domenica 25 ottobre 2020

Cronache dai lazzaretti

 Numeri

(di Felice Celato)

Mentre di nuovo il morbo infuria, l’Italia – in mezzo al solito pandemonio di voci, controvoci, dissidenze e discordie – sembra ripiombata nella depressione (quella sanitaria intendo, non essendosi mai, nemmeno transitoriamente, attenuata quella economica); e in effetti i numeri assoluti (dei casi accertati e dei morti) giustificano certamente l’umore tetro e timoroso che ci pervade.

Eppure, ancorché per natura non indulga ad irresponsabili irenismi (e men che meno a stolidi narcisismi), vorrei sottoporre ai miei lettori una chiave di lettura di tali numeri relativamente meno sconfortante di quella che (a ragione) ci deprime.

Per non cadere nel vizio nazionale dell’onfalocentrismo (una personale invenzione onomaturgica per dire del vizio nazionale di ritenere il proprio ombelico – omphalos, in greco antico – il centro dell’universo), da diverso tempo annoto quasi ogni giorno i dati della pandemia nel mondo (fonte W.H.O.) ed, in particolare, nei 10 paesi in mezzo ai quali dovremmo ragionevolmente trovare elementi di fondato paragone: dunque, oltre a noi, gli Stati Uniti, il Giappone, la Francia, la Germania, la Spagna, il Regno Unito, il Belgio, l’Olanda e la Svezia. E per misurare (senza essere né un virologo né uno statistico) l’intensità pandemica, ho cercato di calcolare il numero dei casi e dei morti per milione di abitanti; e di stilare una classifica considerando le performances dei vari paesi.

Bene: in quest’ultimo mese (cioè a partire dal 22 settembre fino a ieri, 24 ottobre) l’Italia è rimasta l’ottavo paese (fra i 10 considerati) per casi accertati di Covid ogni milione di abitanti (a ieri 8358/milione), facendo peggio, quindi, di Germania (5035) e di Giappone ( 758), ma meglio di tutti gli altri ( Usa 25.352, Belgio 25.077, Spagna 22.287, Olanda 15.519, Francia 15.085, UK 12.468 e Svezia 10.843).

Anche per numero di morti per milione di abitanti l’Italia – coi suoi 616,5 morti per ciascuno dei 60,4 milioni di abitanti –  è rimasta  ferma alla sua posizione del 22 settembre (sesta, sempre fra i 10 considerati), facendo dunque meglio di Belgio (930), di Spagna (740,3), di Usa (675,1) e di UK (668,7), e peggio di Svezia (581,7), Francia (510,9),  Olanda (404,3), Germania (120,5) e Giappone (13,5).   

Il differente posizionamento nell’indice dei casi rispetto a quello dei morti è correlato al tasso di letalità (7,38%), diminuito sensibilmente rispetto al 22 settembre (11,88%) ma largamente (e ingiustificatamente) il più alto in Europa (e non solo).

Solo per riferimento e senza voler trarne conclusione alcuna (anche perché il dato che fornisco subito è riferito all’anno solare, mentre quelli che precedono si rapportano al tratto temporale della pandemia), faccio notare che, secondo i dati consuntivi più recenti (fonte: Fondazione Aiom, Associazione Italiana Oncologia Medica), nel 2017 i morti per cancro, in Italia, sono stati 2983 per ciascuno dei 60,4 milioni abitanti. 

Dunque, si vera sunt exposita, non c’è ragione per lamentare alcuna speciale gravità del caso Italia nella intensità dei contagi. In altri termini: il Covid, nel suo intero ciclo finora decorso, ci ha colpito duramente ma meno di quanto non abbia fatto con Francia, Spagna, UK, Belgio, Olanda e Svezia (lasciando da parte USA, Brasile, India, etc); l’unica “anomalia” nostrana, semmai, è quella lombarda dove i casi per milione di abitanti sono stati quasi il doppio della media nazionale e i morti – sempre per milione di abitanti - quasi il triplo. A livello nazionale, semmai, come sopra detto, c’è qualche inquietante differenza nel numero relativo dei morti. [N.B. Se escludessimo però dai dati considerati (morti e milioni di abitanti) quelli relativi al “caso” Lombardia, il nostro posizionamento sarebbe in linea con quello dei contagi].

Dove invece, come al solito, siamo stati “speciali” è nella confusione istituzionale e procedimentale e – naturalmente – nel livello fonico delle polemiche. Per carità, nei paesi democratici (con livello di mediatizzazione della politica che si è raggiunto) è abbastanza normale che nei momenti difficili si accentuino le tensioni della politica parlata (basta dare un’occhiata – per esempio – ai giornali francesi); ma da noi si è aggiunto una sorta di scollamento istituzionale che non può che destare preoccupazioni per il difficile futuro che ci aspetta.

