mercoledì 4 settembre 2024

RITROVIAMOCI

“Settembre, andiamo, è tempo di migrare!”

(di Felice Celato)

Lasciata vuota la “pagina” di agosto di questi spunti per conversazioni asincrone, eccomi qua, a settembre appena iniziato, con le molte gioie familiari nel bagaglio col quale abbiamo lasciato le “vacanze” (per la prima volta, l’intera famiglia, nelle sue articolazioni tri-generazionali, ha passato qualche settimana insieme nella stessa casa, con gioia ma anche con l’animo, le curiosità e le attese ovviamente concentrate sull’ultimo arrivato, nel suo secondo mese di vita) e con diverse letture, alcune delle quali per varie ragioni consolanti (che dirò sotto, brevissimamente, nella nota LETTURE SERIE, come mero stimolo alla condivisione); con qualche pensiero alla “ripresa” autunnale, densa di spaventose incognite.

Bene; veniamo alla “ripresa” autunnale, gravida, secondo me, di alcuni passaggi di decisiva importanza per il nostro futuro. Gli scenari geopolitici permangono quanto meno inquietanti; quelli europei sembrano contagiati dall’intersezione delle faglie (cfr il post Faglie, di qualche settimana fa); quelli domestici dominati dalla passione per le solite, decettive banalizzazioni reciproche. Aspettiamo con fiducia il “rapporto” di Draghi ma con assai minor fiducia guardiamo ai possibili utilizzi che sapremo farne nell’ansia di morderci reciprocamente le code nella cagnara.

Dunque per “ritrovarci” non ci resta che cogliere il senso del verso D’Annunziano col quale abbiamo dato un titolo a questo post, con la speranza che la transumanza (cui allude il poeta) non sia una semplice migrazione stagionale di animali guidati da pastori mercenari (Giovanni, 10, 11-12).

 

LETTURE SERIE: (1) di Oscar Cullman, Dio e Cesare (AVE, 2018): un breve ma intenso saggio (uscito nel 1957) sui passaggi della Scrittura sul rapporto tra Chiesa e Stato, terra e cielo, città eterna e città terrena. Lettura altamente raccomandata, almeno agli appassionati della materia. (2) di Benedetto XVI, Con Dio non sei mai solo (BUR, 2024): una breve selezione di alcuni “discorsi” ben noti ai cultori di questo sommo maestro nella fede, ma qui raccolti dal curatore (p. Federico Lombardi) secondo un filo logico che li connette, da un lato, al magistero ecclesiale del Pontefice e, dall’altro, alla Sua straordinaria attenzione al mondo della cultura lungo il crinale del dialogo fra ragione e fede, un tema magistralmente trattato anche in vari testi teologici da BXVI. Lettura obbligatoria per chi non ricordi quei discorsi, ma raccomandata anche a coloro che vogliano tornare a meditarne la commovente grandezza. (3) di Enrico Letta, Molto più di un mercato – Viaggio nella nuova Europa (il Mulino, 2024): al di là dei meriti di contenuto (una piccola, ragionata storia personale del percorso culturale che ha portato l’autore verso la redazione del Rapporto sul futuro del Mercato Unico Europeo, commissionatogli dal Consiglio UE e dalla Commissione), di questo libro colpisce il tratto competente, ragionante, concreto e lungimirante delle considerazioni di Enrico Letta; non certamente perché gli sia culturalmente estraneo, bensì per la sua palpabile rarità, nel contesto politico Italiano. Una lettura che raccomando a chi è in cerca di consolazioni dalla dilagante depressione del “pensiero” politico dei nostri tempi. (4) infine, un libro per ragazzi ma scritto da un grande storico contemporaneo, scomparso quest’anno: di Jacques Le Goff, L’Europa raccontata ai ragazzi (Laterza Ragazzi, 1999). Destinato, come dice lo stesso titolo, ai ragazzi (non a caso me l’ha segnalato mia moglie, professoressa di lettere in pensione) questo breve excursus sulla storia e i valori dell’Europa sarebbe molto adatto anche a certi ragazzotti più stagionati: in fondo è semplice e breve, anche con qualche bella illustrazione, alla portata anche di culture meno educate, ma molto utile per sapere, almeno qualcosa, di ciò da cui dipende il nostro futuro.  (5) le altre letture agostane di natura letteraria non le menziono perché sono state complessivamente molto deludenti dal punto di vista qualitativo (fa eccezione la rilettura di 1984, il terribile capolavoro di George Orwell, di molti anni fa ma riedito da Mondadori in ebook).

