venerdì 24 aprile 2020

Liberazioni

25 aprile 2020
(di Felice Celato)
Domani è la Festa della Liberazione: 75 anni fa l’Italia si proclamò liberata dagli invasori tedeschi che, fino a poco più di 18 mesi prima, erano i nostri soci nel cosiddetto Patto d’acciaio (22 maggio 1939) col quale il fascismo aveva posto le basi per trascinare l’Italia incosciente (Piazza Venezia plaudente, 10 giugno 1940) nella sciagurata  II guerra mondiale. [In realtà la resa definitiva dei tedeschi avvenne, come sappiamo, qualche giorno dopo, il 3 maggio 1945, ma la data del 25 aprile come festa nazionale fu scelta in memoria dello sciopero generale proclamato a Milano, appunto il 25 aprile, contro l’occupazione tedesca.]
Tradizionale festa civile di primavera, in questo meraviglioso anno 2020 il 25 aprile annuncia anche l’imminente liberazione (prevista per il 4 maggio) dallo stato di ibernazione della vita normale indotto dalle misure di contrasto alla diffusione del virus che ha angosciato la nostra primavera. La festeggeremo, dunque, la Festa della Liberazione, in una forma inusitata, nuova da quando essa esiste; ma forse – nel cuore di ciascuno ed inconfessatamente – anche con un senso nuovo e particolare. Finisce – almeno così si spera – questa tragica foto innaturale di un paese rinserrato nella paura (homo homini virus), addolorato per i suoi tanti morti (oltre 25.000 morti a ieri, quasi 42 ogni 100.000  abitanti), in parte incosciente dell’emergenza che deve arrivare (quella economica e finanziaria) e innamorato degli elicotteri che fanno piovere banconote (l’helicopter money di Milton Friedman), irresoluto nella sua anima europea della quale sembra aver perso l’ineluttabile senso storico e culturale.
Così io la vorrei sperare, questa festa della liberazione dagli invasori, come festa della liberazione dai pervasori.
Chi sono i pervasori? I pervasori (N.B.: uso la forma astratta perché ogni concretezza potrebbe colorarsi di significati politici inadeguati alla trasversalità del male) sono, da un lato, i sentimenti di dis-cordia (Treccani: disunione degli animi e delle volontà) che lacerano profondamente la nostra comunità, facendone il crogiuolo  di chiusi rancori e di inescusabili incomprensioni; e, dall’altro, i vaghi sogni di incosciente potenza dell’autonomia dei comportamenti che ci fanno apparire, talora, poveri asini vestiti della pelle del leone.
Ecco, questi sono i pervasori o, se vogliamo e per restare in argomento, i virus che ci infestano ed ai quali la primavera della liberazione vorrei ci sottraesse definitivamente, sviluppandoci (in fretta, per carità!) gli anticorpi culturali contro le false ragioni dei pervasori (dice Sant’Ignazio nelle regole per gli Esercizi Spirituali: è proprio dello spirito cattivo rimordere, rattristare, porre difficoltà e turbare con false ragioni, per impedire di andare avanti).
Qualche anno fa il Censis di De Rita (Rapporto 2011), partim dolore, partim verecundia (cioè con un po' di dolore e un po' di vergogna) considerava la penultima grave crisi che abbiamo attraversato (quella cosiddetta del debito sovrano, appunto nel 2011) come una combinata insipienza (fatta di debito abnorme, di impreparazione politica e di confusione ed impotenza); e a questa combinazione virale contrapponeva la messa in campo di una vitalità di lunga durata, una specie di carattere fondativo del nostro paese che si manifesta nello scheletro contadino come riferimento quasi occulto delle nostre vicende di evoluzione sociale , anche se reso occulto e dimenticato dalle bolle di vacuità e banalità con cui abbiamo importato l’agiatezza e la modernità occidentali.
Che sia ancora una volta lo scheletro contadino a tornare in campo o gli anticorpi naturali che, alla fine, ogni virale pervasione genera, speriamo (cautamente) che la primavera inoltrata ci porti anche questa liberazione, assai più decisiva di quella materiale che ci aspetta il 4 maggio; consci – come concludeva De Rita – che se è giusto che gli uomini ragionevoli, quando serve, mettano ordine alla realtà, è anche accettabile qualche volta che sia la realtà a mettere ordine. In questo vale ancora San Tommaso: non ratio est mensura rerum, sed potius e converso (non la ragione è la misura delle cose, piuttosto il contrario).
C’è da sperare che la misura delle cose (mensura rerum) abbia il sopravvento sulle false ragioni dei pervasori.
Roma 24 aprile 2020.

