mercoledì 29 ottobre 2014

Stupi-diario delle stupidaggini

Il M.I.F.T.I.
(di Felice Celato)
Io sono convinto che ognuno di noi abbia un suo M.I.F.T.I.. E che cos’è il M.I.F.T.I., direte voi? E’ un indice internazionale (beninteso, inventato da me, sulla base dell’attenta osservazione degli uomini e di me stesso) teso a misurare la propensione insopprimibile di ciascuno di noi a pensare e dire una certa quota di stupidaggini (la sigla vuol dire : Minimum Irrepressible Futile Thinking Index, cioè minimo insopprimibile indice di pensiero futile). Ovviamente, più si è saggi, avveduti, pensosi, estranei alla banalità dei tempi e cauti nei giudizi, tanto più l’indice è basso (come avviene per il famoso spread, che è tanto più basso quanto più si è virtuosi); ma la nostra natura umana fa sì che questo indice non possa mai essere pari a 0. Si può essere re, donna, cavaliere o fante (o, perché no? sacerdote) ma il tuo M.I.F.T.I. non raggiungerà mai lo 0!
Dunque, ragionando logicamente, se M.I.F.T.I. > 0, allora la cosa migliore che possiamo fare, per non risultare, anche in minima percentuale, pericolosi propagatori di stupidaggini (e le stupidaggini sono pericolose, ah! quanto pericolose, specie quando propalate pubblicamente o, peggio, solennemente) è starcene zitti. Beninteso, se anche taci, il M.I.F.T.I. continua ad operare, dentro di te, perché, appunto, si riferisce non solo al dire ma anche al pensare; però il danno che si è prodotto dentro di te non si propaga (ove mai ci fosse qualcuno disposto a dare un qualche peso alle tue parole). E comunque, se proprio, per natura della tua posizione o per altri motivi magari solo edonistici, non puoi astenerti dal parlare, almeno cerca di parlare poco! Cosa ardua, però, in questi tempi…mediatici e tentatori.
Direte: ma come ti viene in mente questo futile pensiero, questo futile thinking? Beh! Confesso che l’ispirazione (purtroppo anche abbondante) non mi è mancata in questi giorni; ma la più immediata ed efficace è stata la constatazione che in questo mese ho scritto (con questo) ben 10 post. E se il mio M.I.F.T.I. fosse solo del 10% (ma dubito che sia più alto), sulle circa 4-500 righe che ho scritto ‘sto mese, circa 40-50 righe sarebbero di autentiche stupidaggini. Spaventoso! Mi consola solo il fatto (fortunato) che questo blog…propala poco.
Roma 29 ottobre 2014

