana dello stesso periodo.
Anche qui, in Come fili di seta, la narrazione è fluida e sicura, anche quando gioca con piani temporali diversi, la scrittura duttile e capace di suscitare commozione ed ammirazione per la tenacia di un popolo alla ricerca del suo proprio sogno Americano. Ne viene fuori un ritratto vivo di molti personaggi forti (oltre  a quello, bellissimo, della protagonista, Marta), immersi in una serie di vicende umane difficili, nelle quali si riconoscono i tratti di una solidale e generosa determinazione umana e di una vigoria spirituale che apre il cuore e la mente al pensiero positivo.

Di tutt’altra pasta è invece il bel libro di Clara Sereni Una storia chiusa (Rizzoli); confesso che, nello stato psicofisico in cui l’ho letto, il romanzo della Sereni sarebbe stato da abbandonare, cosa del resto che, come lettore, di solito non mi crea alcun imbarazzo intellettuale, anche di fronte ad opere di scrittori di fama monumentale. La storia (anzi: la tenue storia) narrata è inserita in un ambiente umano non particolarmente confortante: una residenza per anziani nella quale si agitano, come i veri protagonisti del racconto, le nevrosi, le manie, i malanni, le angustie, le relazioni forzate, le emozioni elementari e le solitudini disperate dei diversi io narranti che ruotano attorno ad una nuova arrivata, una ex magistrato in pensione che in realtà è stata inserita nella malinconica comunità, sotto falso nome, solo per sottrarla alle minacce di malviventi con cui è entrata in contatto nella sua attività.
Non ostante il deprimente contesto (non ideale per uno stagionato lettore, non lontano dall’età dei protagonisti, e per di più sotto antibiotici), il racconto – anche qui tracciato con la mano sicura di una sperimentata e mai banale narratrice – mi ha preso quando mi è parso di cogliere l’intento metaforico cui accenna la quarta di copertina (di solito non presto alcuna attenzione a quanto scritto nelle copertine da chi, come troppo spesso appare evidente, non ha avuto il tempo di leggere il libro; ma stavolta, la chiave di lettura suggerita mi è sembrata utile): se la residenza per anziani non è altro che una elegante parafrasi del nostro vecchio e stanco Paese – come è più evidente nel finale, disperatamente e dolcemente retorico - la lettura si fa per molti versi più interessante…. ma non per questo risulta meno deprimente!

Roma, 28 aprile 2012

mercoledì 18 aprile 2012

Inferno e purgatorio/2


Discussioni, sullo sfondo, nel frattempo
(di Felice Celato)

Discussioni: Come è facile immaginare, in questi tempi di profonde e pericolose convulsioni politiche, non sono mancate, fra i soliti amici, discussioni, anche accese, sulla natura del passaggio che stiamo vivendo e sui suoi possibili sviluppi.
Se volessi tentare una sintesi per poli estremi, direi che in fondo – nel generale raccapriccio per ciò che ci tocca di vedere e sentire – la vera divergenza di opinioni è sulla sorte del sistema politico italiano, (forse più storicamente che formalmente) basato sull’intermediazione dei partiti politici (positiva o negativa che sia risultata; e io credo positiva, per lungo tempo) fra la base elettorale e  la formazione della volontà dello Stato.
Ebbene, io qui, come mi accade sovente, sono rimasto isolato nella convinzione che solo una metodica e prolungata bastonatura (politica, naturalmente) degli attuali partiti “votabili” senza vergogna (intendo per tali quelli che non esprimono solo borborigmi) può indurli ad abbandonare – finché ne sono in tempo – le loro pavloviane dipendenze da stanchi modelli di pensiero e di posizionamento “ideologico”.
Altri, invece, pensano che una prolungata bastonatura (politica, naturalmente) non faccia altro che alimentare i borborigmi e che, in fondo, occorra dare merito ai partiti del loro sia pur confuso prodigarsi per  “mediazioni”, ben reclamizzate (secondo me oltre i loro meriti).
Confesso che le argomentazioni dell’”altra fazione” spesso mi convincono: da tempo, penso, infatti, che l’opinione pubblica si crea e che “64.000 ripetizioni fanno la verità” (Huxley); però, ciò non ostante, ogni volta che risento parlare qualche “eterno stagionato” politico (si tratti di D’Alema, Cicchitto, Bindi o, ahimè, talora Bersani) torno a pensare che le bastonature (politiche, naturalmente) non sono state sufficienti e che bisogna perseverare: sembra non sia ancora chiaro che contesti mutati esigono pensieri mutati e che ripetere le solite azioni quando si sono rivelate inefficaci non cambia il destino delle stesse.