venerdì 17 aprile 2020

Distopie dal lazzaretto

Un lunedì indimenticabile!
(di Felice Celato)
L’ondata travolgente di ubriacanti liberalizzazioni che si annuncia [per esempio: da lunedì, col beneplacito del Premier, del capo della Protezione Civile, del Presidente della Regione e dei Vigili Urbani, ci si potrà recare in libreria, a condizione però – dicono i Pizzardoni – che l’accesso ad essa costituisca uno spostamento complementare rispetto a quelli già liberalizzati, come alimentari e farmacie], induce a preparare in anticipo alcune forme di festeggiamento, ovviamente predisponendo – per il  pieno rispetto di norme di legge, regolamentari, centrali, regionali e comunali – uno schema comportamentale in grado di legittimare l’ agognato accesso alla libreria. 
Qui ci sarebbe già un problema: la scelta della libreria è libera o - per non esagerare con le libertà - occorre privilegiare la più vicina? E se sì, in linea d’aria o tenendo conto dei percorsi pedonali? Ma – credo di poter dire – nel nuovo clima di liberalizzazioni (N.B.: per ora senza scaglioni d’età), da questo problema possiamo prescindere, purché tutto il resto “funzioni”. Veniamo allora allo schema comportamentale.
Anzitutto occorre avere un’idea chiara su che cosa si va a comprare in libreria (questo lo dico per tuziorismo, per adeguarmi ad un canone di necessità che, forse, governa anche gli acquisti in libreria); per intenderci: non è che puoi dichiarare di andare in libreria a comprare, chessò, una copia della Divina Commedia; l’hai studiata – alcuni – a suo tempo e, dunque, ora, che necessità ce ne può essere? Io suggerisco di avere in serbo letture più “credibili” e anche di eminente scopo pratico: per esempio, io suggerisco L’uomo delinquente di Cesare Lombroso, la cui utilità – di questi tempi – può essere validamente comprovata dalla necessità di studiare i profili dei crani di coloro che giornalmente ci ammanniscono le loro paternali dolciastre [faccio un esempio: per quanto non veda l’ora che ‘sta storia finisca, escludo categoricamente di aver voglia di “tornare ad abbracciare” qualcuno dei suddetti educatori di popolo che mi prospettano il ritorno all’abbraccio (e non ricordo l'andata!) come frutto più succoso della fine della pandemia!]. 
Credo che L’uomo delinquente possa reggere ad ogni eventuale inchiesta (sempre possibile, attenzione!) sulla frivolezza dei vostri intendimenti librari!
Bene: ora che abbiamo un fine degno di uno spostamento occorre collocarlo sull’asse della complementarità, in ossequio alla normativa pizzardonica. Qui soccorre un intramontabile regola romana: le voglie di una donna incinta vanno esaudite! Che fare se le vostre mogli sono già abbondantemente fuori della età fertile? Si ricorre all’istituto della presunzione: ci sarà qualcuna (figlia, nipote, vicina o simili) di cui si possa, senza tema di smentita, dichiarare la presunta gravidanza? Anche qui attenzione: la presunzione – per sua natura soggettiva e quindi entro certi limiti incontestabile – serve come scriminante: nessuno potrà contestarti la non gravidanza effettiva della figura de qua (facilmente comprovabile nelle forme di legge), se tu avrai dichiarato che, solo presumendola incinta, hai inteso rispettare il suo intenso desiderio della porchetta che si vende a piazza del Pantheon o della mortadella di Campo dei Fiori; dunque la tua legittima presunzione a sua volta legittima il tuo accesso in zona Argentina (e la libreria ivi domiciliata diventa, automaticamente, per te complementare rispetto alla destinazione alimentare, sia pure nella mera funzione anti-voglia di mortadella sul volto del presunto nascituro).
Ecco, mi pare che questo schema comportamentale – del quale non credo si possa mettere in dubbio la legittimità – vi consentirà di comprare il libro che cercate o di cercare il libro che comprerete. Un’ultima attenzione: per evitare noiose contestazioni ex post, comprate comunque una copia del volume del Lombroso; non si sa mai, magari a qualcuno viene in mente di verificare la correttezza dei vostri comportamenti.
Ah! visto che oramai siete a piazza Argentina in sicurezza e legalità, vi suggerisco un passaggio alla chiesa del Gesù (anch’essa a dir poco complementare rispetto al percorso porchetta/mortadella): il Padrone di Casa aspetta lì, sempre pieno di misericordia verso le Sue creature, per quanto sciocche.
Roma, venerdì 17 aprile 2020



