Manovre
(di
Felice Celato)
Difficile
sfuggire, anche per uno che sempre più ama astrarsi dal rumore, alla
voglia/necessità di maturare una propria opinione, in mezzo alle tante, sulla
cosiddetta “manovra” economica messa insieme dal Governo Italiano in questi
giorni e tuttora in attesa del famoso vaglio europeo.
Provo
così a mettere in ordine le mie idee al riguardo, senza pretesa – ovviamente –
di “verità” ma solo come esercizio mentale di costruzione di una view (da verificare nel tempo, come
sempre).
Bene:
comincio col dire che a me la “manovra Renzi” (chiamiamola così, come farebbe
un giornalista; magari questo direbbe la manovra di Matteo, ma non intendo
accedere alla moda mediatica e allora mi fermo….al cognome, come si faceva una
volta fra persone educate), sembra ad un tempo coraggiosa, suggestiva e banale;
e forse, nel suo complesso, paradossalmente, anche inutile, dato che – come sanno i lettori di
questo blog – sono convinto che il problema italiano non stia solo negli
stimoli economici da somministrare all’economia ma nel suo grado di….resilienza rispetto al cambiamento.
Dunque:
coraggiosa perché mette in campo cifre inattese, con interventi anche forti
(l’eliminazione del costo del personale dalla base imponibile dell’Irap e la
decontribuzione per i nuovi assunti, per esempio), e perché sfiora anzi forza i
limiti di compatibilità europea senza (ancora) una salda prospettiva di
accettabilità; coraggiosa perché ignora i rischi di giudizi negativi dei
mercati che potrebbero vanificare, in un batter d’occhio, i risultati della
manovra stessa (100 basis points di
maggior costo del denaro per l’Italia valgono, da soli, una ventina di miliardi
sull’intero stock del debito); e,
infine, coraggiosa perché dà per scontate la risposta positiva dell’economia e
la collaborazione fiscale delle regioni e dei comuni (cose, entrambe, da verificare
sul campo: i famosi 80 € sono rimasti senza efficacia macro-economica e le
regioni chiamano già la rivoluzione!).
Poi:
suggestiva perché lascia pensare alla disponibilità di margini di riserva per
oltre 3 miliardi di €; perché lascia trasparire una abile attenzione al
consenso, non voglio dire elettoralistica, ma sicuramente….”piaciona” (si pensi
al finanziamento delle assunzioni nella scuola, all’attenzione alle c.d.
partite Iva, e, soprattutto, alla riduzione dell’incidenza dell’Irap).
Ma,
infine, anche banale, essenzialmente per due motivi: primo, perché non affronta
se non per numeri globali (come avrebbe fatto un....Tremonti qualsiasi) il
problema della spending review che,
secondo me – come sanno i lettori di questo blog – si affronta solo con quello
che chiamo il restringimento delle Stato, cioè la revisione verticale e non
orizzontale della spesa: dobbiamo, purtroppo, porci il problema di ciò che lo Stato non può
più assicurare piuttosto che (solo) limare i soldi che utilizziamo, in mille
rivoli e forme diverse, per coprire tutte le aree di intervento dello Stato,
nelle sue varie articolazioni territoriali; secondo, perché accantona (o almeno ignora) tutti i
progetti di riduzione del perimetro dello Stato legati ai progetti di
privatizzazione ( e liberalizzazione) di cui pure si era tanto parlato solo
qualche mese fa.
Ma,
come dicevo, su un piano più generale, ciò che mi rende in un certo modo scettico sugli esiti effettivi (e di lungo
periodo) della manovra, al di là dei rischi connessi al suo grado di coraggio
di cui dicevamo sopra, è la convinzione che l’Italia abbia bisogno di
un’iniezione massiccia di novità culturale (come del resto lo stesso Renzi
mostra di comprendere pienamente), basata sulla percezione del suo vero
posizionamento economico e strutturale nel mondo globale, iper-concorrenziale, caratterizzato
dall’accesso al benessere di masse ancora affamate di crescita, ancora disposte
allo sforzo lungo, sempre più preparate dal punto di vista culturale; non, quindi, di anche azzeccate suppostine ricostituenti, destinate a fronteggiare i
sintomi piuttosto che la malattia. Malattia che è Italiana, ma anche, lato sensu, europea
e forse occidentale.
Siamo, con ogni probabilità, finanziariamente e culturalmente deboli nel bel mezzo di un cambiamento epocale del quale
fatichiamo a comprendere le dimensioni e la portata e le conseguenze per noi;
ma del quale già soffriamo, senza comprenderle, tutte le implicazioni. E non mi
pare che nella manovra ci sia una benché minima percezione di ciò. Si dirà: non
ti pare di pretendere troppo dalla manovra economica di un giovane governo politico di un vecchio paese
che ormai ben conosce ed ama il benessere (ancorché basato sul debito)? Forse sì. Ma mi pareva però di aver
capito che volevamo cambiare il verso al Paese…..
Roma,
19 settembre 2014.
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