lunedì 27 novembre 2017

Il soffio e la vita


Un giovane amico 
(di Felice Celato)
Se ne è andato, in fretta, Enrico, dopo l’ultimo caffè, dopo una birra e una pizza al sole della terrazza del golf.
Gli è venuto meno il soffio della vita che pure apparteneva di diritto ai suoi 43 anni, per quanto sofferti.
Gli amici, la chitarra, le inquiete canzoni, l'amore dalle donne, non sono bastati per legarlo ai giorni, quando quel soffio si è fatto più flebile.
La canzone che cantava parlava di un viaggio verso “la terra che aspettiamo “ che “sarà come una mamma che rimbocca i nostri sogni”.
Non gli sfuggiva, però, la sofferenza del viaggio; la conosceva, del resto, la sofferenza, non ostanti i suoi giovani anni, ma gli pareva una garanzia: “arriveremo prima se soffriamo” diceva Enrico nella sua canzone.
Già solo a metà del viaggio, la sua terra continuava a sognarla bella, sì, ma – ora gli pareva – solo “ bella da lontano”; all’approdo, poi, “non era quella che sembrava, ha sbagliato capitano, mi sa dire – ora – dove siamo?”.
E dunque s’è frettolosamente allontanato dalla terra dove era arrivato con sofferenza inutile, come portato da un capitano che forse ha sbagliato la rotta.
E, in silenzio, s’è rimesso in viaggio, di nuovo, per un’altra terra.
Che ti sia dolce, Enrico, quest’altra terra dove già sei arrivato, dolce come una mamma che rimbocchi i tuoi sogni di quiete! Ti faccia compagnia la tua chitarra mentre canti, stavolta, nella terra bella da vicino. Bella per sempre.

Roma 27 novembre 2017

sabato 25 novembre 2017

Letture d'autunno

Meno male che domani è Cristo Re
(di Felice Celato)
Non so se è il mese di novembre, per me mese di memorie, di nostalgie e di rimpianti; o se è il sintomo (speriamo di no) di un’ incipiente depressione di meno transitoria portata (in questo caso prometto di sospendere queste note….magari contagiose); o se è il puro decorso del tempo esistenziale (volgarmente detto vecchiaia); ma il semplice sfoglio dei giornali Italiani mi suscita ogni mattina un’ondata di scoramento e di disgusto che mi resta nell’animo fino a tarda sera e che, talvolta, aggiunge persino sconforto alle già non facili nottate. Fateci caso, prendete un giornale e seguitene attentamente anche solo l’impaginazione che – come diceva un mio storico capo che di media e società ne capiva come pochi – dà il senso all’intero giornale; per esempio il Corriere della sera di ieri: le prime 8-10 pagine sono di cronaca a vario titolo nera o dipinta di nero; e di correlati, sdegnati clamori.  L’Italia già di prima mattina ti balza di fronte con l’aspetto del vecchio malvissuto di Manzoniana memoria (cap XIII de I promessi sposi, quello del tumulto del pane) che, spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa, agitava in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse.
Seguono, poi, 7-8 pagine di parlare del parlare (copyright De Rita), la quotidiana dose di pretenziose banalità, nelle quali la nostra incapacità di generare aspettative (copyright ancora De Rita) sfoga la sua impotenza in reciproci rancori.