Roma, 4 settembre 2024 (Santa Rosalia, patrona di Palermo e salvatrice dalla peste)

 

mercoledì 24 luglio 2024

Critico esame di coscienza

 Il principio di realtà

(di Felice Celato)

Forse è l’avvicinarsi delle “vacanze” (ma per un vecchio ormai da tanto tempo al riparo dalle cure del mondo, e, per di più, scarso ma ostinato praticante dell’ozio golfistico, ha senso parlare di “vacanze”?); o forse la perdurante immanenza delle (accresciute) concrete cure familiari; o forse l’abbondanza del caldo e della luce (per me comunque da sempre benefica); o forse un casuale esercizio di rilettura di alcune delle mie riflessioni qui allineate nel tempo, alla luce delle intense visitazioni di questo sito rilevate in questi giorni. 

Fatto sta che oggi, ancorché come al solito confortato dalla coscienza che le mie povere sensazioni politiche siano sempre state condizionate dall’esplicita confessione della mia scarsa efficacia di elettore, sono percorso da un dubbio: nel guardare alle cose del mondo, coltivandone e segnalandone la percepita irrazionalità, non ho forse “peccato” di scarso senso della realtà? Così mi è tornata di nuovo in mente la citazione di San Tommaso: non est ratio mensura rerum sed potius e contario: cioè, non è la ragione che dà la misura delle cose ma piuttosto queste danno la misura della ragione; come dire, che le cose verificano o falsificano i nostri ragionamenti (O. De Bertolis: Il diritto nella società contemporanea, in Quaderno IVASS n.6).

Sei, dunque, un pentito delle tue geremiadi? mi sono detto [N.B.: per meglio intendere il senso di questo ambizioso riferimento al profeta Geremia, rimando al post Verso l’autunno, del 31 agosto del 2023, nel quale cercavo di illustrare il senso del pessimismo del profeta, come esposto dal domenicano francese Adrien Candiard ne La speranza non è ottimismo]. Non arrivo a pensare un pentimento tanto radicale; ma un qualche dubbio mi è venuto (e me ne scuso con coloro che, molto eventualmente, abbiano imprudentemente dato pieno credito alle mie “lagne”). Dunque: se le cose (tante!)  non vanno come a me sembrebbe quanto meno razionale che andassero, non è forse possibile che sia stata la mia ragione ad aver torto?

Possibile è possibile, naturalmente; probabile non so, né (ancora) mi rassegno a pensarlo. In questa giornata di caldo e di luce meno intensi, provo dunque (nello spazio di questo post) a non far credito alla probabilità.

Dunque, tanto per fare degli esempi, il degrado antropologico del nostro milieu, le gravi vacuità delle nostre tutt’altro che recenti politiche, il costante eccesso di percepito rispetto al reale, l’iper-comunicazione del niente, l’invasione del semplicismo come strumento di analisi, la propalazione di decettive ricette socio-economiche congiunta con il perseguito oscuramento del reale; in sintesi: la sostanza di gran parte delle mie geremiadi è tutta falsificata dalla realtà? E se sì, quale è dunque questa realtà che non ho percepito?

Cominciamo il salvataggio dell’(eventuale) salvabile: anzitutto vediamo i compagni di strada, del resto qui più volte citati (le relazioni del Censis o della Banca d’Italia, i numeri dell’Istat, gli articoli di seri osservatori indipendenti della realtà, etc): beh, non sono mai stato troppo solo! Questo me lo si riconoscerà, spero!