lunedì 27 ottobre 2014

Accidie

Il demone del mezzogiorno
(di Felice Celato)
Sia stato l’effetto del ritorno all’ora solare, o quello di una cena amicale un po’ pesante, o quello di un week-end addensato di nocive retoriche vociate su piazze vocianti (e non solo lì); fatto sta che oggi mi pareva di essere preda del demone del mezzogiorno, dell’accidia, cioè di quella tentazione che – come insegnavano i vecchi maestri – ci pervade quando ogni ardore è spento, l’irrequietezza interiore ci provoca un disgusto negligente, la stanchezza ci pesa in modo esagerato e l’entusiasmo ci pare un sentimento negativo.
Dante fa dire agli accidiosi (Inf. VII, 121 e sg) “tristi fummo/nell’aere dolce che del sol s’allegra/portando dentro accidioso fummo” e li pone accanto agli iracondi, forse pensando – mi pare con San Tommaso – all’accidia come un defectus irae. San Paolo (2 Cor. 7,10) la chiama “la tristezza secondo il mondo” e addirittura dice che “produce la morte”.
Con questi sentimenti…gioiosi, per fortunata coincidenza ho letto (su Avvenire.it) il discorso di Papa Francesco all’inaugurazione di un busto dedicato dalla Pontificia Accademia delle Scienze a Benedetto XVI : “un grande Papa…per la forza e penetrazione della sua intelligenza, grande per il suo amore nei confronti della Chiesa e degli esseri umani, grande per la sua virtù e la sua religiosità….Certo di lui non si potrà mai dire che lo studio e la scienza abbiano inaridito la sua persona e il suo amore nei confronti di Dio e del prossimo, ma al contrario che la scienza , la saggezza e la preghiera hanno dilatato il suo cuore e il suo spirito”.
Questo discorso mi ha aperto la mente ad una considerazione consolante, direi entusiasmante, almeno per noi fedeli, appassionati della Chiesa e orgogliosi di appartenere (senza merito) a questa civitas che, in mezzo a tante difficoltà e cadute, pure nel tempo si rinnova come forse nessuna civitas terrena riesce a fare, alternando i carismi dei suoi capi, secondo leggi misteriose soffiate nelle teste canute dei cardinali che li eleggono.
Ma fatalmente – il demone del mezzogiorno non mi ha ancora del tutto abbandonato, non ostante l’iniezione di entusiasmo clericale! – per converso mi è corso il pensiero alla città terrena che, invece ed in fondo,  tanto spesso esprime leaders secondo logiche di continuità emotiva, pur – talora – nella apparente diversità partitica, perché nessun vento soffia a spazzare la nebbia delle nostre menti. E quando, più o meno felicemente, accade, le “esigenze democratiche” provvedono a riallineare i cambiamenti nei fatti, magari lasciandoli tali nelle apparenze. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” diceva il principe di Salina…a piazza san Giovanni, mi pare.
Forse la nostra città terrena è anch’essa gattopardescamente accidiosa?

Roma 27 ottobre 2014

domenica 19 ottobre 2014

Cibi speziati

Incubi
(di Felice Celato)
Complice una cena indiana assai impegnativa, stanotte ho dormito pochissimo (meno del solito). Sicché nulla di strano che nel pomeriggio, dopo l'attenta lettura della Relatio Synodi, mi sia appisolato sul divano; anzi, ho anche sognato. Ma, vuoi per un effetto tardivo del cibo iperspeziato, vuoi per la posizione non proprio adatta ad un vero recupero del sonno perduto, ho avuto un incubo: ho sognato che cosa potrebbe aspettarci di qui alla sessione ordinaria del Sinodo, prevista per l' autunno del prossimo anno. Provo a raccontarvi l'incubo angoscioso: ero davanti alla TV e mi sono comparse davanti le quote di una nuova agenzia di betting ( Vatigaming, si chiama) dove si raccolgono scommesse sui risultati del "braccio di ferro" (c’è sempre un giornalista negli incubi veri!) fra cardinali progressisti, cardinali conservatori e il Papa. “Certo, durante l'anno – chiariva la scollacciata conduttrice – ci saranno molti sondaggi per verificare come si muovono maggioranze e minoranze emerse su ogni paragrafo della Relatio Synodi (per esempio, non si conosce ancora la decisiva opinione di S.E. Scalfari, cardinale anche lui ma non praticante); intanto, le quote d'apertura, per orientare i primi scommettitori, sono le seguenti: i conservatori vengono dati a 2,60, i progressisti a 3,10, ma si prevede ( quota 1,80 ) che il Papa segnerà un gol! Sulla base di queste quote (iniziali, badate bene!) Piepoli, il mago delle nostre proiezioni, prevede oggi (ma vedremo meglio di settimana in settimana) che il paragrafo sui divorziati alla fine, quando l'arbitro fischierà il fine gara, verrà di nuovo ripristinato nella versione Forte, grazie ad un decisivo assist del Papa; molta incertezza per ora sulla tenuta del paragrafo sugli omosessuali, che ( sempre per ora) viene dato in quasi parità, con un leggero vantaggio per la versione Forte, grazie anche alla chiara posizione del sindaco Marino, che il Papa pare tenga in gran conto. E voi, concludeva la miss, intanto cominciate a scommettere! Lo potete fare, anche allo stadio, dal vostro cellulare: basta aprire un account con VATIGAMING!”
Poi mi sono svegliato, tutto sudato; e, per moderare l’agitazione, mi sono detto: "Va bene, ma perché ti agiti? In fondo questa è la democrazia, bellezza! Non sarai mica contro la trasparenza?". Però mi è venuta una gran voglia di recitare un Rosario!
Roma 19 ottobre 2014