Il resto della giornata, per la verità, aggiunge all’esordio mattutino pochi conforti se non fosse per qualche lettura che talora riesce a portarti lontano dalla insostenibile noia del presente, magari verso più spirabil aere….ai campi eterni, al premio che i desideri avanza; insomma – per me – nel cuore della speranza cristiana, alla quale mi guida l’ennesima ri-lettura dell’Introduzione al Cristianesimo di Joseph Ratzinger, un testo che fa respirare (e per questo ne rileggo poche pagine al giorno, come fossero la riserva di ossigeno che talora si somministra a chi ha difficoltà respiratorie).
Vabbè! Per non indugiare nella mondana cupezza, cambiamo discorso, magari restando nel campo delle letture.
Fatalmente, però, non è confortante, almeno dal mio punto di vista, nemmeno il bel libro di Luca Ricolfi Sinistra e popolo - Il conflitto politico nell’era dei populismi, Longanesi, 2017, che ho appena finito di leggere. Ma vale la pena di parlarne brevemente (ne raccomando vivamente la lettura, specie a chi si pone le stesse mie domande su che cosa possa aspettarci dall’anno che viene) perché il libro incrocia due temi – la globalizzazione e il populismo (o, come sarebbe meglio dire, i populismi) – che in questi ultimi tempi hanno costituito l’argomento di diverse nostre conversazioni asincrone.
In estrema sintesi (il libro è molto vasto, non ostanti le “sole” 250 pagine, e il tentarne una sintesi, per di più estrema, non può che risultare altamente riduttivo e forse anche goffo) Ricolfi ritiene che la sinistra abbia perduto l’occasione di intercettare la domanda di protezione che i ceti più deboli (ai quali si era storicamente votata) hanno sviluppato, negli ultimi trent’anni e nei paesi occidentali, di fronte ai rischi dei nuovi assetti del mondo (liberalizzazione dei movimenti di capitali, servizi e merci; imponenti dinamiche migratorie); e che i populismi che si sono diffusi, in diverso grado e forme politiche, nei paesi occidentali siano il frutto – quanto si vuole acerbo – di questa non soddisfatta domanda di protezione (economica e sociale).
Il successo di questo avvicendamento (fra sinistra e populismo) nel ruolo di interprete delle paure e dei bisogni dei (nuovi) più deboli nel processo di globalizzazione, dipenderà largamente (prevede Ricolfi) dalla crescita economica e dal contenimento dei flussi migratori: nei paesi economicamente più dinamici e più organizzati nella gestione dei flussi migratori  è ragionevole pensare che la rivolta dei popoli si fermi al di qua della soglia di governo. In quelli ad economia stagnante e immigrazione incontrollata  è possibile che le forze populiste si impadroniscano del governo, da sole o con alleanze più o meno inedite.
Per strade meno argomentate questa è anche la mia convinzione; data la natura delle alternative ho – sorprendentemente – cessato di angosciarmene.
Roma 25 settembre 2017
















