domenica 28 settembre 2014

Stupi-diario dell'ubriaco e dei pappagalli

Le chiavi dell’auto
(di Felice Celato)
Ho letto su uno strano (e per certi aspetti interessante) libro di….filosofia dell’economia (di Deirdre McCloskey: I vizi degli economisti, le virtù della borghesia, IBLibri) una storiella che provo a riraccontare: 
Di notte, sotto un lampione che rischiara il buio, un ubriaco, chino a quattro zampe, cerca affannosamente le chiavi dell’auto che ha perduto.
Passa di lì un amico che gli dice: “Che cosa cerchi?”
“Le chiavi dell’auto” risponde l’ubriaco.
Allora l’amico gli fa: ”Le hai perse qui?”.
“No –risponde l’ubriaco – le ho perse laggiù”
E l’amico: “Allora perché le cerchi qui?”
“Perché laggiù è buio!” risponde l’ubriaco.
Ecco, questa storiella (che nel libro si riferisce a certi tic degli economisti) mi ha fatto pensare al nostro paese di questi tempi, agli affanni che ci diamo per cercare dove è facile cercare ma impossibile trovare, ubriachi di chiacchiere, ormai messi in ginocchio dai nostri eccessi, privi di lucidità e pronti ad illuderci di trovare soluzioni facili (ora c’è anche la “geniale” trovata di alcuni, peraltro rispettabili, intellettuali che stanno per lanciare un referendum contro l’austerity!!), senza più le chiavi dell’auto per ripartire.
Vabbè! Per non pensarci sopra e rattristarmi in una bella giornata di caldo autunno, mi sono messo alla finestra e ho fermato l’attenzione su quella che mi sembra la più bella novità italiana di questi tempi: i pappagalli. Da diversi mesi hanno preso a sfrecciare nei cieli romani dei coloratissimi e garruli pappagalli che – non so perché – mi mettono allegria: in fondo eravamo abituati, qui a Roma, ad uccelli in bianco e nero: gabbiani bianchi, piccioni grigi e cornacchie nere. Ora abbiamo anche i pappagalli verdi e gialli! Dicono le cronache che non sono di quelli parlanti. Meno male, non ne sentivamo il bisogno.

Roma 28 settembre 2014

domenica 21 settembre 2014

Esuli ed esili pensieri d'autunno

“La mentalità di questo secolo”
(di Felice Celato)
"Non conformatevi alla mentalità di questo secolo": da qualche tempo vado rimuginando questo monito di San Paolo (Rm, 12, 2) che, prendendo le mosse dalla “novità” spirituale del Cristianesimo, acquisisce tuttavia – così mi pare – un’attualità perenne ed una straordinaria portata intellettuale ed esistenziale, soprattutto oggi, nell'età dei media omogeneizzanti e delle grandi masse che si pretendono “informate” e che vogliono essere “à la page”, ponendoci, in qualche modo, in drammatica tensione interiore con tutto ciò che ci circonda e ci tenta con le malìe dell'assimilazione culturale e le trappole del pensiero aggregato.
[Mi è tornato in mente –chissà perché proprio stamane – mentre scorrevo la quotidiana razione di parole che la “mentalità di questo secolo” genera “in automatico”, come per default, anche quando solo si narra qualcosa, per lievitare leggera fra le teste degli uomini “informati” o per adattarne i sensi al tempo che – così pare – cambia....sicuramente in meglio.]
Mantenersi in contrasto con la mentalità dominante è un esercizio umanamente difficile, anzitutto perché solitario e "impopolare"; ma poi anche metodologicamente difficile: come si fa a non conformarsi alla mentalità di questo secolo senza risultare fuori del tempo, fuori del coro, in qualche modo stonati, fuori del  "mondo" come lo sarebbe un anacoreta che però vive nel mondo? Come si fa, appunto, ad essere fuori ma da dentro, cioè da dove siamo fisicamente, temporalmente, esistenzialmente?
Diciamo che, forse, anzitutto occorre avere nella mente, nell'anima e nel cuore un altro mondo, un altro  "secolo" , un altrove, un punto di riferimento estraneo a questo mondo, "secolo", tempo; e questo già non è facile, anche se può molto aiutare aver almeno maturato una ferma concezione dell'uomo e della vita.
E poi occorre saper coltivare assiduamente un sano distacco da ciò che è di questo mondo, di questo "secolo", di questo tempo: un distacco non fatto necessariamente di contemptus mundi ma sicuramente di cosciente alteritá, di non appartenenza (essere nel mondo senza essere del mondo, direbbe San Giovanni), direi di vera libertà dello spirito (e della mente).
La coltivazione di questo distacco è un esercizio che si può proporre a noi stessi quotidianamente, ri-leggendo ogni manifestazione di questo mondo ormai tanto rumoroso nella logica dell'alterità, del sentirsi ad un tempo contemporaneo ma non omogeneo, non "normalizzato", come i cristiani della lettera a Diogneto che "vivono nella loro patria come forestieri, partecipando a tutto come cittadini e da tutto distaccati come stranieri ".
Poi, per carità, dattorno tutto continuerà a fluttuare come sempre, tutto ci verrà presentato come ovvio, scontato, indiscutibile, politically correct, perché la nebbia del “secolo” ottunde ogni discrepanza. Ma il monito di san Paolo – ne sono certo – continuerà a ronzare nella testa di coloro che non si assoggettano al pensiero aggregato e alla futilità del suo argomentare; e per loro sarà, magari, una guida critica che preserva dall’omologazione e allontana dalla banalità.

