venerdì 19 maggio 2023

Identità economica

Ancora un libro

(di Felice Celato)

I lettori di queste colonnine non avranno difficoltà a riconoscere che uno dei temi ricorrenti di esse (anche in tempi non sospettabili di… preoccupazioni politiche) è stato quello della cosiddetta identità italiana (o etnia italica, come forse si sarebbe tentati di dire oggi). E diverse e relativamente numerose sono state, qui, le citazioni di testi che, con diverse ottiche, hanno affrontato questo tema da un punto di vista più generale ed anche concettuale: da Amartya Sen (Identità e violenza), a Francis Fukuyama (Identità), a Ernesto Galli Della Loggia (L’identità italiana), a Giuseppe De Rita (antologicamente in Dappertutto e rasoterra), a Maurizio Bettini (Hai sbagliato foresta – Il furore dell’identità), fino a Massimo Montanari (Il mito delle origini). Proprio per questo mi ha colpito ritrovare, in un testo di tutt’altra materia (di Salvatore Rossi, Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia, Il Mulino, 2023), un concetto che allaccia l’esplorazione ragionata della foresta dei dati (il sostrato tecnico del libro) a quello di identità italiana, intesa – stavolta – come identità economica: l'identità di un popolo è un concetto relativo, sfuggente, multiforme. Tuttavia… buona parte di essa è formata dalle capacità economiche del popolo stesso, da ciò che sa fabbricare (in senso lato, anche servizi intangibili si fabbricano) a beneficio proprio e degli altri popoli a cui vende o dona ciò che sa fare. Certo, contano la lingua, le arti, la scienza, la cultura in generale. Ma è difficile che queste belle doti prosperino, dove albergano rudimentalità e miseria.

In questa prospettiva, Salvatore Rossi, come dicevo prima, disbosca la foresta dei dati, talora difficili da leggere per chi non abbia familiarità col tema, per trarre da essa le notizie che riguardano la nostra identità economica nel mondo.

Che siano prevalenti le cattive notizie è cosa ormai nota anche ai lettori non tecnici dei giornali: le particolarità negative dell’economia italiana nel confronto con altri paesi avanzati sono molte (la speciale difficoltà che l'Italia incontra da anni a far lavorare tutti i suoi cittadini; l’efficienza media della macchina produttiva non alta.. e comunque inferiore a quella di molti altri paesi avanzati; la scarsità relativa del risparmio interno; la fiducia parziale e venata di sospetto dei mercati finanziari nei confronti dello Stato italiano, quando emette titoli del debitola composizione delle nostre esportazioni, sia quelle di servizi sia quelle di merci; il rachitismo del sistema produttivo italiano). Ma non mancano le buone notizie che, nella foresta dei dati, è più difficile leggere ma che, ciononostante, rimangono pur sempre buone notizie, non decisive ma buone notizie: nel tempo l’Italia ha saputo vendere all’estero più di quanto ha comprato (dall’estero) e perciò è diventata (sia pure in misura modesta e declinante nel tempo) creditrice netta verso l’estero, nelle varie forme (titoli, azioni, partecipazioni, crediti commerciali, prestiti e così via); inoltre il valore aggiunto dal lavoro e dall'intelligenza umana alle materie di base e a tutti i componenti comprati dall'estero è molto superiore a quanto sarebbe coerente con la sua popolazione (in altri termini: l’Italia è il 25° paese per popolazione ma raggiunge il 10° posto nella speciale classifica basata su tale valore).

Come si può intuire dal profilo tecnico di queste notizie (specie di quelle buone e meno note) anche l’identità economica del nostro Paese è problematica, non meno di quella presuntamente etnica, frutto di felici ibridazioni della storia del nostro Paese (pare che anche Leonardo avesse una madre circassa, come dicevamo nel post Letture del 25 marzo scorso!). Solo che di queste ibridazioni storiche (dai tempi dell’impero Romano fino a tutt’oggi) non siamo più responsabili, ancorché tuttora ne beneficiamo se in esse riconosciamo il filo conduttore del nostro essere fieri di come siamo; di quelle insufficienze del nostro presente (anche se solo misurate dalla nostra identità economica), invece, siamo contemporanei responsabili.

Insomma: il volumetto di Salvatore Rossi è da leggere per la chiarezza e la vastità dell’argomentare e per l’originalità dell’approccio non meno che per la vena….narrativa dell’autore che conclude il suo lavoro anche con una gradevole favola diacronica.