sabato 11 aprile 2020

Auguri dal lazzaretto

Pasqua illuminata
(di Felice Celato)
In questa strana Settimana Santa di isolamento fisico, mi hanno fatto “compagnia” diverse riletture meditative dei testi della Passione (segnalo quelle del p. De Bertolis SJ sul sito della Chiesa del Gesù, incentrate sulla Passione secondo Giovanni). Avvicinandosi – ormai a poche ore – la Pasqua, questa inusitata Pasqua con le chiese chiuse ai riti, la mia attenzione si è concentrata su un versetto della morte di N.S.G.C. (subito dopo lo spirò o l’emise lo spirito nei racconti di Marco 15,38 e di Matteo 27,51) che tutti abbiamo in mente, solo che si siano almeno una volta letti i racconti evangelici della Passione: “ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due dall’alto in basso”.
Il significato teologico di questo segno apocalittico è quello della cesura fra Antico e Nuovo Testamento, la fine del culto antico e l’inaugurazione del culto della Nuova Alleanza, nella quale ogni credente, di qualunque popolo, ha accesso al divino, senza i “veli” che, in gradazione diversa, “filtravano” l’ingresso al Santo dei Santi nei templi giudaici. Del resto, aveva detto Gesù alla Samaritana (Gv 4, 21-23), “viene l’ora, quando né in questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre…..viene l’ora, ed è adesso, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità”.
E dunque, attraverso le vicende di queste settimane civili, abbiamo sperimentato l’esercizio di fare a meno della fisicità delle chiese, anche durante le più alte solennità del calendario cristiano. Non è stato un esercizio gradevole, specie per chi della celebrazione eucaristica ha bisogno; ma, spero, non ci abbia impedito di adorare il Padre in Spirito e Verità, anche aiutati dai poveri mezzi che la (spesso scioccamente demonizzata) tecnologia mette a disposizione. E allora, se nel tempo pasquale abbiamo anche un po' adorato il Padre in Spirito e Verità, almeno ricordandone e rimeditandone la Passione del Figlio, domani ci troveremo, dispersi nelle nostre case, a rivivere il senso profondo della Resurrezione, perché se Cristo non è risorto, …vuota allora è la nostra fede (I Cor. 15,14). E se Cristo è risorto – come noi confessiamo nella nostra fede – la [Sua] resurrezione…fonda la nostra salda speranza e illumina l'intero nostro pellegrinaggio terreno, compreso l'enigma umano del dolore e della morte (Benedetto XVI, Udienza generale del 15 aprile 2009).
Una illuminata Pasqua di Resurrezione a tutti, dunque!
Roma 11 aprile 2020 (Sabato Santo)

