Elogio del dubbio
(di Felice Celato)
Seguo spesso, sui giornali ma anche – magari mentre guido - su Radio Radicale, i pressoché quotidiani dibattiti parlamentari; che però mi sono di altrettanto quotidiano sconforto, al punto di farmi radicalmente dubitare sulla loro (residua) utilità.
Ciò che mi sconforta è un’assenza inquietante: l’assenza del dubbio dagli enunciati, sempre più marcata man a mano che “sale” il vigore (sempre comunque alto) delle asserzioni: solo certezze, di infinita saggezza dell’agire politico della maggioranza o di totale insensatezza (se non di criminale intenzionalità) di tale agire nell’ottica della minoranza. E ciò anche quando la materia dibattuta è di estrema delicatezza e complessità come, per esempio, la vexata quaestio – aspramente discussa in queste ultime settimane – della cosiddetta separazione delle carriere fra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti e, soprattutto, della sua concreta attuazione [del resto se, come è possibile, ci sarà un referendum avremo modo di rifletterci in maniera più cosciente, quando il gran parlare sarà diventato, appunto, norme concrete, ancorché soggette a referendum]; oppure quando la materia dibattuta comporta, per sua natura (vedansi, per esempio, i temi economici o di politica fiscale), un bilanciamento di pro e di contra assai difficili da valutarsi ex ante e comunque altamente dipendenti anche da visioni del mondo (la Weltanshauung, dei filosofi) assai divergenti e, magari, talora inconciliabilmente opposte.
Si dirà che in fondo la “politica politicata” deve necessariamente propinare certezze, sia sulle linee d’azione della maggioranza governante sia sulle ragioni della minoranza opponente; e che, ancora in fondo in fondo, il vero taciturno interlocutore è proprio l’ascoltatore lontano dalle aule parlamentari, cioè quello che io chiamo il destinatario dell’offerta politica, il popolo elettore; e che, quindi, in sé, ogni dibattito parlamentare è fattualmente disassato, cioè apparentemente svolto fra falsi interlocutori funzionali (cioè i parlamentari votanti) ma in realtà rivolto all’esterno, all’interlocutore non presente in aula, o tutt’al più ai suoi araldi (i giornalisti parlamentari, poveri loro, incaricati di riferirne al popolo elettore).
Diceva Voltaire che il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno; e poiché escludo – nel modo più categorico, perbacco! – che i nostri parlamentari considerino il popolo elettore (cioè chi li ha mandati a governare o ad opporsi, chi – in sostanza – li ha votati) un aggregato di imbecilli, devo concludere che i nostri parlamentari vogliano solo – generosamente, per carità!– preservarci dalle scomodità del dubbio, propinandoci le loro indubitabili certezze del momento, anche al rischio di accollarsi, però, loro stessi, personalmente, il Voltaireiano sospetto di imbecillità.
Se lo fanno con questa intenzione, mi sentirei di rivolgere loro una cortese preghiera: per favore non tentate di preservarci dalla scomodità del dubbio, mantenete a nostro carico questo fardello, perché il dubbio è profondamente appassionante (come diceva Oscar Wilde); così, quando indirettamente vi rivolgete a noi (fingendo di dibattere fra voi), non propinateci indubitabili certezze perché ci farebbero dubitare di voi (e quindi della nostra sperata saggezza di elettori, della quale, pure, non vogliamo dubitare). Mi rendo conto che questo guasterà il "piacere" di ascoltarvi litigare, ma ce ne faremo una ragione!
Roma 18 gennaio 2025
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