Roma, 19 maggio 2023  

martedì 9 maggio 2023

Due segnalazioni

Libertà e capitalismo

(di Felice Celato)

Complice una certa spossatezza – se da cambio di stagione o proprio solo da stagione (della vita, intendo) non saprei dire – ho cercato un po' di sollievo da letture che supponevo confortanti. Ed infatti, in buona parte, l’ho trovato, un solitario conforto; perciò ben volentieri mi appresto a segnalarle, soprattutto a coloro che, ratione aetatis ratione temporum et morum, di conforti non ne trovano troppi nei moods del presente.

 

Il primo volumetto è Dante e la libertà, di Luciano Canfora (Solferino editore 2023), una specie di piccola antologia di testi dalla Divina Commedia ove il Sommo Poeta affronta, appunto, più o meno direttamente, il tema della libertà. 

Dico subito che – piuttosto ovviamente – l’antologista non eguaglia l’autore; ma vale la pena di seguirne il ragionamento per cogliere, nella prospettiva dantesca, l’architettura della concezione di Dante, in cui l’amato “strumento politico” dell’Impero (da Cesare a Carlo Magno fino ad Arrigo VII) coesiste con gli empiti di libertà politica di Catone l’Uticense e con l’anelito di libertà della conoscenza di Ulisse, fino alla soglia del libero arbitrio (libero, dritto e sano) alla quale  Virgilio “riconsegna” il Poeta al momento del congedo, alle soglie del Paradiso (XXVII Purgatorio).

Ovviamente pagine indimenticabili (quelle Dantesche), anche se – con molto imbarazzo – ho dovuto constatare che avevo invece dimenticato il bellissimo canto VI del Paradiso

dove l’imperatore Giustiniano tratteggia la storia dell’Impero partendo da Enea fino a Cesare e a Carlo Magno. Ed è stato un piacere riscoprirlo.

 

Veniamo ora al secondo volumetto di queste giornate, sicuramente più agevolmente leggibile e più palpitante di attualità (e quindi necessariamente… meno estraniante del primo ma anche più… stimolante). Si tratta del libro di Alberto Mingardi Capitalismo, edito da Il Mulino, 2023, nella bella collana Parole controtempo: poco più di cento cinquanta leggibilissime pagine, appassionate (che non vuol certo dire non ragionate!) ed appassionanti, di storia dell’idea e del fascino che esercita in coloro (dei quali io faccio parte) che non amano un mondo nel quale qualcun altro, per quanto animato dalle migliori intenzioni, pretenda di scegliere per noi.

Il capitalismo – scrive Mingardi –  forse è proprio questo: non una mano (come vogliono certi immaginifici retori dello stato che guida), ma un “setaccio invisibile” che consente che alcuni progetti sopravvivano e altri no, non in ragione di un'indicazione predeterminata, ma sulla base delle preferenze e del mutevole gradimento dei consumatori.

L’immagine dello “stato che guida” (l’economia, e quindi la crescita e quindi il benessere economico dei cittadini e anche le finanze dello stato) si presta anche ad una altra metafora che Mingardi usa, adombrando certi stilemi con cui la politica guidatrice dell’economia giustifica i suoi propri fallimenti; la riporto integralmente: si pensa di poter “guidare” l'economia come fosse un'automobile, ma si sceglie, per esempio, di non curarsi più di quanto carburante consuma (di quante risorse pubbliche assorbe), di non guardare la spia dell'olio (il sistema dei prezzi), di non cambiare le gomme se sono usurate (niente disciplina di mercato). Basta che l'autista abbia chiara la direzione, non serve altro. Solo che poi ci si ferma lungo la strada. Anche allora, però, l'autista non si chiede se ha finito il carburante, se è il motore ad avere bisogno di un controllo, se le gomme vanno cambiate. Semplicemente ribattezza la piazzola in cui ha dovuto fermarsi col nome del paese dove era diretto.

 

Ai lettori di queste colonnette non sono necessarie altre citazioni per comprendere perché queste svelte pagine di Mingardi (di cui raccomando la lettura) mi sono risultate estremamente gradevoli: alleviano la solitudine di chi si sente superato dai tempi (o almeno dai convincimenti dei più; ecco, forse, perché le considerazioni di Mingardi sono inserite nella collana Parole controtempo).