martedì 21 novembre 2017

Eh! Ma....

Testa o croce
(di Felice Celato)
L’Italia piagnucola ancora. Dopo le lacrime di Buffon, quelle di Tavecchio e quelle di qualche bambino inquadrato dalle TV a Milano  nell’occasione dell’ingloriosa uscita dell’Italia dai Campionati Mondiali di calcio della prossima estate, eccoci ad un nuovo piagnisteo nazionale. Stavolta, però, non sappiamo con chi prendercela: non ci sarebbero Ventura da decapitare a furor di popolo, perché è stato - pare - il destino cinico e baro a portarci via l’assegnazione dell’EMA in fuga da Londra in esito alla Brexit: abbiamo perso con Amsterdam, per estrazione, come del resto Parigi ha vinto per estrazione l’assegnazione dell’EBA (per la quale era in lizza con Dublino).
Ovviamente, però, c’è subito pronto chi al piagnisteo aggiunge lo sdegno antieuropeo che, da noi, condisce quasi ogni cosa, a riprova del fatto che, dell’Europa, da noi si ha un’idea perfettamente ....antieuropea. E naturalmente non mancherà chi, dietro alla sorte sfavorevole, intravveda qualche complotto che si è servito della monetina (o di qualche suo equivalente) per strappare a Milano quanto tutti volevano a Milano.
Così, invece, scrive, più semplicemente, il NYT di oggi: Amsterdam's success in winning the battle to host the European Medicines Agency (EMA), which is relocating from London because of Brexit, was welcomed by drug manufacturers on Monday hoping for the least disruption due to staff losses at the regulator.
Amsterdam was the most popular of 19 potential new homes for the drugs watchdog in a recent survey of staff, with 81 percent of them saying they would be willing to move to the Dutch city.
Una versione della storia apparentemente diversa da quella che ci auto-propiniamo.
Poi, per carità, Milano era un candidato più che decoroso, sicuramente quanto di meglio l’Italia può mettere in campo in termini di efficienza strutturale e infrastrutturale, forse l’unica fra le grandi città Italiane a potersi dire veramente Europea. Ma - pare - il consenso lo ha raccolto, prima della fatale estrazione, da Bulgaria, Romania, Grecia, Slovenia, Malta, Cipro, Croazia, e, poi, forse, da Portogallo, Repubblica Ceca, Estonia, Svezia, Irlanda e, probabilmente, da Francia; niente Germania, niente Spagna, pare. Come che sia, Milano non ce l’ha fatta, non ostante - dice il sottosegretario Gozzi - la discesa in campo di Gentiloni e di pezzi da novanta, di sicuro prestigio europeo, come lo stesso Gozzi, Alfano, la Lorenzin e Enzo Amendola. E certamente dispiace.
Intendiamoci, se si fossero potuti soppesare i meriti Europiestici dell’Italia nel suo complesso, non sarebbe andata diversamente; per rendersene conto basterebbe farsi, come s’usa oggi, un selfie e lasciar da parte - perché non utili per capire - le famose lenti di Dippold (il pietoso ottico di Spoon River da noi spontaneamente imitato: Che cosa vedete adesso? .....Luce, soltanto luce che trasforma il mondo in un giocattolo. Benissimo, faremo gli occhiali così.): l’Italia è un paese del quale l’Europa (che pure non manca di problemi) ha tutte le ragioni per temere l’instabilità politica (chi vuole rendersi conto del perché legga qualche discorso pre-pre-elettorale di autorevoli candidati alla guida del prossimo governo, o anche, senza pregiudizi, le frasi - forse inappropriate ma sacrosante - di Katainen sui politici Italiani e la verità); ma ancora di più l’instabilità finanziaria e la genuina fedeltà agli impegni che prende in sede Europea (chi vuole rendersi conto del perché rilegga in sequenza ormai decennale le nostre dichiarazioni sul debito pubblico e sulla nostra ferma volontà di ridurlo). Ma, fortunatamente, non c’era da soppesare i meriti del Paese e, sfortunatamente, oltre un certo punto, non è bastato nemmeno soppesare solo i meriti della città: alla fine hanno vinto la sorte sfavorevole e, forse, qualche debolezza nella tessitura dei consensi che avrebbero potuto evitare la famosa monetina.
Non sarà la “perdita” dell’EMA ad affondare le sorti del nostro paese; come certo non sarebbe stata l’EMA a salvarci dal declino che ogni giorno gestiamo con ordinata ed autonoma diligenza.

Roma 21 novembre 2017 (antivigilia del Thanksgiving day)

mercoledì 15 novembre 2017

Disavventure del C.U.R.

