venerdì 3 novembre 2017

Richard Wagner

Letture e borbottii
(di Felice Celato)
Sarà la dolce tristezza di queste giornate di memorie e rimpianti; sarà l’insoppressa deformazione professionale; sarà l’angosciato orecchio prestato a qualche idiozia elettoralistica; o sarà la tarda rilettura del testo di una lezione che avevo udito qualche tempo fa (da sempre sono stato un lettore più attento dell’uditore). Sarà per uno qualsiasi di questi motivi ma, fatalmente, il mio pensiero è tornato sulla dismal science (la scienza triste, come Thomas Carlyle definiva l’economia più o meno due secoli fa); e, in questo ambito, forse al più triste degli argomenti della scienza triste: il debito pubblico.
Qualche mese fa (nel marzo scorso) avevo ascoltato Richard Wagner (che non è, qui, l’autore del Parsifal e della Valchiria – come il titolo di questo post faceva forse sperare – ma un eminente economista Americano) parlare sul tema Il debito pubblico e la corruzione delle promesse – Perché occorre estirpare il cancro Keynesiano; ora l’Istituto Bruno Leoni ha pubblicato il testo della conversazione e i numerosi spunti che allora avevo colto con minore efficacia mi sono di nuovo balzati agli occhi nella lettura. Forse però, come accennavo, a questa nuova evidenza non è estraneo il “rifiorire”, in questa fase pre-acuta della nostra eterna campagna elettorale, di insensati slogan all’insegna del grattapancismo più irresponsabile cui oramai siamo purtroppo avvezzi.
Come che sia, Wagner (l’economista!) prende di petto il nodo essenziale della diffusa insensibilità al tema debito pubblico (non solo nostrana, per la verità, ancorché da noi il problema sia assai più grave che altrove) partendo dal principio che Adam Smith definiva, due secoli e mezzo fa,  con la sua proverbiale chiarezza: Ciò che è prudenza nella condotta di una famiglia privata può difficilmente essere follia in quella di un grande regno.
Ora la nostra situazione – giova rifletterci ogni tanto – è in sintesi estrema questa (chi vuole dettagli vada sul sito del MEF Bilancio Aperto, una buona realizzazione ancora migliorabile ma certamente utile): lo Stato Italiano a fine 2017 (escludendo ogni movimento di capitale per prestiti da rimborsare e prestiti da accendere) avrà avuto introiti annui per 575 e spese per 630 miliardi di € (di cui una settantina abbondante solo per interessi sul debito pubblico). E – sia ben chiaro – questo, nelle sue proporzioni, non è un fenomeno di quest’anno ma dura da molti anni.
Torniamo ad Adam Smith: sarebbe prudente una condotta familiare di tal fatta (con spese che eccedono annualmente e costantemente di quasi il 10% gli introiti)? Sia pure solo per gli interessi?
La ragione storica di ciò, dice Wagner (che parla in generale, senza riferirsi specificamente all’Italia) sta nel fatto che ogniqualvolta si percepisce un rallentamento dell’attività economica [e da noi l’esperienza al riguardo non manca!], l’immancabile rimedio consiste nell’incrementare la spesa sostenuta dallo stato, nell’assunto che qualsiasi perdita di reddito può essere risarcita incrementando la spesa pubblica.
Bene; non è il caso di addentrarsi qui nelle complesse implicazioni dell’identità fra reddito nazionale, da un lato, e consumi + investimenti + spesa pubblica, dall’altro, (nota agli specialisti così: Y= C+I+G). Mi preme assai più domandarci: in una situazione del genere, che dura pure da molti anni, quanti politici avete ascoltato o prevedete di ascoltare che vi dicano che il nostro problema è il debito pubblico e che ogni azione di governo (che non voglia ulteriormente trasferire su altri il redde rationem) deve confrontarsi con questo problema? Sono anni ormai che sentiamo solo calorosi inni alla libertà di (ulteriormente) indebitarsi; recentemente ho sentito un illustre candidato alle prossime politiche promettere le AM-Lire o (di nuovo!) l’eliminazione della tassa sulla prima casa (cioè una nuova riduzione delle entrate per lo Stato); altri che pensano di far slittare l’adeguamento dell’età pensionabile alla durata delle aspettative di vita; altri ancora che promettono ulteriori bonus (nuova pudica denominazione di elargizioni statali); etc. etc. etc.; perché in fondo, dice Wagner, i cattivi bilanci sono considerati sinonimo di una buona politica. Anzi, aggiunge dopo aver rilevato le differenze fra le logiche contrattuali che legano il debitore al creditore e quelle politiche che legano l’eletto all’elettore, viste attraverso le lenti contrattuali, le passività senza coperture [in pratica: il debito che cresce costantemente anziché diminuire] riflettono una menzogna sistematica, indicando che il processo politico democratico, così come funziona attualmente, ritiene che la menzogna sia una ragionevole strategia di sopravvivenza politica.
Concludendo: consiglio a tutti di celebrare il 4 Novembre ascoltando la Cavalcata delle Valchirie (di Richard Wagner, il musicista, stavolta); l’imponente crescendo musicale ci farà senz’altro lievitare, per un po’, sopra il (non meno travolgente) crescendo debitorio.
Roma 3 novembre 2017

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