In mezzo al rumore

Manovre
(di Felice Celato)
Difficile sfuggire, anche per uno che sempre più ama astrarsi dal rumore, alla voglia/necessità di maturare una propria opinione, in mezzo alle tante, sulla cosiddetta “manovra” economica messa insieme dal Governo Italiano in questi giorni e tuttora in attesa del famoso vaglio europeo.
Provo così a mettere in ordine le mie idee al riguardo, senza pretesa – ovviamente – di “verità” ma solo come esercizio mentale di costruzione di una view (da verificare nel tempo, come sempre).
Bene: comincio col dire che a me la “manovra Renzi” (chiamiamola così, come farebbe un giornalista; magari questo direbbe la manovra di Matteo, ma non intendo accedere alla moda mediatica e allora mi fermo….al cognome, come si faceva una volta fra persone educate), sembra ad un tempo coraggiosa, suggestiva e banale; e forse, nel suo complesso, paradossalmente, anche inutile, dato che – come sanno i lettori di questo blog – sono convinto che il problema italiano non stia solo negli stimoli economici da somministrare all’economia ma nel suo grado di….resilienza rispetto al cambiamento.
Dunque: coraggiosa perché mette in campo cifre inattese, con interventi anche forti (l’eliminazione del costo del personale dalla base imponibile dell’Irap e la decontribuzione per i nuovi assunti, per esempio), e perché sfiora anzi forza i limiti di compatibilità europea senza (ancora) una salda prospettiva di accettabilità; coraggiosa perché ignora i rischi di giudizi negativi dei mercati che potrebbero vanificare, in un batter d’occhio, i risultati della manovra stessa (100 basis points di maggior costo del denaro per l’Italia valgono, da soli, una ventina di miliardi sull’intero stock del debito); e, infine, coraggiosa perché dà per scontate la risposta positiva dell’economia e la collaborazione fiscale delle regioni e dei comuni (cose, entrambe, da verificare sul campo: i famosi 80 € sono rimasti senza efficacia macro-economica e le regioni chiamano già la rivoluzione!).
Poi: suggestiva perché lascia pensare alla disponibilità di margini di riserva per oltre 3 miliardi di €; perché lascia trasparire una abile attenzione al consenso, non voglio dire elettoralistica, ma sicuramente….”piaciona” (si pensi al finanziamento delle assunzioni nella scuola, all’attenzione alle c.d. partite Iva, e, soprattutto, alla riduzione dell’incidenza dell’Irap).
Ma, infine, anche banale, essenzialmente per due motivi: primo, perché non affronta se non per numeri globali (come avrebbe fatto un....Tremonti qualsiasi) il problema della spending review che, secondo me – come sanno i lettori di questo blog – si affronta solo con quello che chiamo il restringimento delle Stato, cioè la revisione verticale e non orizzontale della spesa: dobbiamo, purtroppo, porci il problema di ciò che lo Stato non può più assicurare piuttosto che (solo) limare i soldi che utilizziamo, in mille rivoli e forme diverse, per coprire tutte le aree di intervento dello Stato, nelle sue varie articolazioni territoriali; secondo, perché accantona (o almeno ignora)  tutti i progetti di riduzione del perimetro dello Stato legati ai progetti di privatizzazione ( e liberalizzazione) di cui pure si era tanto parlato solo qualche mese fa.
Ma, come dicevo, su un piano più generale, ciò che mi rende in un certo modo scettico sugli esiti effettivi (e di lungo periodo) della manovra, al di là dei rischi connessi al suo grado di coraggio di cui dicevamo sopra, è la convinzione che l’Italia abbia bisogno di un’iniezione massiccia di novità culturale (come del resto lo stesso Renzi mostra di comprendere pienamente), basata sulla percezione del suo vero posizionamento economico e strutturale nel mondo globale, iper-concorrenziale, caratterizzato dall’accesso al benessere di masse ancora affamate di crescita, ancora disposte allo sforzo lungo, sempre più preparate dal punto di vista culturale; non, quindi, di anche azzeccate suppostine ricostituenti, destinate a fronteggiare i sintomi piuttosto che la malattia. Malattia che è Italiana, ma anche, lato sensu,  europea  e forse occidentale.
Siamo, con ogni probabilità, finanziariamente e culturalmente deboli nel bel mezzo di un cambiamento epocale del quale fatichiamo a comprendere le dimensioni e la portata e le conseguenze per noi; ma del quale già soffriamo, senza comprenderle, tutte le implicazioni. E non mi pare che nella manovra ci sia una benché minima percezione di ciò. Si dirà: non ti pare di pretendere troppo dalla manovra economica di un giovane governo politico di un vecchio paese che ormai ben conosce ed ama il benessere (ancorché basato sul debito)? Forse sì. Ma mi pareva però di aver capito che volevamo cambiare il verso al Paese…..