 

Roma  25 ottobre 2020 (ritorna l’ora solare, pare temporaneamente abbandonata per l’ultima volta con l’estate scorsa; dal prossimo anno, magari, l'ora legale sarà applicata “salvo intese” e – può essere – anche regionalizzata)

 

 

 

mercoledì 21 ottobre 2020

Vecchie parole

 La storia di Onan

(di Felice Celato)

Narra il libro della Genesi (38, 6-10) che Giuda scelse per il suo primogenito Er una moglie, che si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso agli occhi del Signore, e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: "Va’ con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello". Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello. Ciò che egli faceva era male agli occhi del Signore, il quale fece morire anche lui.

Col tempo, come sappiamo (cfr. Vocabolario on-line Treccani, voce onanismo), il peccato di Onan ha assunto diverse configurazioni: in un certo qual senso se ne occupò pure la controversa e sofferta Enciclica Humanae vitae dell’amato Papa della mia gioventù (Paolo VI), trattando delle cosiddette pratiche anticoncezionali; nel linguaggio medico, poi, il termine onanismo passò ad indicare genericamente la masturbazione; ed infine il termine approdò all’uso figurato e letterario di compiacimento narcisistico di se stesso, della propria attività, anche se improduttiva, priva cioè di risultati pratici; e l'attività stessa, soprattutto di natura letteraria, in quanto sia priva di finalità pratiche, e quindi sterile.

Chi ha seguito, qui, le mie depresse opinioni sul nostro presente, non dovrebbe sorprendersi se l’onanismo mi è tornato in mente a proposito della politica, più precisamente di quella italiana del nostro tempo, nel senso figurato e letterario di cui si diceva poco fa; né che – data la caratura culturale del nostro Premier Umanista – sia stata proprio una sua dotta scelta lessicale ad evocarmi il vecchio Onan: la parola scelta per rendersi più comprensibile all’amato “popolo”, stavolta, è: stigma.

Dunque, appassionato come sono delle parole (anche non nuove)  ho fatto ricorso, ancora una volta, all’amato Treccani, per una breve esplorazione lessicale ; ve la faccio breve: Stigma (o stimma). Sostantivo maschile [dal latino stigma (-atis), “marchio, macchia, punto”, greco στγμα -ατος, derivato di στζω ”pungere, marcare”] 1. In botanica: a) La parte apicale variamente conformata del pistillo…. b) Organello pigmentato fotosensibile presente nei cromatofori o nel citoplasma, a volte anche nei gameti, di varie alghe…. 2In zoologia: a) Ciascuna delle aperture mediante le quali il sistema respiratorio tracheale degli insetti e di alcuni artropodi terrestri comunica con l'esterno; b) Ciascuna delle aperture branchiali della faringe dei tunicati; c) Nome di alcune macchie colorate delle ali di farfalle…; d) Organulo fotorecettore ausiliario dei cloroplasti…. 3. In anatomia, la parte assottigliata e priva di vasi della parete del follicolo…. 4. a) Nell'uso letterario, con significato vicino a quello etimologico, marchio, impronta, carattere distintivo: “quella misteriosa inclinazione…ch’è il vero stigma della nobiltà femminile” (Fogazzaro); “l'antica cultura popolare, tuttora radicata specie fra i contadini, segnava di uno stigma religioso certi mali indecifrabili” (Morante)... b) In psicologia sociale, attribuzione di qualità negative a una persona o un gruppo di persone, soprattutto rivolta alla loro condizione sociale e reputazione: un individuo, un gruppo colpito da stigma psicofisici, razziali etnici, religiosi.  

Dunque, escludendo (arbitrariamente?) che il Premier Umanista volesse far uso di termini presi a prestito dalla botanica, dalla zoologia o dall’anatomia (riferiti, chessò, ai pistilli o ai tunicati o al follicolo), devo concludere che intendesse usare la parola stigma in senso letterario, o, più precisamente, socio-psicologico: attribuzione di qualità negative a una persona o un gruppo di persone, soprattutto rivolta alla loro condizione sociale e reputazione.