Roma, 9 maggio 2023 (festa dell’Europa)

 

lunedì 24 aprile 2023

Una lettura notturna

 Renuntio vobis

(di Felice Celato)

Segnalo brevemente un piccolo volume (meno di 100 pagine) di Sergio Claudio Perroni (Renuntio vobis, Bompiani 2015, disponibile anche in ebook) che mi ha lasciato perplesso, durante una sofferta lettura notturna. Ne dico subito il contenuto: si tratta di un misterioso e aspro dibattito fra un papa che ha rinunciato al proprio ministero ed un frate apparsogli dal profondo della sua coscienza; un dibattito pressoché interamente basato su incrociate citazioni Vetero e Neo-Testamentarie a supporto, da un lato, dell’angoscia del papa per la sua stessa decisione e, dall’altro, dei rimproveri del frate per l’abbandono del gregge che – per i credenti – al papa è affidato. La perplessità che mi ha suscitato la lettura (di per sé interessante e stimolante, ancorché forse inadatta ad una lettura notturna) sta tutta nel dubbio sulla vera intenzione dell’autore: se lo scopo della narrazione è quello di esporre una tesi interpretativa delle dimissioni di Benedetto XVI, certamente il libro soffre, a mio giudizio, di una fondamentale carenza: lo scarsissimo radicamento nei fondamenti razionali della scelta di un Papa che, durante tutta la sua vita di grande teologo, ha sottolineato la natura razionale del Dio-Logos e i suoi riflessi sulla sostanza creaturale della nostra umanità (1). Se, invece, lo scopo della narrazione sta nel riflettere il sofferto corso della scelta del papa, si potrebbe ben immaginare che il libro contenga una visione sufficientemente realistica (e forse anche ben approssimata) del dibattito interiore che deve avere preceduto l’annuncio dell’ 11 febbraio di dieci anni fa (2).

Mi rendo conto che un’opera letteraria (anche “ingegnosa” e particolare come questa della quale sto parlando) può sfuggire alla logica dello “scopo” della narrazione; e purtuttavia, per la natura di essa, per la sua prossimità temporale con lo straordinario evento delle dimissioni di  papa Benedetto, non posso sottrarmi alla perplessità che il volume mi ha suscitato. E tuttavia lo segnalo qui, brevemente, perché il libro è comunque un ben riuscito esercizio di ...vivificazione delle Scritture che, forse, merita l'attenzione dei potenziali lettori di queste note a loro destinate.

Roma 24 aprile 2023

(1)         Da ultimo, scegliendo fra i tanti suoi testi solo in base al “rumore” cagionato, basta ricordare la famosa e grossolanamente contestata citazione di una dissertazione bizantina di Manuele II Paleologo, contenuta nel Discorso di Ratisbona (12 9 2006): non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio.

(2)         Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam. (BXVI, 11 2 2013)

 

 

domenica 23 aprile 2023

Ri-segnalazione

In cerca di consolazioni

(di Felice Celato)

In questo periodo abbastanza buio per il mondo, ho dedicato più di qualche ora alle ri-letture (esercizio che raccomando spesso a tutti i lettori, come strumento di auto-monitoraggio critico ed emotivo), in cerca di qualche motivo di consolazione. E quindi, mentre mi è stato facile scegliere, ovviamente, J.R. (…noto anche come Benedetto XVI) sul fronte spirituale, e Murakami, Joseph Roth ed Eric Emmanuel Schmitt sul fronte dell’evasione letteraria intelligente, ho faticato un po' più a selezionare qualche lettura già fatta e allo stesso tempo consolante sul fronte della saggistica. E sono arrivato al mio “futurologo preferito”, Jeremy Rifkin, autore di diversi libri qui segnalati nel tempo; e ho scelto l’assai corposo saggio (circa 500 pagine!) su La società a costo marginale 0, che avevo letto (e qui segnalato) nel lontano 2014. La piacevole sorpresa, nel riprendere in mano il volume, è stata che – sempre nove anni fa – ne avevo fatto una abbastanza dettagliata sintesi (inserita fra le pagine del grosso tomo), capitolo per capitolo, che mi ha portato a rileggerne – sempre con grande gradimento – solo qualche parte… che mi pareva funzionale al fine consolatorio perseguito. 