Roma, 21 settembre 2014, arriva l’autunno.

domenica 14 settembre 2014

Angoscia

Debito pubblico e credito pubblico
(di Felice Celato)
C’è, sul futuro del nostro paese, un fardello più grave del suo Debito Pubblico? Forse sì, ed è il suo Credito Pubblico.
Mi spiego meglio perché i due termini sono qui usati in senso vagamente diverso. Che cosa intendo, qui, per Credito Pubblico? Intendo il credito di cui gode (o dovrebbe godere) uno stato (meglio ancora: una società) presso i suoi cittadini. E qui siamo messi male, molto male, forse peggio che col debito pubblico.
Proviamo a ragionarci sopra. Possiamo dire che i cittadini Italiani si fidino del loro Stato, della loro società? Io credo di no. E provo ad elencare quelle che a me sembrano le ragioni fondanti di tale sfiducia: non ostanti decenni di cultura statalista (che ha prodotto come frutto "accessorio" gran parte del nostro debito pubblico), gli Italiani hanno maturato – per certi aspetti paradossalmente – l’intima convinzione che del loro stato e della loro società non si debbano fidare. Tralascio di esemplificare partendo dall’”appalto della gestione sociale” nelle vaste aeree dominate dalla criminalità organizzata e vengo ad un’ipotetica Italia media e sana: gli Italiani diffidano dello Stato perché questo viene costantemente meno alla sua propria parola (livello ed oggetto della tassazione, livello delle pensioni, certezza e costanza del diritto, investimenti pubblici e relativi pagamenti? Fate voi, gli esempi non mancano!), per la sua invadenza spesso arrogante, per l’inconcludenza dei suoi processi decisionali ed esecutivi (leggi complicate, incomprensibili, spesso mancanti di norme applicative, etc.); ed anche per conclamate pubbliche ruberie. Ma gli Italiani ancor meno si fidano dell’Europa, in parte per la sterilità di questa, in parte per la propaganda anti-europea messa in campo spesso proprio da uomini politici provinciali e incapaci. Ed infine, forse, gli Italiani non si fidano nemmeno della loro societas, della propria classe dirigente, in parte impreparata, in parte disonesta, in parte oggetto di denigrazione sistematica.
Ora, nel contesto di queste valutazioni (che non considero affatto sempre e completamente fondate), come sarebbe possibile, anche al più abile degli uomini di Stato, “raddrizzare la barca” mentre, per di più, questa imbarca acqua? Per intenderci meglio: mentre proclama di voler mantenere i propri impegni, di contenere e razionalizzare la spesa, ma ogni giorno vede lievitare il proprio debito?
Il Debito Pubblico eccessivo (ciò che dell’Italia più preoccupa nel mondo ed in Europa) non è una malattia, ma semplicemente un sintomo, come lo sarebbe la febbre alta in un uomo; ed esso non si misura in termini assoluti ma in termini relativi, cioè rispetto alla ricchezza prodotta ogni anno (il famoso PIL, Prodotto Interno Lordo) e teoricamente utilizzabile per estinguere, sia pure nel tempo, le obbligazioni di rimborso assunte verso i creditori.
Se non siamo capaci di contenere e/o ridurre il debito pubblico (cosa tutt’altro che facile, intendiamoci) dovremmo almeno tentare di far crescere la dimensione cui si raffronta, cioè il PIL (è “la politica del denominatore”, di cui parlava Monti qualche anno fa). Ma per aumentare il PIL occorrono tante cose e, prima di tutte, il credito pubblico nell’accezione di cui sopra: senza fiducia nello stato, nella nostra societas, in noi stessi e nel nostro futuro, anche questo risulta un obbiettivo al di là della nostra portata (del nostro reach, come dicono gli americani). Purtroppo, in carenza di tale fondamentale virtù civica (la fiducia, la capacità di avere fiducia in noi stessi; un elemento sociologico ed antropologico, questo!) e quindi in presenza di un PIL stagnante, lo Stato è costretto ad agire sull’altro fronte (quello della riduzione del numeratore, cioè del Debito Pubblico) e quindi a porre in essere misure che non potranno che accentuare la diffidenza che i cittadini hanno nei suoi confronti (cioè fare buona parte di quelle cose che hanno fondato il mistrust, la sfiducia, dei cittadini verso lo Stato stesso!).
In questo loop, sta la ragione della mia angosciata preoccupazione e, ad un tempo, la mia disperata attesa che qualcosa infranga il circolo vizioso di cui siamo prigionieri. E – ma qui, come in tante altre cose e come è forse proprio dell’età, mi ripeto – se provassimo a dire agli Italiani la verità ed a scambiarci il reciproco perdono? Programma vasto, direbbe De Gaulle; e sicuramente politicamente molto rischioso. Ma non è più rischioso continuare a parlarci con reciproci inganni, slogan, trasferimenti vocali di responsabilità? Come diceva Abramo Lincoln, “si può ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non si può ingannare tutti per sempre”.

