Letture e borbottii
(di Felice Celato)
Sarà la dolce tristezza di
queste giornate di memorie e rimpianti; sarà l’insoppressa deformazione
professionale; sarà l’angosciato orecchio prestato a qualche idiozia
elettoralistica; o sarà la tarda rilettura del testo di una lezione che avevo
udito qualche tempo fa (da sempre sono stato un lettore più attento
dell’uditore). Sarà per uno qualsiasi di questi motivi ma, fatalmente, il mio
pensiero è tornato sulla dismal science
(la scienza triste, come Thomas Carlyle
definiva l’economia più o meno due secoli fa); e, in questo ambito, forse al più
triste degli argomenti della scienza triste: il debito pubblico.
Qualche mese fa (nel marzo
scorso) avevo ascoltato Richard Wagner (che non è, qui, l’autore del Parsifal e della Valchiria – come il titolo di questo post faceva forse sperare – ma un eminente economista Americano)
parlare sul tema Il debito pubblico e la
corruzione delle promesse – Perché occorre estirpare il cancro Keynesiano;
ora l’Istituto Bruno Leoni ha
pubblicato il testo della conversazione e i numerosi spunti che allora avevo
colto con minore efficacia mi sono di nuovo balzati agli occhi nella lettura.
Forse però, come accennavo, a questa nuova evidenza non è estraneo il “rifiorire”,
in questa fase pre-acuta della nostra eterna campagna elettorale, di insensati slogan all’insegna del grattapancismo più irresponsabile cui
oramai siamo purtroppo avvezzi.
Come che sia, Wagner (l’economista!)
prende di petto il nodo essenziale della diffusa insensibilità al tema debito pubblico (non solo nostrana, per
la verità, ancorché da noi il problema sia assai più grave che altrove)
partendo dal principio che Adam Smith definiva, due secoli e mezzo fa, con la sua proverbiale chiarezza: Ciò che è prudenza nella condotta di una
famiglia privata può difficilmente essere follia in quella di un grande regno.
Ora la nostra situazione –
giova rifletterci ogni tanto – è in sintesi estrema questa (chi vuole dettagli
vada sul sito del MEF Bilancio Aperto,
una buona realizzazione ancora migliorabile ma certamente utile): lo Stato
Italiano a fine 2017 (escludendo ogni movimento di capitale per prestiti da
rimborsare e prestiti da accendere) avrà avuto introiti annui per 575 e spese
per 630 miliardi di € (di cui una settantina abbondante solo per interessi sul
debito pubblico). E – sia ben chiaro – questo, nelle sue proporzioni, non è un
fenomeno di quest’anno ma dura da molti anni.
Torniamo ad Adam Smith:
sarebbe prudente una condotta familiare di tal fatta (con spese che eccedono
annualmente e costantemente di quasi il 10% gli introiti)? Sia pure solo per
gli interessi?
La ragione storica di ciò,
dice Wagner (che parla in generale, senza riferirsi specificamente all’Italia)
sta nel fatto che ogniqualvolta si
percepisce un rallentamento dell’attività economica [e da noi l’esperienza
al riguardo non manca!], l’immancabile
rimedio consiste nell’incrementare la spesa sostenuta dallo stato,
nell’assunto che qualsiasi perdita di
reddito può essere risarcita incrementando la spesa pubblica.
Bene; non è il caso di
addentrarsi qui nelle complesse implicazioni dell’identità fra reddito
nazionale, da un lato, e consumi + investimenti + spesa pubblica, dall’altro, (nota
agli specialisti così: Y= C+I+G). Mi preme assai più domandarci: in una
situazione del genere, che dura pure da molti anni, quanti politici avete
ascoltato o prevedete di ascoltare che vi dicano che il nostro problema è il
debito pubblico e che ogni azione di governo (che non voglia ulteriormente trasferire
su altri il redde rationem) deve confrontarsi
con questo problema? Sono anni ormai che sentiamo solo calorosi inni alla
libertà di (ulteriormente) indebitarsi; recentemente ho sentito un illustre
candidato alle prossime politiche promettere le AM-Lire o (di nuovo!) l’eliminazione della tassa sulla prima casa
(cioè una nuova riduzione delle entrate per lo Stato); altri che pensano di far
slittare l’adeguamento dell’età pensionabile alla durata delle aspettative di
vita; altri ancora che promettono ulteriori bonus
(nuova pudica denominazione di elargizioni statali); etc. etc. etc.; perché in
fondo, dice Wagner, i cattivi bilanci
sono considerati sinonimo di una buona politica. Anzi, aggiunge dopo aver
rilevato le differenze fra le logiche contrattuali che legano il debitore al
creditore e quelle politiche che legano l’eletto all’elettore, viste attraverso le lenti contrattuali, le
passività senza coperture [in pratica: il debito che cresce costantemente anziché
diminuire] riflettono una menzogna
sistematica, indicando che il processo politico democratico, così come funziona
attualmente, ritiene che la menzogna sia una ragionevole strategia di
sopravvivenza politica.
Concludendo: consiglio a
tutti di celebrare il 4 Novembre ascoltando la Cavalcata delle Valchirie (di Richard Wagner, il musicista,
stavolta); l’imponente crescendo musicale ci farà senz’altro lievitare, per un
po’, sopra il (non meno travolgente) crescendo debitorio.
Roma 3 novembre 2017
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