Allora perché le mie geremiadi  possono apparire un pessimismo falsificato dalla realtà? In fondo, bene o male, l’Italia va avanti comunque (o, forse meglio, sopravvive comunque): sarà lo scheletro contadino di cui parlava qualche anno fa il Censis? O lo stellone italico in cui molto spesso abbiamo sperato? O la tanto spesso evocata resilienza degli Italiani? O anche solo l’innegabile massiccio supporto offertoci dalla tanto deprecata Europa? Non lo so, ma mi pare certo che – grazie a Dio – siamo ancora qua (e anche in sostanziale buona salute fisica e, forse, psichica) a confrontarci col principio di realtà, come – purtroppo – facevamo financo dieci anni fa (cfr. post Ormai l’anno declina, proprio del 27 luglio 2014). Così pure mi pare certo che gran parte di quegli assunti punti forza non abbiano radice nelle politiche del nostro paese, almeno guardando ai tempi di queste geremiadi.

Roma, 24 luglio 2024

PS: Tanto per consolarmi e per invogliare a leggerlo, riprendo un cenno,  sempre di Candiard, dal libro sopra detto: Il pessimismo di Geremia ha una sola scusante: ha ragione lui.

 

 

 

 

 

 

 

martedì 23 luglio 2024

Stupidiario del caldo

Buone notizie!

(di Felice Celato)

Si dice che il caldo fa sragionare; non è vero! Almeno non sempre!

Pur facendo (almeno a Roma, sede del Governo e del Parlamento della nazione) un caldo boia, pare (il dubitativo è d’obbligo, appunto per il caldo) che non verrà sottoposto al Parlamento il disegno di legge (Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere) che, fra le altre amenità, prevedeva anche la sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 € per chi facesse uso del termine “avvocata”.

Per un momento avevo temuto che – in violazione dell’articolo 19 della Costituzione sulla libertà di culto – diventasse reato recitare (come siamo soliti fare noi paolotti, cioè clericali, bigotti e baciapile, secondo la Treccani) il Salve Regina, che sarebbe diventato (severamente) punibile per il passo “Eia ergo, advocata nostra…etc”. Anche se restava comunque praticabile – bisogna riconoscerlo! –  la successiva acclamazione del Salve Regina: “illos Tuos misericordes oculos ad nos converte”, anzi caricata così anche di un significato quanto mai attuale. 

Ma, leggo dai giornali che il ddl è stato ritirato, a riprova che non è (sempre ) vero che il caldo fa sragionare. 

Meno male! 

Roma 23 luglio 2024

giovedì 11 luglio 2024

Faglie

Depressioni da caldo

(di Felice Celato)

Ne sono quasi certo: il caldo abbatte gli ultra settantacinquenni più assai di quanto non faccia coi ventenni e coi quarantenni! E spesse volte deprime.

Questa sconfortante constatazione aggiunge un’ulteriore cautela per chi volesse “maneggiare” le mie valutazioni politiche, già gravate dalla “maledizione” che mi insegue, forse da sempre: opzioni politiche sempre deluse (vedasi colonnina “Chi scrive”, qui accanto)! Per di più, come è ovvio, le mie fonti sono tutte di natura secondaria (attinte, cioè, dalla stampa nazionale e da qualche giornale internazionale).

Formulato questo “avviso ai lettori”, vengo alle accaldate depressioni di oggi.

Se fosse credibile una visione d’insieme delle avventure politiche del mondo, direi che il nostro mondo fronteggia (o meglio: spera di fronteggiare) almeno tre (o forse quattro) diverse faglie (da Treccani on linein geologia, frattura di masse rocciose accompagnata da spostamento relativo delle due pareti lungo il piano di frattura o di faglia …. così che terreni originariamente alla stessa quota vengono a trovarsi a diverso livello).

La prima faglia è di natura geo-politica: il mondo è incomprensibilmente diviso nell’atteggiamento verso gli autocrati e i teocrati che ne agitano la superficie. Che la divisione possa essere solo apparente (cioè riferita alla geo-politica parlata piuttosto che a quella effettivamente praticata) è non solo possibile ma soprattutto sperabile. Ma la faglia c’è e ne leggiamo tutti, nei confusi giorni che viviamo proprio nel milieu della cultura occidentale (che, ovviamente, è quello che credo di conoscere meglio).