Sullo sfondo, comincia a vacillare (in parte, secondo me, a ragione, e come, del resto, era prevedibile) la fiducia nell’efficacia dell’azione (per la verità un po’ appannata) del Governo, mentre non si ricostituisce quella nell’Europa. Straordinario pabulum per borborigmi scatenati! Molto preoccupante, come temevamo.

Nel frattempo, nella generale indifferenza dei cittadini e dei partiti, è stata modificata la Costituzione, con la previsione dell’obbligo (attenuato) del pareggio di bilancio: vi era sfuggito che se ne discuteva? Eppure, come da Costituzione, richiedeva ben quattro passaggi in Parlamento! Ah! E’ vero: c’era il ben più importante articolo 18 della legge 300 del 20 maggio 1970! Avete sentito qualcuno dibattere che cosa può voler dire prevedere in Costituzione il pareggio di bilancio? Io no, salvo rare eccezioni, ma in fondo una spiegazione c’è: entra in vigore dopo le prossime amministrative parziali!

Sempre nel frattempo, è partita la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sul finanziamento dei partiti, che rimarrebbe sempre pubblico, nella sostanza, ma sotto il controllo “democratico” dei cittadini, nelle cui mani viene messo il rubinetto; raccolta promossa dal prof Capaldo. Vedasi www.perunanuovaitalia.it, sito già citato in questo blog. La nuova proposta prevede anche un meccanismo di soft landing, per il passaggio senza traumi al nuovo sistema di finanziamento. Io firmerò.


Roma, 18 aprile 2012

giovedì 12 aprile 2012

Inferno e purgatorio



I tempi e le folle
(di Felice Celato)

Quello che desta il mio interesse nel convulso scorrere dei giorni è il ruolo fantastico delle folle e delle  pubbliche emozioni.
C’è di tutto nella tragicommedia della Lega dei puri padani di questi tempi: dalla tortuosa dissimulazione, al pubblico sacrificio del capro (forse non innocente), alla caccia alla strega, alla simbolica effusione di nuove energie rigenerative (passate al vaglio “sapiente” della scopa).
Il tutto nel rumoroso contesto di vocianti assemblee dove, all’insegna di un appannato orgoglio, sembrano accantonate analisi precise dell’accaduto, valutazioni realistiche della situazione e ragionate proposte di nuovi orizzonti.
Nel frattempo si consuma con accelerato vigore il purgatorio dei partiti nei quali, sempre a beneficio di pubbliche orecchie, l’invocazione di urgenze a rimedio di mali noti da tempo prende il posto  della chiarezza e della autentica determinazione dei mezzi per porre riparo alle emerse antiche storture.
Risale lo spread e l’Italia ricomincia a perdere il poco terreno guadagnato mentre nelle percezioni di popolo viene scossa la fiducia nell’efficacia delle strade intraprese (eppure con il rivendicato consenso di molti); l’IMU non ha ancora prodotto le pesanti emozioni del pagamento quando già se ne invoca l’applicazione solo per un anno (Alfano); la manovra sul lavoro non ha ancora varcato il Parlamento e già se ne vorrebbe svuotato il senso.
Le folle, apparentemente, si nutrono con semplificate emozioni, effimere epifanie dei sentimenti e goffi succedanei della coscienza. E l’interessato governo delle folle ruba spazio alla avviata comprensione dei problemi.
La catarsi delle piccole elezioni di maggio è ancora lontana e tutto si sacrifica al guadagno di un transitorio consenso.
Questo è quello che vedo d’attorno. Altro che il senso della lunga durata che ogni sforzo difficile richiede!  Stiano attenti i partiti che giocano con le folle perché, come diceva Kennedy (o Lincoln?), “puoi ingannare tutti per un po’, qualcuno per sempre ma mai tutti per sempre”; non vorrei che il purgatorio diventi un inferno.