Bene: il successo di questa ri-lettura per sintesi e flash, mi ha indotto a questa (forse poco simpatica) pratica dell’auto-citazione. Dunque ri-segnalo e di nuovo raccomando alla lettura di chi, come me, cerca qualche conforto dal presente, il libro di Jeremy Rifkin La società a costo marginale 0 (Mondadori, 2014); non starò a ripetermi: basta sfogliare, qui a lato, l’indice annuale dei miei poveri scritti ed aprire il post Letture dell’ottobre 2014 per trovare gli spunti consolatori di cui (eventualmente) si abbia bisogno e, soprattutto, per farsi venire la voglia (se non lo si è già fatto) di leggere queste dense ma accessibilissime ed esemplarmente chiare pagine. Vi si parla di un possibile mutamento di paradigma che può toccare e vivificare i meccanismi funzionali del nostro mondo economico, preconizzando l’evoluzione degli assetti capitalistici (che, pure, hanno, senza alcun dubbio, generato il progresso di cui beneficiamo), verso forme (i c.d. commons collaborativi) centrate sul capitale sociale del nostro vivere quotidiano e sull’emersione di una prospettiva (l’economia della condivisione) che non può non apparire (appunto) consolante. 

I dieci anni passati dalla scrittura del libro di Rifkin sono certamente un orizzonte troppo breve per trarre un giudizio sulle visioni di un futurologo (che si orientano verso la metà del XXI secolo); ma il testo mi pare ancora attuale e, anzi, per certi aspetti, corroborato da sintomi di fondatezza ai quali vale la pena di aggrappare le nostre terrene speranze, almeno per i nostri nipoti.

Roma, 23 aprile 2023

martedì 18 aprile 2023

Un esercizio lessicale

Rimbalzi posturali

(di Felice Celato)

In carenza di contenuti della nostra vita pubblica meritevoli di seria attenzione, fatalmente mi faccio distrarre dal linguaggio col quale si suole avvolgere il vuoto del pensiero. E se l’altro giorno mi sono lasciato andare ad un esercizio di calligrafia della comunicazione politica, oggi mi sono distratto con un esercizio di lessico della politica, segnatamente rivolto ad una recente “novità” che mi pare già di largo successo, sia fra i teorici “addetti ai lavori” (i politici), sia fra i loro referenti mediatici (cioè i giornalisti che, appunto, riferiscono e diffondono). La parola nuova, ormai trionfante, è postura, in realtà, ovviamente, tutt’altro che nuova. Basta scorrere il prezioso Vocabolario Treccani on line per rendersi conto della nobile discendenza del lemma:

 

Posturas. f. [lat. posĭtura, der. di posĭtus, part. pass. di ponĕre «porre»]. – 1. letter. Posizione di un edificio o di una località, luogo e modo dove sono posti, sito: la villa sorge in una splendida p.; ammirai la pbellissima del paesea piè dell’Appennino (Carducci). Anche la posizione e disposizione di più luoghi in rapporto con altri: Nerone ... pensò ... bruciar tutta Romaper poscia rifabbricarla con più ordinata simmetria e postura di case e di vie (Cesari); analogam., di persone: era debito interrogare minutamente della varia p. in cui si trovavano i testimoni nell’atto della rissa (Tommaseo). Con riferimento a truppe schierate, lo stesso che posizione2. a. Positura, modo di atteggiarsi del corpo umano o di una sua parte: la corretta pdelle mani sul pianoforteil pittore ha prestato particolare attenzione alla p. delle figuretutti si misero in terrain pvarie (Bontempelli); stava posata ... con le gambe e le braccia piegate in pstrana e innaturale (Moravia). b. Nel linguaggio medico, sinon. generico di posizione: assumere una corretta p.; la p. del busto, della colonna vertebrale; in fisiologia, l’atteggiamento abituale di un animale, determinato dalla contrazione di gruppi di muscoli scheletrici che si oppongono alla gravità. 3. ant. a. Accordo segreto, soprattutto a danno d’altri; congiura: i baroni si turbarofecero posture e leghe (Novellino). b. Accordo tra artigiani e mercanti per manovrare i prezzi a proprio favore.

E così troviamo la postura di un partito (sia di destra che di sinistra), o quella del Paese (meglio: della nazione) e persino quella dell’Europa, per dire quello che prima di oggi si sarebbe detto l’orientamento, il posizionamento (positioning) o la visione (vision) o la strategia di lungo corso (mission), etc.

Non ho nulla da obbiettare circa questa riesumazione linguistica che mi pare anche elegante; anzi, da golfista scarso qual sono proporrò al mio maestro di sostituire l’omologo termine  stance (che nel golf è quel complesso incastro di equilibri e di piegature che si assumono col corpo per colpire la pallina e che – solo – è in grado di assicurare che la maledetta vada ad una distanza accettabile ma, soprattutto, dritta; cfr. sopra, significato 2b) col nuovo termine di postura, sicuramente più rispettoso della nostra cultura (che tutto il mondo ci invidia, naturalmente).

