Il demone del mezzogiorno
(di Felice Celato)
Sia
stato l’effetto del ritorno all’ora solare, o quello di una cena amicale un po’
pesante, o quello di un week-end addensato
di nocive retoriche vociate su piazze vocianti (e non solo lì); fatto sta che
oggi mi pareva di essere preda del demone del mezzogiorno, dell’accidia, cioè
di quella tentazione che – come insegnavano i vecchi maestri – ci pervade
quando ogni ardore è spento, l’irrequietezza interiore ci provoca un disgusto
negligente, la stanchezza ci pesa in modo esagerato e l’entusiasmo ci pare un
sentimento negativo.
Dante
fa dire agli accidiosi (Inf. VII, 121 e sg) “tristi fummo/nell’aere dolce che del sol s’allegra/portando dentro
accidioso fummo” e li pone accanto agli iracondi, forse pensando – mi pare
con San Tommaso – all’accidia come un defectus
irae. San Paolo (2 Cor. 7,10) la chiama “la tristezza secondo il mondo” e addirittura dice che “produce la morte”.
Con
questi sentimenti…gioiosi, per fortunata coincidenza ho letto (su Avvenire.it) il discorso di Papa
Francesco all’inaugurazione di un busto dedicato dalla Pontificia Accademia
delle Scienze a Benedetto XVI : “un
grande Papa…per la forza e penetrazione della sua intelligenza, grande per il
suo amore nei confronti della Chiesa e degli esseri umani, grande per la sua
virtù e la sua religiosità….Certo di lui non si potrà mai dire che lo studio e
la scienza abbiano inaridito la sua persona e il suo amore nei confronti di Dio
e del prossimo, ma al contrario che la scienza , la saggezza e la preghiera
hanno dilatato il suo cuore e il suo spirito”.
Questo
discorso mi ha aperto la mente ad una considerazione consolante, direi
entusiasmante, almeno per noi fedeli, appassionati della Chiesa e orgogliosi di
appartenere (senza merito) a questa civitas
che, in mezzo a tante difficoltà e cadute, pure nel tempo si rinnova come forse
nessuna civitas terrena riesce a fare,
alternando i carismi dei suoi capi, secondo leggi misteriose soffiate nelle
teste canute dei cardinali che li eleggono.
Ma
fatalmente – il demone del mezzogiorno non mi ha ancora del tutto abbandonato,
non ostante l’iniezione di entusiasmo clericale! – per converso mi è corso il
pensiero alla città terrena che, invece ed in fondo, tanto spesso esprime leaders secondo logiche di continuità emotiva, pur – talora – nella
apparente diversità partitica, perché nessun vento soffia a spazzare la nebbia
delle nostre menti. E quando, più o meno felicemente, accade, le “esigenze
democratiche” provvedono a riallineare i cambiamenti nei fatti, magari
lasciandoli tali nelle apparenze. “Se
vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” diceva il
principe di Salina…a piazza san Giovanni, mi pare.
Forse
la nostra città terrena è anch’essa gattopardescamente accidiosa?
Roma
27 ottobre 2014
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