Roma 12 aprile 2012

venerdì 6 aprile 2012

Stupi-diario rapido


Dall'estero?
(di Felice Celato)

Il venerdì santo non inclina all’ironia (che vorrebbe essere la chiave di questa rubrichetta) ; ed infatti questo stupi-diario è austero e rapido: solo due asciutte segnalazioni, stavolta dall’estero (la fonte è però il Corriere della sera di oggi). 
Magari, a Pasqua fatta, ci torneremo sopra. Nel frattempo vale la pena di leggere questi due brevi articoli.
Dalla Francia. Titolo del Corriere (pg 25): “Francia, che guaio essere ricchi. La politica cavalca l’indignazione.”
Dalla Germania. Titolo del Corriere (pag 27): “A Francoforte la rivolta del sonno. E l’aeroporto blocca i voli notturni
Roma, 6 aprile 2012

giovedì 5 aprile 2012

Ecologia della convivenza/2


Un discorso difficile
(di Felice Celato)

Da qualche tempo vado riflettendo tra me e me (con qualche rapida incursione nelle opinioni dei pochi amici con cui si può parlare di queste cose) sul concetto di ”colpa (in senso atecnico) nel male” così come viene percepito nella dinamica confusa ed approssimativa delle opinioni correnti (per tali intendendo quelle, spesso acritiche, che vengono “formate” dai media).
C’è da dire che la cronaca offre ampi campionari di queste opinioni correnti, dai commenti sull’episodio Schettino (che è all’origine alle mie riflessioni) a quelli sui casi Lusi o Belsito o su molti altri.
In questo contesto riflessivo, si è inserito provvidenzialmente l’annuale bellissimo ciclo di conferenze organizzato dai PP. Gesuiti, quest’anno sull’enigma del male (l’anno scorso sulle cosiddette ragioni di Antigone), affrontato però non tanto dal punto di vista filosofico ma soprattutto da quello antropologico (il libro che compendia gran parte di queste conferenze è “L’arazzo rovesciato. L’enigma del male” di G Cucci e A. Monda, un libro del quale raccomando vivamente la lettura).
Ebbene, riflessioni e letture mi hanno condotto a queste (provvisorie) conclusioni.
In realtà – seguo il libro appena citato, soprattutto ai capitoli 2,3 e 4 – mi vado convincendo che il discrimine fra l’estremo male (nel libro individuato nei crimini nazisti) e l’estremo bene (nel libro ricapitolato nella figura dell’eroe) è psicologicamente e socialmente così sottile da necessitare di una grande acutezza di valutazioni; non perché – sia chiaro – non siano evidenti le differenze tra le opere del male e le opere del bene, ma perché quello che accade sulla bilancia che, nei nostri atti, orienta l’ equilibrio dei suoi piatti verso la banalità del male (cioè il fatto che il male anche estremo può essere fatto da persone assolutamente ordinarie) o verso la banalità del bene (cioè il fatto che il bene anche eroico può essere fatto da persone assolutamente ordinarie), è spesso frutto di circostanze culturali e relazionali estremamente delicate, affacciate nello spazio decisivo ed angusto fra l’acquiescenza acritica a determinate pressioni sociali (si pensi all’influenza nefasta dell’ideologia nazista sui comportamenti di persone che in altro contesto potevano essere degli oscuri funzionari di stato e che, invece, nel contesto esaltato del nazismo, sono diventati sadici persecutori) e la vigilanza critica, la desta consapevolezza (che ad esempio portò uomini oscuri come Perlasca a divenire autentici eroi della giustizia).
Si badi bene: tutto ciò non porta a negare o attenuare il concetto di responsabilità individuale, che, anzi, viene esaltato proprio dalla sottigliezza del discrimine, che esige una vigilanza continua ed attenta, direi scrupolosa (ma che proprio per questo può non essere alla portata di tutti, soprattutto in condizioni eccezionali).
Né ciò porta, mi ripeto citando il libro, a negare la differenza fra il bene e il male ma (solo) la presunta dicotomia fra l’uomo peccatore e l’uomo (che si crede) giusto.
Ecco dunque, da un lato, ancora una volta, la grandezza dell’antica verità biblica: non giudicare; dall’altro la miseria dell’opinionismo mediatico: stracciarsi le vesti di fronte al male compiuto dagli altri, chiedendo giustizia sommaria del presunto colpevole, è un atteggiamento tanto spontaneo ed emotivo quanto falso ed ipocrita perché, oltre a non conoscere la vicenda e la situazione del colpevole, nell’atto di giudicare, come ricorda San Paolo, non si fa altro che condannare se stessi. Gli autori del libro ricordano, al riguardo, il bellissimo episodio di Davide e Natan, quando Davide, di fronte alla storia raccontatagli da Natan esclama “Chi ha fatto questo è degno di morte!”; al che, Natan, svelando la parabola, risponde: “Quell’uomo sei tu!”(2 Sam,12).
Bene, fin qui le mie (provvisorie) conclusioni, devo dire, sapientemente guidate, così mi pare di poter dire, dal libro del P. Cucci e del prof. Monda.
Ora proviamo a riavvolgere i tanti sdegni che ci portano  a demonizzare ora l’uno ora l’altro protagonista delle nostre sovrabbondanti cronache e a riconsiderare le nostre idee al riguardo alla luce di quel flebile iato che separa, magari in condizioni eccezionali, l’acquiescente inconsapevolezza dalla desta consapevolezza: sono sicuro che molte pietre cadranno di mano ai lapidatori e che i più coscienti di essi riscopriranno la infinita saggezza del non giudicare.