Quer pasticciaccio de'piazza di Spagna
(di Felice Celato)
Il vostro Camminatore Urbano Rimuginante oggi è incorso in un increscioso incidente. Ve lo racconto perché mi aiutiate a modificare le mie opinioni sullo stato del nostro paese. Ma, soprattutto, per prevenire eventuali vostri comportamenti devianti di elevata pericolosità sociale.
Dunque, non ostante la minaccia di pioggia, spinto dalle mie esigenze di passeggiatore monitorato dal contapassi, avevo un appuntamento con un amico in piazza di Spagna per fare due chiacchiere in santa pace attorno ad una (veramente) frugale colazione.
Colà giunto, sopravveniva – mentre aspettavo l’amico – una pioggia di media intensità che, a Roma, dà luogo, da tempo, all’immediato, provvidenziale apparire di numerosi venditori di ombrelli, tutti di origine bengalese, intesi a provvedere ai malcapitati l’apposito strumento per ripararsi dalla pioggia (io li chiamo, collettivamente, gli “ombrellanti” e riconosco nel loro uno dei pochi servizi veramente funzionati a Roma: bastano due gocce ed escono da ogni dove con le braccia piene di ombrelli, evitandoti una romanissima fracicata). Sulla piazza ne avrò contati quattro o cinque, di questi ombrellanti, dopo appena cinque minuti di pioggia. Dopo breve contrattazione, concludevo per l’acquisto di un ombrello a 10 € (credetemi: non senza annettere alla transazione un blando intento solidaristico, tenuto conto della presumibile condizione del ”venditore”). Ma, curiosamente, il venditore si allontanava frettolosamente prima di incassare la somma pattuita; sicché – da persona corretta – lo richiamavo e lui tornava indietro, incassava e, sempre frettolosamente,  si allontanava.
Sopraggiunge, immediatamente (forse mi stavano osservando), una vettura dei Vigili Urbani con a bordo due vigili (di sesso femminile) che mi rimproverano (direi con sostanziale cortesia) dell’acquisto da ambulante non autorizzato. Alle mie rimostranze (Ma se non è autorizzato come mai sulla piazza ce ne sono quattro o cinque e voi non li allontanate?), mi viene rivolto l’invito a formulare questo tipo di lamentele  alla Guardia di Finanza e non ai Vigli Urbani (perché, poi, non l’ho capito) e vengo invitato ad esibire lo scontrino fiscale che – indovinate? – non avevo. Dunque vengo richiesto di esibire il documento e mi viene preannunciato un verbale per “incauto acquisto”; chiedo di visualizzare il verbale per aggiungere mie considerazioni e mi viene detto che, essendo le due vigili prive dell’apposito modulario, l’avrei ricevuto a casa.
Bene (più o meno): fin qui l’accaduto. Ho cercato la configurazione del reato di incauto acquisto (art 712 c.p.) e mi sono convinto che l’acquisto da un ambulante, anche di un ombrello sotto la pioggia (in stato di necessità?), può effettivamente configurare il reato de quo quando si ometta di verificare (e io ho omesso!) la legittima provenienza della merce (il famoso ombrello, peraltro di foggia ormai diffusissima perché venduto dagli ombrellanti ad ogni angolo di strada e probabilmente fabbricato per loro in quella tipica foggia); ah! devo dire, il reato commesso è stato posto in essere, ovviamente senza il necessario contorno di artifici volti a nascondere l’acquisto, in pieno centro di Roma, in mezzo a turisti e passanti che facevano, qua e là, la stessa identica cosa con altri venditori ambulanti, i quali, anzi, ostentavano la loro merce (sempre ombrelli e ombrellini)  senza alcun ritegno per la numerosa presenza (sulla centralissima piazza di Spagna) di numerose auto della Polizia e dei Vigli Urbani (mancava però, mi pare, la Guardia di Finanza!).
Che dire? Da cittadino non posso che compiacermi per l’attiva opera di fermo contrasto alla delinquenza messa in atto dalle mie due “vigilesse” e pentirmi del mio operato penalmente rilevante.  Ma mi domando: perché se io dovevo presumere che l’ombrello potesse esser rubato, le due vigilesse, sulla base di analoga presunzione, non hanno chiesto a tutti i numerosi ombrellanti di esibire la prova della provenienza della merce ostentatamente messa in vendita? E perché non viene fatto analogo controllo sui numerosi venditori ambulanti che si incontrano lungo la strada, dappertutto a Roma? Perché bisogna, di tanto in tanto, imprevedibilmente, sanzionare i cittadini per non aver esercitato una funzione di controllo, vicaria di quella che “le forze dell’ordine”, per ragioni loro (anche sagge, spesso, secondo me), non esercitano con la costanza e determinazione del caso? Si dirà: bisogna andare alla radice del male, colpire gli utilizzatori finali di ombrelli, indurli a prendersi la pioggia comunque; così smettono di alimentare il turpe traffico! E, vedrete, Roma rifiorirà!
Roma 15 novembre 2017