Roma, 14 settembre 2014

martedì 9 settembre 2014

Renzi e Napoleone

Un “generale” smart and lucky
(di Felice Celato)
Credo che non possano esserci dubbi sul fatto che il nostro Presidente del Consiglio, oltreché una persona molto brillante (smart), sia anche molto fortunato (lucky).
E, come – pare  – insegnava Napoleone, “i generali è bene che siano intelligenti ma soprattutto è importante che siano fortunati”.
Ora – qualcuno potrebbe domandare – in che consistono  le “fortune” del “generale” Renzi?
Provo ad elencarle, tralasciando quella della sua straordinaria popolarità che – ovviamente – si deve più alla sua abilità (alla sua smartness) che non alla sua fortuna (luck):
  • il dollaro ha ripreso ad apprezzarsi sull’euro (il che vuol dire esportazioni più facili); persino il Brent è tornato sotto i 100 $ al barile;
  • il credito ha raggiunto livelli di costo estremamente bassi;
  • conseguentemente, gli spreads si sono appiattiti;
  • ancora la BCE si appresta ad iniettare ulteriore liquidità sui mercati, tramite l’annunciato acquisto di ABS, che aiutano anche a “ripulire” gli attivi bancari e quindi a riattivare il credito.

Esistono, cioè, sul mercato finanziario condizioni estremamente favorevoli per un paese fortemente indebitato, buon esportatore e con qualità del credito deteriorato dalla crisi industriale.
Per il “generale” Renzi – paradossalmente – è anche una fortuna che la congiuntura internazionale sia così complessa e difficile per i paesi occidentali che una attiva determinazione nell’azione più incisiva (e anche più spregiudicata) è esigenza largamente condivisa ed anzi attesa, addirittura auspicata da tutti, a livello europeo e anche occidentale.
E, dunque, il contesto finanziario e politico in cui il nostro “generale” affronta questo decisivo autunno possono ritenersi “ideali”, in parte per nostra fortuna ed in parte per suo (di Renzi) merito.
Diceva però anche, Napoleone, che la fortuna è donna; se ve la lasciate sfuggire oggi non crediate di ritrovarla domani”.
Ecco perché l’altro giorno dicevamo che questo autunno ci appare decisivo.
Le cose in pentola sono tante (troppe!, dice ruvidamente anche Marchionne): almeno su una di esse occorre una vittoria chiara, non di parole ma di fatti e, soprattutto, di fatti efficaci.
Accantonati, per ora, il progetto privatizzazioni centrali e locali, pendenti la riforma della Pubblica Amministrazione e il famoso job act e diverse altre cose, imminente la ripresa delle battaglie parlamentari sulle riforme costituzionali, il banco di prova sarà la altrettanto conclamata spending review, con le connesse (e secondo me decisive) questioni della destinazione dei risparmi e della direzione (pardon: del verso) dei tagli: orizzontali – come fece “l’odiato” Tremonti – o verticali come – sempre secondo me – sarebbe necessario per cominciare almeno a porre il problema di “riperimetrare” lo stato.
Intendiamoci bene: nulla di semplice, nulla di indolore (ricordiamoci che ad ogni esborso dello Stato corrisponde un incasso per qualcuno), nulla di popolare. Ma, diceva sempre Napoleone, “chi ha paura di essere battuto stia pur certo della sconfitta”.
Vedremo. Tutti abbiamo interesse a che il nostro generale non si lasci sfuggire la fortuna.
Roma, 9 settembre 2014

Stupi-diario giornalistico

Una proposta-scioc
(di Felice Celato)
I giornalisti Italiani si dividono in due categorie: i filo-francofoni e i filo-anglofoni.
Come si riconoscono?
E’ facilissimo: i primi, ogni tre o quattro parole, usano il termine francese choc (immagini-choc, video-choc, proposta-choc, numeri-choc, etc); i secondi, ogni tre o quattro parole, usano il termine shock (immagini-shock, video-shock, proposta-shock, numeri-shock,etc).
E se provassimo, tutti insieme, ad essere un po’ meno banali, meno convenzionali, insomma un po’ meno scioc(chi)?
Roma, 9 settembre 2014