Vengo alle possibili obiezioni, che mi suggeriscono anche gli scambi di idee con alcuni amici:

1: Ma, si potrebbe dire, come si fa a non giudicare? La nostra vita individuale e collettiva, privata e sociale, è intessuta della necessità di giudicare. Forse è vero, se il giudicare ci serve per decidere (per esempio, per votare). Ma possiamo dire altrettanto del continuo trasformare ogni giudizio in facile, immediata, pubblica, inappellabile, sicura, beffarda e rumorosa condanna? Fa bene alla nostra convivenza (per questo ho ripreso, nel titolo, il tema della "nostra" ecologia civile) alimentare la nostra pubblica opinione solo di pietre per lapidare?

2: Se “prodighiamo” acribìa ai possibili facitori di male, perché non prodigarla, come mi suggerisce un amico preoccupato di alcune mie durezze su certi politici, anche a coloro che fanno male – magari secondo il nostro personalissimo giudizio – credendo di fare bene? Troppo giusto, anche ad essi va riservato un "giudizio pietoso", soprattutto se sono veramente in buona fede. Ma con una grandissima attenzione, soprattutto quando questi sono politici, portatori di messaggi potenzialmente aggreganti (per esempio, di ideologie, piccole o grandi). In fondo (torno a citare il libro) il condizionamento cognitivo, proprio dell’ideologia e della propaganda politica è il frutto di una recezione passiva; e la natura di questa recezione (se passiva o critica) è proprio quella che può fare la differenza fra un oscuro personaggio trasformato in belva (il comandante di Aushwitz, Hoss) e un oscuro personaggio trasformato in eroe (Perlasca o Jagerstatter, il contadino austriaco che seppe ribellarsi ad Hitler).