La seconda faglia è quella di natura, per così dire, sociologica: il mondo è diviso dalle aspre sensibilità (spontanee o, assai più spesso, coltivate) sui temi delle migrazioni; temi epocali, demografici, economici e – forse – anche antropologici, che si intrecciano nelle quotidiane scompostezze – e, talora, indecenze – delle propagande politiche che vengono proposte ai molti cittadini del mondo in questo tempo coinvolti in processi elettorali.

La terza faglia è quella a noi più vicina perché le masse rocciose che ne sono interessate sono quelle della piattaforma politico-istituzionale (l’Europa) di cui siamo parte diretta: qui il piano di frattura è quello – non nuovo del resto in Europa – fra sensibilità nazionalistiche  (o sovraniste, come oggi si suol dire) e sensibilità europeistiche; le quali ultime – lo dico con franchezza – sono proprio quelle che mi riconosco, senza alcun dubbio al riguardo. Ovviamente anche queste opposte sensibilità sono l’oggetto di quotidiane e stucchevoli suggestioni emotive propinate all’opinionismo fugace dei rappresentati, anche dai cosiddetti rappresentanti quando sono in profonda crisi di leadership.

Credo – e non essendo un politologo torno a sottolineare il limite di questa opinione – che se si potesse mettere su una tabella (ah, le antiche deformazioni del desueto  mestiere!) una sintesi delle proposte politiche diffuse nel mondo occidentale si scoprirebbe che attorno a queste

faglie infuria gran parte della battaglia per la conquista delle opinioni e, conseguentemente, per la formazione  dell’offerta politica

Anche qui la cautela è d’obbligo (come sempre accade ad ogni super-sintesi di tendenze politiche): la cautela si basa soprattutto su una quarta faglia – questa di natura strutturale –

che, soprattutto nelle cosiddette democrazie occidentali (ma specialmente da noi), separa quotidianamente il proclamato dal veramente praticato (e, ancor più, dal praticabile). Si potrebbe dire, anzi, che l’Italia, da questo punto di vista, sembra confortare, nei fatti, la sostanza di questa cautela, talora, purtroppo, anche in materie che poco si presterebbero a questo gioco delle tre carte. Però confesso che sempre ne provo comunque fastidio, non foss’altro perché alimenta l’immagine di un paese sempre incline al chiacchieronismo; e poi perché (sorprendentemente) credo che in fondo i rappresentati non meritino di essere trattati come minus habentes e i rappresentanti non abbiano nulla da guadagnare, nel lungo periodo, dal palesarsi sempre del tutto privi di doti di leadership ( da Treccani on line: processo di influenza sugli altri per far loro comprendere e accettare decisioni o azioni che devono essere avviate al fine di supportare gli sforzi individuali e collettivi verso il raggiungimento di un obiettivo comune). Già: nel lungo periodo! Ma è questo l’orizzonte dei politici (dell’una o dell’altra fazione) che democraticamente mandiamo a rappresentarci?

Ma una cosa mi pare certa (e ce la insegnano i sismologi): quando una faglia si muove intensamente il rischio dei terremoti è assai elevato; particolarmente, poi, quando le varie faglie fra loro si sovrappongono.

Buon caldo a tutti!

Roma 11 luglio 2024

sabato 29 giugno 2024

Segnalazione (?)

Il mondo di ieri 

(di Felice Celato)

Certo è curioso segnalare un libro, sconsigliandone, al tempo stesso e per il momento, la lettura (questo è il senso del punto interrogativo, nel titolo di questo post). Però è questo il sentimento che mi ha suscitato il corposo testo (quasi 400 densissime pagine, anche scritte con caratteri poco adatti ai presbiti, un vero inno agli ebook con caratteri liberamente dimensionabili!) di Stefan Zweig dal titolo paradossalmente attuale, Il mondo di ieri (Mondadori, 2023). 

