sabato 4 aprile 2020

Speranze nel lazzaretto

La palingenesi e le amanitae
(di Felice Celato)
Sarà la primavera (la luce da sempre giova al mio umore, anche in tempi bui), sarà l’influenza dell’evidente rallentamento dei tassi di crescita dei contagiati e dei morti, sarà l’indomita propensione umana verso la speranza (anche intra-mondana); fatto sta che mi sono avventurato nel considerare l’ansia di palingenesi che pervade molti di noi. Non sono fra quelli che si lasciano suggestionare dagli slogan (anche quelli più nobili) dell’andrà tutto bene (per qualche verso irrispettosi ove si consideri il death toll di questi giorni di peste); e non credo proprio che andrà tutto bene, specie quando considero l’emergenza (quella vera, finanziaria ed economica) che è ormai alle viste anche dei più miopi. Eppure mi pare che una qualche ragione la possano avere quelli che intravvedono, nello shock, un germe di nuova vita dopo la peste, una nuova vita che rigeneri gli animal spirits, la carica vitale che – perbacco! – non può essere morta in un popolo che si ritiene – anche a ragione – così vitale come noi Italiani; e che trasformi anche alcuni nostri emendabilissimi modi di guardare a noi stessi, agli altri ed al mondo.
In fondo – scriveva il Censis nel suo ultimo Rapporto, quando (dicembre 2019) una crisi del genere di quella che ci ha investito non era nemmeno immaginabile – la consapevolezza che la sfiducia sembra prevalere sulla speranza, che lo spirito di adattamento inerziale non basta più, che il processo di sviluppo sociale si è interrotto, che la politica ha fallito, non è abbastanza per offuscare lo sguardo e il bisogno di reagire e guardare avanti che la società esprime: e forse questo shock che ci pervade (e ancora ci attende) può stimolare il bisogno di reagire e guardare avanti ancora più in profondo di quanto non facesse, sul finire del 2019, l’orizzonte crepuscolare di declino che, al termine del decennio, già tanto ci affaticava.
Bene: se ciò è vero (o meglio: se ciò si verificherà in concreto; ed io lo  spero ardentemente), allora vorrà dire che l’attesa palingenesi sarà molto di più della semplice voglia di guardare avanti; sarà, prima di tutto, un rendersi conto, finalmente, di quanto siamo fragili (la nostra creaturalità, direbbe Karl Rahner*), di chi siamo (un piccolo recesso del mondo dove vive meno dell’1% della popolazione del globo, con punti di forza e di debolezza in fondo non tanto diversi da quelli delle altre), dove siamo (un mondo vasto ed interdipendente, un meraviglioso intreccio di umanità che si è venuta legando vicendevolmente in mille modi), e di dove possiamo andare, se scegliamo di fare da soli o, invece, insieme; se chiusi nelle valli che il virus ha varcato senza averne il passaporto o, invece, pur nella diversità delle culture,  nel vasto universo delle comunità umane.
Certo, fra questo livello (quasi filosofico) di palingenesi e quello terra-terra delle tante cose che (forse) abbiamo appreso (stare in fila ordinatamente, non sbaciucchiarsi ogni volta che ci si vede, usare la tecnologia per scopi anche diversi da quelli più banali, etc), corre tutta una vasta corrente di ansie palingenetiche che investono proprio  il nostro vicino modo di stare insieme, direi la nostra dimensione politica, nell’ambito nostro proprio (cioè l’Europa) e in quello locale (l’Italia). Sono convinto (perché in questo piccolo luogo posso dire di conoscere tutti i miei lettori, uno per uno) che ciascuno di noi avrebbe una lunga lista di piccole e grandi palingenesi “politiche” in cui sperare (la mia lista sarebbe troppo lunga per contenerla in un post!)
Ma sono anche convinto che nessuna di esse si realizzerà veramente se i tristi mestatori di discordie e di rancori, i maneggioni di opinioni, i pescatori nel torbido, gli intorbidatori di acque, di cui parlavamo nel post di qualche giorno fa, non perderanno per sempre il loro pabulum (che poi è in mezzo a noi).
L’ amanita phalloides, che cresce in estate-autunnoun po' in tutta Italia, soprattutto sotto le querce ed i castagni nei boschi frondosi, non di rado anche sugli argini alberati, limitanti prati e terreni coltivati, è il fungo velenoso che causa la stragrande maggioranza degli avvelenamenti con esito mortale in Europa (cito da Wikipedia, non sono un esperto di micologia ma forse, di questo nostro paese, presumo di conoscere i prati e i terreni coltivati, ancorché ora un po' avvizziti). 
Roma, 4 aprile 2020

(*) Visto che domani comincia la Settimana Santa, consiglio ai lettori non laici di farsi accompagnare, nella solitudine senza riti, dalla lettura di un libro (Settimana santa, Queriniana,1973) che Karl Rahner ha scritto insieme a Joseph Ratzinger; e scusate se è poco.





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