giovedì 9 aprile 2020

Divagazioni nel lazzaretto

Virologi ed elicotteristi
(di Felice Celato)
Sono convinto che se il duce tornasse (quod Deus avertat, in qualunque mefitica reincarnazione sia ipotizzabile) oggi aggiornerebbe la sua epica esaltazione del popolo Italiano (un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori, etc) non solo per aggiungere – a pieno titolo – un popolo di parmigianisti, ma anche per includere fra i benemeriti della nazione i virologi e gli elicotteristi.
Dei parmigianisti ho già detto qualche volta (ho un rapporto Catulliano con il parmigiano: lo amo con la bocca e lo odio con la testa, perché quelli che ne fanno un idolo che tutto il mondo ci invidia mi avvelenano la sublime degustazione); sono tanti, ingenui e provinciali, ma tutto sommato i parmigianisti potrebbero benissimo convivere coi colonizzatori, coi trasmigratori e forse anche coi poeti. E dunque l’aggiornamento potrebbe funzionare, magari posizionato lontano dai pensatori.
Dei virologi: basta stare un mezz’ora in fila per entrare al supermercato (e io lo faccio tutti i giorni) e scambiare, da sotto la mascherina, qualche distanziata opinione con gli attenditori, per rendersi conto della straordinaria diffusione (direi virale!) di questa specializzazione della biologia. Certo le continue interviste di virologi sapienti hanno contribuito moltissimo alla mediatica espansione della materia, spesso fagocitatrice di altre “conoscenze”; ma credo che ben pochi di questi virologi (veramente) sapienti (della loro materia, si intende) si rendano conto di quanto le loro dottrine siano confortate da un disperso moto di popolo verso la scienza distribuita. Qualcuno potrebbe dire che i virologi sono già compresi nella mussoliniana categoria degli scienziati; ed è vero, anche se in fondo pure i trasmigratori potrebbero rientrare nella categoria dei colonizzatori (si sa, i dittatori amano le endiadi!)ma credo che, sul campo, i virologi si meritino una esplicita menzione, non foss’altro perché – unici nel nostro Paese – sono riusciti, in poco più di due mesi, a spargere un enorme sapere specialistico e, per giunta, in  mezzo ad un popolo che non ama la conoscenza e men che meno la fatica dell’apprendimento. I virologi, secondo me, vanno iscritti a forza a fianco degli scienziati, almeno al merito della cultura!
Veniamo infine alla benemerita categoria degli elicotteristi: non mi riferisco ai piloti di quel meraviglioso mezzo di trasporto che è, appunto, l’elicottero; no, gli elicotteristi che propongo per una neo-mussoliniana menzione fra i miti di questo popolo, sono quelli – ormai tantissimi – che si sono lasciati conquistare dalla paradossale espressione (helicopter money) di Milton Friedman (premio Nobel per l’Economia e fondatore della corrente di pensiero economico nota come monetarismo) per dire di una politica economica fondata sullo….sganciamento a pioggia (appunto con l’elicottero) di potere d’acquisto in capo ai cittadini. Come era da prevedersi, la metafora Miltoniana ha avuto da noi un successo clamoroso, sicché ogni italiano che si rispetti (o anche che non si rispetti)  – oggi – si è impadronito del “concetto” e ne ha fatto il mantra di quotidiane … danze della pioggia. Per carità – credo di averlo già detto – ha ragione Mario Draghi quando dice (FT del 25 marzo) che, necessariamente, it is already clear that the answer [allo shock del Coronavirus] must involve a significant increase in public debt; e che the priority must not only be providing basic income for those who lose their job; e che we must protect people from losing their jobs in the first placePerò, mentre danziamo per la pioggia, dovremmo tener conto anche della vecchia ammonizione di Luigi Einaudi: a iniettar carta, sia pure carta internazionale, in un mondo da cui gli scemi, i farabutti ed i superbi non siano ancora stati cacciati via se non in parte, non si guarisce, no, la malattia; ma la si alimenta ed inciprignisce. (Luigi Einaudi, in In lode del profitto e altri scritti, IBL, 2011). Se gli elicotteristi lo fanno (cioè se tengono conto, in cuor loro, dell'ammonizione Einaudiana),  allora menzioniamoli pure (in fondo, nel breve, possono avere un bel po’ di ragione), magari fra i poeti e gli artisti. Se, invece, non lo fanno, allora teniamoli fuori, perché l’elicottero ogni tanto deve pur fare rifornimento di carburante. E, di questi tempi, non è detto che i distributori siano aperti.
Roma, 9 aprile 2020

P.S. Oggi comincia il triduo pasquale; senza molto sforzo, torneremo seri.