Si tratta di una specie di argomentata storia autobiografica dei pensieri e dei sentimenti di un grande (e controverso) letterato, scritta nel 1942; pensieri che hanno lentamente supportato la tragica decisione dell’autore di darsi la morte insieme alla sua seconda moglie, nell’esilio sudamericano nel quale l’autore aveva invano cercato un rifugio dalle sue drammatiche percezioni di un tempo ormai finito col travolgimento di un mondo che, fra le due guerre mondiali del ‘900, era andato via via sgretolandosi, fino alla tragedia della II guerra mondiale. Tragedia mondiale, certamente, ma, nella specifica percezione di un austriaco, anche e soprattutto, atto finale di quella finis Austriae, che aveva infiammato di nostalgie anche Joseph Roth nei suoi straordinari racconti (soprattutto La marcia di Radetzky e La cripta dei cappuccini).

Il libro di Zweig si raccomanda, oltreché per la qualità della prosa, per la drammatica organizzazione narrativa delle sensibilità del mondo dell’autore, uno scrittore di cultura europea, largamente tradotto in tutte le lingue del nostro continente, per molti aspetti divenuto cittadino del mondo, con le radici ben piantate in quel mondo della sicurezza che allora gli appariva l’amata patria mentre la storia la travolgeva. (*)

Però, come dicevo all’inizio, raccomando al lettore curioso di rinviare la lettura a tempi meno agitati dei presenti (se mai ve ne saranno); perché il testo certo non fa bene a chi vuole sperare che sia sbagliata la famosa sentenza di Shakespeare che ho ritrovato in inglese (dopo averla conosciuta tanti anni fa in Italiano) nel testo di Zweig: so foul a sky clears not without a storm ( un cielo così cupo non può schiarire senza una tempesta).

Di questi tempi OCCORRE sperare che non debba arrivare quella tempesta che il mondo, nei suoi vari scenari, sembra voler costruire ogni giorno, con intensa ed inesauribile lena: la guerra in atto alle porte dell’Europa, la crisi mentale degli USA, le instabilità politiche Europee, l’eterna crisi mediorientale, il poco rassicurante imperversare di fanatici teocrati ed autocrati, etc.etc.. 

E Zweig non è l’autore adatto per fugare queste ansie; semmai, se proprio non si vuol attingere alla promessa cristiana sulla storia (ecco, io sono con voi tutti giorni, fino alla fine del mondo, Mt 28,20), consiglierei di riscoprire il genere letterario latino delle Consolationes (composizioni filosofico-letterarie scritte per consolare sé o altri di qualche dolore, come recita la Treccani); di questo ultimo consiglio, però, non garantisco il risultato. Del primo, invece, conosco bene i limiti che la libertà dell’uomo pure riesce a frapporre all’assistenza del Padre Celeste; ma credo fermamente che, nonostante tutto (e tutti noi), ad essa è affidata la nostra speranza.

Roma, 29 giugno 2024, SS. Pietro e Paolo, auguri a tutti i Pietri e i Paoli.


(*) Se proprio un postumo appunto si volesse fare al libro, si potrebbe dire che l’Autore trascura proprio un precetto che lui stesso raccomanda agli scrittori (cfr. pg 272 e sg), quello della non prolissità. Ma – mi sono detto alla fine del libro – non si può chiedere a chi è lucidamente disperato di essere breve nel narrare la propria disperazione; perché la narrazione – anche prolissa –  è forse la prova di una disperazione che fatica ad accettarsi come tale.

 

giovedì 13 giugno 2024

Tecnologie per la politica

Il VAC 

(di Felice Celato)

Mentre cerco di digerire i risultati delle elezioni europee (un vero e proprio set-back dell’Europa, almeno dell’Europa in cui fermamente credo; un set-back, col suo focus in Francia ed in Germania, auspicabilmente mitigato – per quanto paradossale, irenico e prematuro possa apparire l’affermarlo – proprio dal risultato Italiano), mi sono concesso un esercizio di riflessione sulle mie stesse percezioni, per verificare se il tempo le abbia usurate, sconfessate o modificate . 