sabato 11 novembre 2017

Piccoli dibattiti / 3

Bilaterali borbottii
(di Felice Celato)
Una delle fortune della vita – e fra quelle che più si apprezzano con l’avanzare degli anni, quando l’amicizia diventa indulgente compagnia lungo il declivio e  selezionato succedaneo del mondo – è quella di avere degli amici disposti a quel continuo scambio di idee (vivace, scherzoso o polemico o come lo si sia  scelto) che serve a mantenere in vita l’interazione  fra la capacità recettiva (residuo di attitudini naturalmente giovanili) e il senso critico (proprio della maturità), trattenendo così, ….in limine mortis, le parti buone dei corsi cammini dell’esperienza: l’ascolto reciproco e la critica.
Io posso dire di godere largamente di questa fortuna, rispetto alla quale rivendico un solo merito: gli amici si scelgono.
Bene. In questa cara accolta di continui discussori, ha fatto capolino la velata (?) accusa all’autore di queste righe: in fondo – mi si dice – dai tuoi continui borbottii trasuda  una sorta di vezzo Prezzoliniano che sconfina in una sorta di anti-italianismo di maniera; insomma – mi si dice – non ti va mai bene niente di quel che si riferisce al nostro paese!
Ancorché questo affettuoso rilievo nasca da diatribe su temi non comparsi (…ancora) su questo blog, mi pare che, comunque, bene si attagli anche a quelli che già vi sono comparsi: e dunque, qui, cercherò di “difendermi”.
C’è del vero e c’è del non vero, nel rilievo: la parte vera è che, effettivamente, non mi va bene nulla (o quasi nulla) di ciò che corre in Italia. La parte non vera: non ce l’ho preconcettamente né con l’Italia (paese nel quale sono nato e che per tanti aspetti ancora mi piace) né con gli Italiani (dei quali faccio parte iure sanguinis, loci et culturae) per quanto  mi paiano assai peggiorati nel tempo. Il fatto è che ce l’ho (e anche molto) con le parole – o, se volete, con le retoriche – di cui si sono fatti prigionieri, più per inerzia mentale che per carenza di intelligenza: del resto, non ostanti le nostre convinzioni al riguardo, lo spirito critico non è mai stata la nostra forza, come abbiamo imparato anche nelle nostre vicende fasciste; c’è semmai una ciclica tendenza alla malevolenza qualunquista, che è altro, però, dallo spirito critico. Invece, secondo me, da noi non manca l’intelligenza, ancorché non ne siamo – ovviamente – superdotati, come invece presumiamo. Fateci caso, gli Italiani – in questo massacrati dal livello dei loro media soprattutto televisivi (ma non solo) – brandeggiano oramai solo stereotipati simulacri di opinione e di giudizio, apparenti concentrati di vox populi in realtà divenuta polifonema privo di senso, memorizzato acriticamente per riecheggio. E fin qui, in sé, non ci sarebbe nulla di male: un po’ chiacchieroni lo siamo stati sempre, noi Italiani; ora ci va di farlo facendo risuonare banalità e slogan spesso nemmeno compresi: pazienza!
Sennonché ci sono due fatti da tenere presenti: (1) con questa dotazione di argomentazioni non ci peritiamo di affrontare a gran voce temi di complessità tecnica notevole e spesso anche estremamente delicati, tipici del mondo attuale (pensate, tanto per fare un esempio di questi giorni, al problema delle crisi bancarie e delle correlate vigilanze, dove la pubblicità del dibattito sconfina nella banalizzazione di temi ardui e nella fabbricazione di tempeste polemiche dalle conseguenze imprevedibili). Del resto, su questa semplificazione di  temi complessi si reggono gran parte dei populismi con cui ci incartiamo politicamente. [N.B.: quando dico populismi intendo riferirmi a quelli spesso messi in campo da TUTTE le fazioni politiche, anche quelle che dicono di voler fare da argine al populismo]. (2) La sequenza di Calimani (così chiamo per semplicità l’ormai qui più volte citata dinamica ben descritta da Riccardo Calimani, cfr. Ecologia della convivenza, post del 10 2 2012: le parole generano opinioni e le opinioni danno forma ai sentimenti. I sentimenti diventano fatti), la sequenza di Calimani, dicevo, vale anche hic et nunc. Del resto di questo tema ci siamo già occupati qui qualche mese fa (Letture, del 19 5 2017), recensendo un bel libro di Giuseppe Antonelli, Volgare eloquenza [che di nuovo consiglio di leggere], dal quale ri-attingo questa sintetica citazione di Orwell: se il pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero.
Ecco, amico mio, critico accorato del mio (sofferto) argomentare, con chi veramente ce l’ho, altro che vezzo Prezzoliniano! Quando sono in questione il linguaggio, le opinioni e i sentimenti di un popolo, i fatti che ne possono conseguire restano da temere. Poi, per carità, esistono i miracoli, come pure esistono tanti Italiani meravigliosi.
Roma, 11 novembre 2017

P.S.: come avranno notato i lettori più attenti, ci stiamo forse ripetendo, negli argomenti…ma anche nelle critiche.