 

Però, come al solito, una volta entrato nel vocabolario mi è difficile uscirne; e da postura, sempre sul Treccani, mi è stato facile rimbalzare, anzitutto su una parola che sembrerebbe il “negativo” di postura

Impostura s. f. [dal lat. tardo impostura; v.impostore]. – L’abitudine della menzogna, dell’inganno per trarne vantaggio; in senso più concr., inganno o serie d’inganni, raggiro, finzione da impostore o falsa dottrina da esso diffusa: Numa con arte Di santa i. [corresse] La buccia un po’ dura Del popol di Marte (Giusti); acquistare credito con l’i.; l’ifu presto scopertala sua vita è stata tutta un’impostura.


E, ahimè!, da impostura a impostore il rimbalzo è ancora più breve:

Impostore s. m. (f. -a) [dal lat. tardo impostor -oris, der. di imponĕre nel senso di «far credere»]. – Chi, abusando della credulità altrui e allo scopo di trarne vantaggio, fa uso sistematico della menzogna, o finge di essere e di sapere più di quanto sia e sappia, o diffonde teorie, informazioni false: non è uno scienziato, ma solo un i.la comunità scientifica lo ha sempre considerato un i.; l’ipocrita ha meno parolel’impostore è loquacecerca le moltitudini da ingannare (Tommaseo).


Concludendo: siamo sicuri che valga la pena di abbandonare le vecchie parole – nella loro versione italiana, s’intende, per carità! – che si usavano prima, per adottare questa rischiosa postura?

Roma 18 aprile 2023 

giovedì 13 aprile 2023

Un esercizio calligrafico

 Antologia politica

(di Felice Celato)

E’ difficile fare i conti con la natura della nostra (intesa come nostrana) comunicazione politica; ma vale la pena di tentare un esercizio: che cosa direi se fossi chiamato a parlare (in pubblico, s’intende) della nostra situazione? Proviamo a fare un esercizio antologico e calligrafico, attingendo indistintamente dalle “fonti”:

Cari concittadini,

nel rivolgermi a voi, in questo periodo tanto difficile della nostra contemporaneità, sento il dovere di parlarvi col linguaggio della chiarezza e della verità. Sì, della verità, della verità che tante volte la politica nasconde sotto un cumulo di parole dalle quali fatica ad emergere il disegno preciso delle cose da fare! Con l’umiltà di chi crede appunto che la politica consista nel “fare”, dopo tanti anni di troppe parole, provo a delineare il progetto preciso di ciò che noi intendiamo proporre al vostro consenso.

Che Italia vogliamo? L’idea del nostro paese (o, se preferite, della nostra nazione) è quella di una comunità conscia dei propri valori e vogliosa di vederli perseguire, finalmente, con concretezza e coraggio. Una comunità che sappia avere il suo riferimento nella sua storia, nella centralità del cittadino e dei suoi bisogni; ed abbia la sua bussola nel nostro collocamento occidentale ed europeo. Saldi in questa visione, che trova nel lavoro il suo fondamento costituzionale, noi perseguiremo con fermezza l’obbiettivo di un benessere diffuso e giusto, fondato sull’impegno di tutti e di ciascuno ad operare per il bene comune, nella salvaguardia dei meriti e delle capacità di ciascuno, nella tutela dei diritti delle minoranze, nel rispetto delle diversità e delle opportunità che tale diversità pone a diposizione dello sviluppo e del progresso. Qui non posso sottrarmi ad un doveroso richiamo alle condizioni del lavoro, che devono garantire prima di tutto la sicurezza dei lavoratori ed assicurare a ciascuna famiglia tutto quanto necessario per il suo sviluppo e per la crescita, culturale e civile, delle nuove generazioni, nel pieno rispetto dei valori meritocratici e della tutela dei più deboli. Una attenzione non marginale va poi riservata - proprio per queste precise esigenze di futuro – allo strumento principe della crescita di un paese nel moderno contesto competitivo internazionale: la scuola! La scuola che noi vogliamo aperta a tutti, moderna, attenta alle esigenze di un mondo sempre più digitale, ma nel contempo rispettosa del patrimonio di valori e di cultura di cui l’Italia, da sempre faro di civiltà, è depositaria e custode! 