Ho riletto, quindi, quello che scrivevo, qui, giusto 10 anni fa (vedasi il post del 14 luglio 2014 dal titolo: Riproviamo). In dieci anni sono passati, in Italia, se non sbaglio, 6 governi (Renzi, Gentiloni, Conte 1, Conte 2,  Draghi e Meloni), con 4 diversi “orientamenti” (grossolanamente: 2 di “Centro-sinistra”, 2 confusamente “populisti”, 1 di “unità nazionale” e 1 di “centro-destra”); eppure – se si eccettua il periodo dell’”unità nazionale” durante il quale la forte personalità indipendente del Presidente del Consiglio ha, per un anno e mezzo, in larga parte modificato l’approccio del dialogo politica-cittadini – le mie considerazioni di allora, raggruppate sotto il titolo Scomunicazione, che allora avevo dato alle mie geremiadi sulla comunicazione della politica, non hanno mutato sostanza (o almeno così a me pare). Vi si parlava, appunto, di “scomunicazione”, di “luogocomunismo”, di “comunicazione decettiva”, del “parlare a nuora perché suocera NON intenda”, etc. [ Per memoria ricordo che allora il nostro “principale” problema era quello del debito pubblico e della nostra compliance con i nostri impegni di bilancio pubblico, problemi che, come è ben noto a tutti, ora non abbiamo più].

Stavo per abbandonarmi ad una analitica rilettura di quei termini, ben contento (si fa per dire!) di intravederne ancora l’attualità, quando una più urgente opportunità ha fatto capolino nelle vicende del nostro povero paese: sta’ a vedere che adottiamo il VAC! Che cos’è il VAC? Lo spiego meglio, anche a beneficio dei lettori che non hanno confidenza col mondo del calcio: il VAC (Video Assistant Chairman) potrebbe essere l’omologo parlamentare del VAR (Video Assistant Referee cioè l’arbitro elettronico, che assiste – appunto – l’arbitro umano nell’analizzare situazioni sportive delicate e anche per rivedere al rallentatore le dinamiche di certi falli). Ora, pare che – dopo una rissa in Parlamento – si stia valutando la necessità di analizzare la dinamica di tale rissa per accertare chi voleva scazzottare chi, o chi fingeva un infortunio simulando un cazzotto incassato; appunto introducendo in Parlamento il VAC, ovvero la moviola (come allora si diceva della moviola in campo, tanto invocata dal giornalista sportivo Biscardi) a sostegno delle decisioni che il Presidente della Camera dovrà – forse – adottare, né più né meno di come deve fare l’arbitro in campo.

Questa interessante novità mi suggerirebbe di aggiungere alle espressioni che usavo 10 anni fa come elementi caratteristici del rapporto democratico fra rappresentanti e rappresentati (mediaticamente molto supportato), un nuovo termine che – nelle intenzioni – dovrebbe includere il compiacimento per la rivoluzionaria innovazione (che sicuramente ci metterebbe all’avanguardia in Europa!): lo sVACcamento parlamentare, che va dalla pietosa ostentazione – in Parlamento, cioè dove si dovrebbe parlare per confrontare idee! – di cartelli e volantini a beneficio di telecamera, con lapidarie e pensose sentenze politiche (talora solo penose), fino alle vigorose scazzottate, da verificare col VAC!

Si dirà che non sono cose del tutto nuove; altre volte ci si è scontrati fisicamente in Parlamento; e tuttavia oggi sento il bisogno di invocare Sant’Antonio di Padova, Dottore della Chiesa, francescano, Portoghese vissuto in Francia e in Italia – un santo Europeo, si potrebbe dire – affinché, nel giorno della sua festa, preghi per noi, che ne abbiamo bisogno!

Roma 13 giugno 2024

 

 

 

martedì 21 maggio 2024

Ritorno al presente

Le elezioni di giugno

(di Felice Celato)

Eccomi qua, purtroppo riportato al presente dallo scorrere del calendario (fugit irreparabile tempus, direbbe Virgilio) ma, ancora una volta, con due fugaci segnalazioni di letture che, per la loro natura, hanno però contribuito ad allontanarmi dai mondi dei Borgia, del Manzoni, di Joice Lussu, di San Paolo e del matematico scettico coi suoi colloqui con Benedetto XVI, nei quali avevo trovato ristoro dalle allergie delle cronache nostrane; che, però, irreparabilmente urgono. 