Roma, 19 settembre 2014.

venerdì 17 ottobre 2014

Stagioni e letture

San Paolo, Don Ferrante e Bernard Rieux
(di Felice Celato)
Non so se è la stagione (dell’anno o della vita?) ma i tempi mi creano una ansiosa sensazione di futilità, di totale instabilità e forse di insostenibile leggerezza, direbbe Kundera.
Tutto si muove a scatti inani, tutto sussulta (e fa sussultare), tutti i mondi che considero ogni giorno sembrano scossi come da ripetute crisi epilettiche, con fasi convulsive, violente contrazioni muscolari e brevi interruzioni dello stato di coscienza, seguite da brevi stati catatonici.
Con queste sensazioni di assenza di punti saldi, guardo attonito a ciò da cui più dipende il nostro presente e il futuro dei nostri figli: alle diatribe politiche nazionali, magari, queste, da sempre distoniche; a quelle (ora anche) europee, vaganti alla ricerca cieca di una nuova governance desiderata o temuta; agli equilibri internazionali, sempre più precari ed intrecciati e potenzialmente esplosivi; alle “misure” del governo economico del  paese, alcune sacrosante, altre oscure, tutte misteriose quanto alla loro sostenibilità; e persino alle vicende sinodali, da quelle mediatiche a quelle documentali, entrambe – mi pare – avviate su orizzonti tonanti ancora illuminati a sprazzi, come prima di una tempesta.
In questa straordinaria assenza di equilibri consolidati e di dinamiche chiare, in questa precaria sensazione che qualcosa debba pur veramente avvenire (non so bene di che natura), per recuperare una situazione meno inquieta mi rifugio volentieri nelle letture, prima di tutto in quelle che guardano più lontano, oltre la storia, a cominciare da San Paolo:
Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Ora la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza. (Rm, 8, 18-25)
Certo, poi penso, la storia ha riservato agli uomini tempi infinitamente più duri dei presenti e non meno confusi (forse, però, raramente  così futili).
Così ho ripreso in mano due libri, per paradosso molto distanti fra loro, per la mano, la cultura e l’animo di chi li ha scritti, eppure, casualmente, legati, per un tratto, dal medesimo evento che ha sconvolto, in tempi tanto lontani fra loro, le vite dei personaggi di quelle storie: la peste a Milano (ne I promessi sposi) e ad Orano (ne La peste, di Camus). In entrambi il male era oscuro, pervasivo, insidioso e nascosto, le vite falciate tante, il dolore riversato sugli uomini immenso; e poi due personaggi emblematici per tanti versi opposti: da un lato, Don Ferrante, che – come molti ottimisti dei dì nostri – pensava che la peste non esistesse in rerum natura perché non è sostanza né accidente (e, scrive Manzoni, “his fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe del Metastasio, prendendosela con le stelle”); e, dall’altro, il Bernard Rieux di Camus che, mestamente realista, “sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe il giorno in cui, per sventura e insegnamento degli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice”.
Ma i tempi passano, ognuno con la sua peste perché la creazione è stata sottoposta alla vanità. Il fatto è che i nostri tempi ci sembrano sempre i decisivi e gli ultimi (e magari lo sono).

Roma, venerdì 17 ottobre 2014