Roma, 5 aprile 2012, giovedì santo (il giorno della passione del Giusto, condannato dal suo popolo)

domenica 1 aprile 2012

Anniversario piccolo



Un anno di conversazioni asincrone
(di Felice Celato)
Dunque in questi giorni il nostro blog compie un anno! E’ giusto fare un piccolo bilancio di questa divertente esperienza che devo al suggerimento della giovane neo-giornalista Chiara A..
Era nata, l’idea, non certo dalla convinzione di avere qualcosa di importante da dire; certamente chi scrive per il piacere che qualcuno lo legga deve avere una venatura narcisistica nel suo carattere, che non escludo di avere, in piccola misura, anch’io: in fondo mi è sempre piaciuto scrivere, fin dai tempi del liceo (ricordo con un misto di soddisfazione e di vergogna di aver scritto, per una mia futura cognata, una – dissero i suoi professori - bellissima recensione su un libro che non avevo letto); ed anche sul lavoro ho sempre avuto la sensazione che mi riuscisse bene scrivere note, relazioni, piani e progetti. E non escludo – qualcuno potrebbe rinfacciarmelo – di aver avuto spesso la grata sensazione di farlo almeno con efficacia e di essermi magari anche compiaciuto di questo “dono di natura” che – nella percezione di molti miei colleghi – mi faceva sentire a mio agio quando ordinavo, anche rapidamente, le nostre idee per iscritto.
Ma, posso assicurarvelo, non c’è stata alcuna (…cosciente) motivazione narcisistica nella decisione di aprire un blog; semmai ci può essere stata (anzi c’è sicuramente stata) una componente ludica, essendo, come dicevo, per me divertente scrivere: lo trovo un passatempo anche utile a me stesso perché,  per scrivere, così sono solito dire, “bisogna fare la punta alla matita” (o meglio: bisognava…..; oggi si indugia nella lentezza della tastiera) e nel fare la punta alla matita o esitando alla ricerca dei tasti si scelgono con maggiore ponderazione le parole, che altrimenti, nel discorso, possono fluire con qualche disordine o con qualche ellissi di troppo (cosa che a me accade frequentemente, come mi ricorda spesso mia moglie).
Ma, credo, nemmeno la componente ludica è stata quella veramente determinante nella decisione di cominciare a “postare”; in realtà la vera ragione del blog sta nella constatazione che, in mezzo alla banalità di tanti discorsi quotidiani e nelle fatali asincronie dei nostri spazi di comunicazione, ci sfugge irrimediabilmente l’occasione, invece preziosa, di scambiare con amici e parenti punti di vista sul mondo e sui fatti, che la forma scritta ci consente di depositare quando ne abbiamo tempo, nell’attesa dell’altrui tempo per lo scambio delle idee; e che, anche, a distanza di mesi, è interessante  rivedere o per compiacerci della nostra intuizione (ah! Narciso, Narciso!) o per sorridere manzonianamente della fallacia delle nostre opinioni.
E devo dire che se anche i commenti “pubblici” sono stati scarsi, quelli privati, magari attorno alla pizza della domenica sera o nelle mail della notte, non sono mancati e hanno tutti contribuito a farmi sentire più ricco di punti di vista e più soddisfatto di aver trovato il modo di suscitarli e confrontarli.
In un anno ho scritto una sessantina di post, quindi mediamente poco più di uno a settimana; ho ricevuto circa 3500 visite (molte delle quali saranno state casuali), mediamente quindi una sessantina per ogni post, con una straordinaria concentrazione su alcuni (in particolare su quello intitolato  Confini/frontiere) che fatico a spiegarmi (ma che certamente non mi dispiace); i misteri della rete non mi hanno fatto capire la via della strana dispersione geografica dei contatti, di uno solo (dal Canada) avendo personalizzato l’origine.
Dunque, per me un’esperienza divertente ed interessante; ai miei lettori (e commentatori, in pubblico o in privato) va però il ringraziamento più vivo per aver partecipato con generosità intellettuale a questo piccolo gioco, spero intelligente, di un privato conversare asincrono realizzato col meno privato dei mezzi.

Roma, 1° aprile 2012