Si tratta di due saggi di diversa natura ma entrambi focalizzati sui nostri destini Europei. 

Il primo (di Michele Bellini, Salviamo l’Europa, edizioni Marietti1820, 2024, ebook) è un testo sospeso fra la storia recente dell’Europa e le prospettive di allargamento e di ri-progettazione strategica e funzionale della stessa. Ne viene fuori un quadro politicamente molto complesso ricostruito attraverso otto parole chiave per riscrivere il futuro (allargamento, sovranità, democrazia, sostenibilità, immigrazione, convergenza e tecnologia). Non mancano, ad avviso di chi scrive, alcune scontate accentuazioni non pacifiche (specie sull’usurato dilemma stato-mercato); ma complessivamente il lavoro dell’autore si segnala per il tentativo di completezza e di organicità.

Il secondo saggio (di Claudio Martinelli, Il Parlamento Europeo, edizioni Il Mulino, 2024), per l’ambito specifico delle analisi condotte, ancor più si raccomanda in quanto arricchisce il quadro tematico-politico con una più precisa (e largamente ignorata) prospettiva tecnico-giuridica, estremamente utile in quanto focalizzata proprio sull’istituzione (il Parlamento Europeo, appunto) che saremo a breve chiamati a ri-generare, nella sua composizione, sulla base dei mutamenti politici che si sono prodotti in questo recente quinquennio (e non solo in Italia). 

Già, perché, se anche non fossimo stati richiamati alla realtà dall’ "imperdibile"  baruffa

chiozzotta sull’abortito confronto Meloni-Schlein, comunque dovremmo ricordare che, fra una ventina di giorni, quasi 360 milioni di elettori saranno chiamati alle urne nei 27 stati membri per una consultazione democratica alla quale – posso sbagliare, come sempre – annetto una decisiva importanza per l’Europa (della quale siamo poco coscienti cittadini) ma soprattutto per il nostro, forse del tutto incosciente, paese.

Essendomi programmaticamente auto-definito (cfr. noticina Chi scrive, qui accanto) un elettore sempre deluso da chi ha votato, comprenderanno i miei lettori l’assoluta reticenza ad elargire (peraltro non richiesti) pareri (probabilmente destinati alla fallacia). Però, proprio attingendo dal libro di Martinelli, un pro-memoria sul senso delle prossime elezioni voglio consentirmelo: lo spartiacque attorno a cui si profila la competizione sarà quello tra europeisti e sovranisti, cioè tra forze politiche interessate e disposte a innescare un'evoluzione dell'Unione Europea in senso tendenzialmente federale, e altre convinte della necessità di rivedere le dinamiche europee ma nel senso esattamente opposto, cioè per dare ancora più forza alla dimensione nazionale nel momento decisionale. In sostanza, da una parte più potere alle istituzioni comunitarie per decidere sulla base di interessi generali dell'Unione nel suo complesso; dall'altra più spazio ai governi degli Stati, per far prevalere la loro interpretazione degli interessi nazionali, sia per avanzare qualche proposta, sia per potersi opporre a decisioni che non condividano.

Al di là delle inclinazioni di ciascuno verso questa o quella impostazione “filosofica” (il mio ben noto apprezzamento per la vita e la cultura politica del nostro Paese, rende inutile precisare su quali dei due versanti mi schiererei), tre cose comunque mi paiono certe: (1) che le prossime elezioni Europee saranno di decisiva importanza per il futuro delle nostre generazioni più giovani; (2) che, perciò, la diserzione dal voto stavolta sarebbe più colpevole del solito; (3) che, proprio dall’ampiezza e dalla significatività “democratica” del voto, dipenderanno le possibilità di un rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo, per puntellare e sanificare la percezione dell’Europa come destino e patria comune di noi tutti cittadini ( a scapito del ruolo di bersaglio ideale per tutte le variegate colpevolizzazioni  che populismi di ogni genere ne hanno fatto per diluire le responsabilità delle proprie insufficienze).

Roma 21 maggio 2024