Dunque, nella libera e pensosa oratoria del Nostro, lo stigma che ricadrebbe sul popolo Italiano per l’eventuale accesso al MES (questo era l’usurato contesto nel quale il Premier Umanista ha usato la parola) sarebbe legato a quell’1% (scarso)  del Debito Pubblico Italiano eventualmente generato dal MES; il restante 99% (inarrestabilmente cresciuto nel tempo e ulteriormente dilatato dalla recente ondata di bonus decisi – a debito – dal nostro Paese) non produrrebbe stigma alcuno; come non lo produrrebbe l’inarrestato e conclamato declino economico del paese, né la futilità della sua politica.

Che si tratti – come nella Genesi – di puro adempimento di un obbligo, lì della legge del levirato, qui della compiacenza politico-populista? 

Se sì, come insegna il Genesi, c’è da temere l’ira, se non divina, almeno degli uomini, quando torneranno (prima o poi, spontaneamente o “spintaneamente”) a ragionare con la loro testa? 

Roma  21 ottobre 2020 

 

 

 

 

 

domenica 18 ottobre 2020

Dopo una pausa

Violons de l’automne

(di Felice Celato)

Come ogni anno, anche quest’anno l’autunno mi ha reso triste (Les sanglots longs des violons de l’automne blessent mon cœur d’une langueur monotone, scriveva Paul Verlaine). Anzi, quest’anno – chissà perché – più degli altri anni l’ho avvertita, questa stretta di cuore che l’accorciarsi della luce mi porta ogni anno con sé. Dopo averci pensato a lungo, mi sono convinto che, ‘stavolta, ha pesato molto anche l’attesa del derby de la Madunina che, per la verità e fortunatamente, non mi ha poi deluso. Così per diversi giorni, rispetto ai ritmi di queste asincrone conversazioni fra amici, non ho preso la penna (pardon: non mi sono messo alla tastiera!) per coltivarle come sempre mi fa piacere; dunque, a derby disputato e vinto, eccomi di nuovo qua, fra gli amici di sempre.

Però, forse, in questo mese che è passato dall’ultimo post non c’erano nemmeno – o perlomeno non ho percepito – molti motivi per intrattenerci conversando (spero piacevolmente) fra noi: a parte la ripresa del Covid, s’intende, il mondo sembra essersi fermato; e anche da noi non è successo molto di diverso; sì, è vero, abbiamo rapidamente dovuto riporre il nostro infantile narcisismo (“l’ OMS ci ha lodato per come abbiamo affrontato la pandemia!”); e ci siamo ripiegati sui soliti temi (lockdown non-lockdown, MES non-MES, Conte non-Conte,  bonus o non-bonus, Speranza o disperazione, Calenda non-Calenda, etc, etc., compreso il tema – per me di decisiva rilevanza – su barbieri aperti o chiusi). Ma in fondo nihil sub sole novi.

Però, come ci informa Il sole 24ore di oggi, abbiamo nuove ragioni di “festeggiare”: siamo di nuovo primi in qualche classifica! E’ inutile, siamo i migliori e, per questo, come al solito “tutto il mondo ci invidia!”; basta solo che – come spesso siamo costretti a fare – leggiamo le classifiche alla rovescio: siamo i primi in Europa per crescita prevista del debito pubblico (rispetto al PIL): + 23,4% nel 2020! Qualche “amarezza” invece ci viene dalla classifica – sempre Europea – dello scostamento fra il PIL del 2019 e quello previsto per fine 2021: -3,5% (la Spagna ed il Portogallo prevedono di fare “meglio” di noi e dunque siamo terzi in pejus, cioè terzultimi in Europa leggendo la classifica nel senso giusto). Naturalmente quel “primato” è frutto anche di questo “terzultimato” (notoriamente a noi i denominatori non piacciono!) ma chissene frega, godiamoci almeno il “primato” che è tanto più significativo quanto più è alto il punto di partenza (debito/PIL a fine 2109 134,6%).

In fondo – leggo sul Corriere della sera di oggi – qualche motivo di orgoglio nazionale (oltre al parmigiano!) si può sempre trovare; basta amare molto il proprio paese, come, pare, faccia qull’eurodeputato nostrano che – riferisce molto divertito Aldo Grasso – in una TV locale lombarda ha vantato la supremazia “culturale” della nostra civiltà, resa evidente dalla presenza del bidet nei nostri bagni (un sanitario che tutto il mondo ci invidia, naturalmente!).

Bene: sono convinto che, dopo questo sarcastico ritorno, qualche lettore o lettrice benedirà la “pausa” che mi sono preso per un mesetto. Spero che presto il C.U.R. abbia almeno qualcosa di veramente divertente (o almeno di consolante) da raccontare; forse gli è tornata la voglia di camminare per la città.

Roma 18 ottobre 2020