Ma non può essere sottratta all’attenzione di ciascuno di noi l’assoluta necessità alla tutela dell’ambiente che ci circonda, che abbiamo il dovere di tutelare, anche (ma certamente non solo!) come mezzo per mantenere al nostro bellissimo paese (o, se preferite, alla nostra nazione) il suo indiscusso primato nel turismo internazionale, che tanto prestigio genera nei confronti dell’Italia. Anche da qui nasce la nostra massima attenzione nella salvaguardia e nello sviluppo del made in Italy, di cui in fondo anche il turismo è  parte e che costituisce l’incomparabile biglietto da visita nel nostro paese (e dei suoi territori che ne costituiscono l’anima).

Un capitolo particolare di questo nostro programma va dedicato agli stereotipi che da tempo ci siamo avvezzati a sopportare senza il necessario spirito critico. Il primo è l’ormai risibile preoccupazione per il cosiddetto nostro debito pubblico, un ritornello che ci proponiamo vicendevolmente ogni volta che qualcuno si azzarda a disegnare qualche intervento destinato a proteggere le fasce di popolazione più debole, i pensionati o, addirittura, coloro che necessitano di cure ed attenzioni. Dicevo risibile preoccupazione, perché la storia anche recente ci dimostra che ciò che è debito buono non è debito ma investimento per un futuro migliore, di tutti e di ciascuno. Il secondo stereotipo è la presunta incapacità del nostro Paese (o, se preferite, della nostra nazione) di spendere efficacemente e trasparentemente ciò che è necessario per la sua crescita e per la salvaguardia dei suoi valori: la vicenda della ricostruzione del cosiddetto Ponte Morandi è la riprova che, quando l’emergenza lo richiede, il nostro Paese (o, se preferite, la nostra nazione) sa agire con tempestività ed efficacia, dando il meglio di sé. E questo modello è quello che guiderà la nostra azione nel futuro. E la prima replica di questo modello la vedremo in atto nella realizzazione del famoso Ponte sullo Stretto di Messina, che, dai tempi più antichi, costituisce il sogno dei territori interessati e dell’intero Paese (o nazione se preferite).

Bene, concludo questa mio discorso programmatico con un appello a voi tutti e a ciascuno di noi: su queste basi, serie, concrete e sicuramente condivise, siatene certi costruiremo – col vostro voto – un’Italia migliore, che sappia giocare appieno, in Europa e nel mondo, il ruolo che le spetta! 

Dicevo all’inizio che questo esercizio attinge largamente alle fonti (migliori) della nostra comunicazione politica. Di quali precisamente non so (destra, sinistra, mezza destra, mezza sinistra, boh!); sono però quasi certo che questo cumulo di paludate banalità potrebbe piacere a molti.

Roma 13 aprile 2023

 

sabato 8 aprile 2023

Auguri per la Pasqua 2023

Buona resurrezione!

(di Felice Celato)

A Pasqua si è soliti farsi gli auguri, laici o fideles che si sia; e anche quest’anno non voglio mancare di farli ai miei ventiquattro lettori.

Per i fideles (di cui faccio indegnamente parte) c’è, ovviamente, un senso tutto particolare: la Resurrezione di N.S. Gesù Cristo è l’evento centrale della loro fede; e quindi il senso dell’Incarnazione e della Rivelazione tutta, che pure si compie con la Pentecoste. L’augurio di quest’anno è quello di farsi sempre trovare dal Risorto, ogni giorno, come gli apostoli (*), lungo le rive del nostro lago di Tiberiade, mentre si gettano le reti per guadagnarsi la giornata; pronti a lasciarsi scuotere dalle terribili domande che il Risorto rivolge tre volte a Pietro (“Simone di Giovanni, mi ami?”)  ma anche  a rimetterci alla Sua misericordia (“Signore, tu sai tutto e sai che ti voglio bene”).

Per i laici, invece, il senso di questa festa sta forse tutto nell’intimo bisogno, per noi tutti, di una resurrezione, anche solo umana: una rigenerazione dall’inverno delle nostre insufficienze, dalle quali, solo che si abbia un realistico senso di sé, siamo irrimediabilmente gravati.

In ogni caso, dunque, buona resurrezione a tutti!

Roma 8 aprile 2023

 

(*) Gv. 21, 1 e seg:  Quando si era ormai fatta mattina, Gesù si presentò sulla riva. Tuttavia, i discepoli non sapevano che fosse Gesù. Gesù allora disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e ne troverete”. Allora la gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la gran quantità di pesci. Il discepolo che Gesù amava, disse allora a Pietro:  “E’ il Signore!”