sabato 4 aprile 2020

Speranze nel lazzaretto

La palingenesi e le amanitae
(di Felice Celato)
Sarà la primavera (la luce da sempre giova al mio umore, anche in tempi bui), sarà l’influenza dell’evidente rallentamento dei tassi di crescita dei contagiati e dei morti, sarà l’indomita propensione umana verso la speranza (anche intra-mondana); fatto sta che mi sono avventurato nel considerare l’ansia di palingenesi che pervade molti di noi. Non sono fra quelli che si lasciano suggestionare dagli slogan (anche quelli più nobili) dell’andrà tutto bene (per qualche verso irrispettosi ove si consideri il death toll di questi giorni di peste); e non credo proprio che andrà tutto bene, specie quando considero l’emergenza (quella vera, finanziaria ed economica) che è ormai alle viste anche dei più miopi. Eppure mi pare che una qualche ragione la possano avere quelli che intravvedono, nello shock, un germe di nuova vita dopo la peste, una nuova vita che rigeneri gli animal spirits, la carica vitale che – perbacco! – non può essere morta in un popolo che si ritiene – anche a ragione – così vitale come noi Italiani; e che trasformi anche alcuni nostri emendabilissimi modi di guardare a noi stessi, agli altri ed al mondo.
In fondo – scriveva il Censis nel suo ultimo Rapporto, quando (dicembre 2019) una crisi del genere di quella che ci ha investito non era nemmeno immaginabile – la consapevolezza che la sfiducia sembra prevalere sulla speranza, che lo spirito di adattamento inerziale non basta più, che il processo di sviluppo sociale si è interrotto, che la politica ha fallito, non è abbastanza per offuscare lo sguardo e il bisogno di reagire e guardare avanti che la società esprime: e forse questo shock che ci pervade (e ancora ci attende) può stimolare il bisogno di reagire e guardare avanti ancora più in profondo di quanto non facesse, sul finire del 2019, l’orizzonte crepuscolare di declino che, al termine del decennio, già tanto ci affaticava.
Bene: se ciò è vero (o meglio: se ciò si verificherà in concreto; ed io lo  spero ardentemente), allora vorrà dire che l’attesa palingenesi sarà molto di più della semplice voglia di guardare avanti; sarà, prima di tutto, un rendersi conto, finalmente, di quanto siamo fragili (la nostra creaturalità, direbbe Karl Rahner*), di chi siamo (un piccolo recesso del mondo dove vive meno dell’1% della popolazione del globo, con punti di forza e di debolezza in fondo non tanto diversi da quelli delle altre), dove siamo (un mondo vasto ed interdipendente, un meraviglioso intreccio di umanità che si è venuta legando vicendevolmente in mille modi), e di dove possiamo andare, se scegliamo di fare da soli o, invece, insieme; se chiusi nelle valli che il virus ha varcato senza averne il passaporto o, invece, pur nella diversità delle culture,  nel vasto universo delle comunità umane.
Certo, fra questo livello (quasi filosofico) di palingenesi e quello terra-terra delle tante cose che (forse) abbiamo appreso (stare in fila ordinatamente, non sbaciucchiarsi ogni volta che ci si vede, usare la tecnologia per scopi anche diversi da quelli più banali, etc), corre tutta una vasta corrente di ansie palingenetiche che investono proprio  il nostro vicino modo di stare insieme, direi la nostra dimensione politica, nell’ambito nostro proprio (cioè l’Europa) e in quello locale (l’Italia). Sono convinto (perché in questo piccolo luogo posso dire di conoscere tutti i miei lettori, uno per uno) che ciascuno di noi avrebbe una lunga lista di piccole e grandi palingenesi “politiche” in cui sperare (la mia lista sarebbe troppo lunga per contenerla in un post!)
Ma sono anche convinto che nessuna di esse si realizzerà veramente se i tristi mestatori di discordie e di rancori, i maneggioni di opinioni, i pescatori nel torbido, gli intorbidatori di acque, di cui parlavamo nel post di qualche giorno fa, non perderanno per sempre il loro pabulum (che poi è in mezzo a noi).
L’ amanita phalloides, che cresce in estate-autunnoun po' in tutta Italia, soprattutto sotto le querce ed i castagni nei boschi frondosi, non di rado anche sugli argini alberati, limitanti prati e terreni coltivati, è il fungo velenoso che causa la stragrande maggioranza degli avvelenamenti con esito mortale in Europa (cito da Wikipedia, non sono un esperto di micologia ma forse, di questo nostro paese, presumo di conoscere i prati e i terreni coltivati, ancorché ora un po' avvizziti). 
Roma, 4 aprile 2020

(*) Visto che domani comincia la Settimana Santa, consiglio ai lettori non laici di farsi accompagnare, nella solitudine senza riti, dalla lettura di un libro (Settimana santa, Queriniana,1973) che Karl Rahner ha scritto insieme a Joseph Ratzinger; e scusate se è poco.