Bilaterali borbottii
(di Felice Celato)
Una delle fortune della vita – e fra quelle che più si
apprezzano con l’avanzare degli anni, quando l’amicizia diventa indulgente compagnia
lungo il declivio e selezionato
succedaneo del mondo – è quella di avere degli amici disposti a quel continuo
scambio di idee (vivace, scherzoso o polemico o come lo si sia scelto) che serve a mantenere in vita
l’interazione fra la capacità recettiva
(residuo di attitudini naturalmente giovanili) e il senso critico (proprio
della maturità), trattenendo così, ….in
limine mortis, le parti buone dei corsi cammini dell’esperienza: l’ascolto reciproco e la critica.
Io posso dire di godere largamente di questa fortuna,
rispetto alla quale rivendico un solo merito: gli amici si scelgono.
Bene. In questa cara accolta di continui discussori, ha fatto
capolino la velata (?) accusa all’autore di queste righe: in fondo – mi si dice
– dai tuoi continui borbottii trasuda una
sorta di vezzo Prezzoliniano che sconfina in una sorta di anti-italianismo di
maniera; insomma – mi si dice – non ti va mai bene niente di quel che si
riferisce al nostro paese!
Ancorché questo affettuoso rilievo nasca da diatribe su temi
non comparsi (…ancora) su questo blog,
mi pare che, comunque, bene si attagli anche a quelli che già vi sono comparsi:
e dunque, qui, cercherò di “difendermi”.
C’è del vero e c’è del non vero, nel rilievo: la parte vera è
che, effettivamente, non mi va bene nulla (o quasi nulla) di ciò che corre in
Italia. La parte non vera: non ce l’ho preconcettamente né con l’Italia (paese
nel quale sono nato e che per tanti aspetti ancora mi piace) né con gli
Italiani (dei quali faccio parte iure
sanguinis, loci et culturae) per quanto mi paiano assai peggiorati nel tempo. Il fatto
è che ce l’ho (e anche molto) con le parole – o, se volete, con le retoriche – di
cui si sono fatti prigionieri, più per inerzia mentale che per carenza di
intelligenza: del resto, non ostanti le nostre convinzioni al riguardo, lo
spirito critico non è mai stata la nostra forza, come abbiamo imparato anche
nelle nostre vicende fasciste; c’è semmai una ciclica tendenza alla malevolenza
qualunquista, che è altro, però, dallo spirito critico. Invece, secondo me, da
noi non manca l’intelligenza, ancorché non ne siamo – ovviamente – superdotati,
come invece presumiamo. Fateci caso, gli Italiani – in questo massacrati dal
livello dei loro media soprattutto
televisivi (ma non solo) – brandeggiano oramai solo stereotipati simulacri di
opinione e di giudizio, apparenti concentrati di vox populi in realtà divenuta polifonema privo di senso, memorizzato
acriticamente per riecheggio. E fin qui, in sé, non ci sarebbe nulla di male:
un po’ chiacchieroni lo siamo stati sempre, noi Italiani; ora ci va di farlo
facendo risuonare banalità e slogan
spesso nemmeno compresi: pazienza!
Sennonché ci sono due fatti da tenere presenti: (1) con questa
dotazione di argomentazioni non ci
peritiamo di affrontare a gran voce temi di complessità tecnica notevole e
spesso anche estremamente delicati, tipici del mondo attuale (pensate, tanto
per fare un esempio di questi giorni, al problema delle crisi bancarie e delle
correlate vigilanze, dove la pubblicità del dibattito sconfina nella banalizzazione
di temi ardui e nella fabbricazione di tempeste polemiche dalle conseguenze imprevedibili).
Del resto, su questa semplificazione di
temi complessi si reggono gran parte dei populismi con cui ci incartiamo
politicamente. [N.B.: quando dico populismi intendo riferirmi a quelli spesso messi
in campo da TUTTE le fazioni politiche, anche quelle che dicono di voler fare
da argine al populismo]. (2) La sequenza di Calimani (così chiamo per
semplicità l’ormai qui più volte citata dinamica ben descritta da Riccardo
Calimani, cfr. Ecologia della convivenza,
post del 10 2 2012: le
parole generano opinioni e le opinioni danno forma ai sentimenti. I sentimenti
diventano fatti), la sequenza di
Calimani, dicevo, vale anche hic et nunc.
Del resto di questo tema ci siamo già occupati qui qualche mese fa (Letture, del 19 5 2017), recensendo un
bel libro di Giuseppe Antonelli, Volgare eloquenza [che di nuovo consiglio di leggere], dal
quale ri-attingo questa sintetica citazione di Orwell: se il
pensiero corrompe il linguaggio, anche il linguaggio può corrompere il pensiero.
Ecco,
amico mio, critico accorato del mio (sofferto) argomentare, con chi veramente
ce l’ho, altro che vezzo Prezzoliniano! Quando sono in questione il linguaggio,
le opinioni e i sentimenti di un popolo, i fatti che ne possono conseguire restano
da temere. Poi, per carità, esistono i miracoli, come pure esistono tanti
Italiani meravigliosi.
Roma,
11 novembre 2017
P.S.:
come avranno notato i lettori più attenti, ci stiamo forse ripetendo, negli
argomenti…ma anche nelle critiche.
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