domenica 24 luglio 2022

Una questione di metodo

Supplica ai politici italiani

(di Felice Celato)

Cari Nostri Rappresentanti,

come era fin troppo facile prevedere, avete fatto sì che fosse urgentemente convocato il popolo sovrano, per una – è doveroso sperarlo – illuminante campagna elettorale, al termine della quale verranno tirate le somme per determinare chi (e in quale proporzione) dovrà rappresentare le nostre istanze nel Parlamento che eleggeremo, per governare il Paese nel prossimo (possibile) quinquennio, sicuramente complicato.

Essendomi programmaticamente confessato un elettore costantemente deluso da chi ha votato (vedasi, a lato, la brevissima presentazione di Chi scrive) lasciatemi sperare, nonostante tutto, che questa volta la “maledizione” che pende sulle mie aspettative politiche non debba manifestarsi ancora; e perciò consentitemi di rivolgervi questa (temo inutile) supplica, almeno di metodo.

E' ovviamente necessario che durante la campagna elettorale vengano rappresentate al popolo sovrano le linee di azione di ciascuno dei gruppi che si contendono il potere di rappresentanza; e che, durante questa “rappresentazione”, vengano delineati programmi usualmente composti di una parte “ideologica” (dalla Treccani, ideologianel linguaggio corrente, il complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali o comunque delle finalità che costituiscono il programma di un partito, di un movimento politico, sociale, etc.) e di una parte più specificamente “programmatica”, intesa come il complesso delle concrete azioni destinate ad “incarnare” le finalità che si intendono perseguire.

Bene. Non ho suppliche da rivolgervi per quanto attiene allo sciorinamento delle vostre ideologie (come sopra intese), diverse delle quali degne del massimo rispetto e della massima attenzione da parte del popolo sovrano: i presupposti teorici e i fini ideali sono sempre ricchi di suggestioni. Per la parte “programmatica”, però, consentitemi (come semplice elettore, in eterna ricerca di una non-delusione) di rivolgervi una supplica. 

Come ho già inteso dalle prime e pronte enunciazioni di molti di voi, la parte “programmatica” delle vostre azioni è fatta in larga misura da promesse di spesa (sociale, assistenziale, pensionistica, etc); e su queste intenderei formularvi una proposta di metodo, intesa ad offrire al popolo sovrano un affidabile criterio di giudizio.

Una spesa, come è fin troppo ovvio, comporta di per sé un fabbisogno finanziario, e, quindi, a fronte di esso, la necessità di almeno individuare le fonti di copertura previste; per esempio, attingendo dal linguaggio di moda di questi tempi: se programmo di, chessò, erogare un nuovo bonus per fronteggiare un bisogno avvertito come meritevole di protezione, dovrò dire come intendo finanziare questo bonus. 

[Finanziare, significa, appunto, munirsi delle risorse monetarie che “coprano” il fabbisogno di cassa che ogni nuova spesa comporta, per tutto il tempo necessario a che l’erogazione promessa generi essa stessa le risorse per “ripagarsi” (ovviamente al netto degli oneri finanziari che nel frattempo matureranno). La finanza in fondo non è che un ponte sospeso sul fiume del tempo, fra il momento della spesa e il momento del suo benefico effetto; senza del quale la finanza è solo erogazione a fondo perduto (ricordate la distinzione fra debito buono e debito cattivo, di Draghiana memoria?). Certo, si potrebbe argomentare che un nuovo bonus genererà una maggiore capacità di spesa del cittadino beneficiario, e, quindi, nuova domanda di beni e servizi produttivi, tale da chiamare una nuova o più ampia offerta, e quindi generare, in definitiva, nuova ricchezza (da tassare a suo tempo). Ma questa “dotta” argomentazione (che spesso nemmeno si usa) deve pur fare i conti con il volume di debito, prima e dopo la nuova erogazione; e noi da molti anni ci siamo avvezzati a non farlo!] 

Eccomi dunque alla (temo inutile) supplica: ove mai decideste (ed ho la sensazione che lo farete con grande larghezza) di proporre azioni che comportino nuova spesa, vi prego, dite anche come intendete finanziarla, nel senso detto nell’inciso fra parentesi quadre, indicando cioè se la nuova spesa sarà coperta da: (a) nuove tasse; (b) nuovo debito (da rimborsare nel tempo, se si trovano i prestatori, a costi accettabili); (c) cancellazione di altre spese che vi appaiano non più prioritarie. In quest’ultimo caso, vi prego, però, indicate nominalmente quali spese intendereste cancellare per finanziare la nuova erogazione.

Come vedete, questa che oso proporvi è solo una banale questione di metodo, del resto ben noto ad ogni capofamiglia: quest’anno andiamo in vacanza alla Maldive coi soldi che avremmo destinato, chessò, all’acquisto di una nuova vettura; oppure facendoceli prestare da qualcuno, (se ci riusciamo e a costi accettabili); oppure (molto meglio) aumentando la quantità di ore straordinarie da lavorare nel prossimo anno, in modo da guadagnare mezzi di pagamento per restituire quanto eventualmente ci fosse stato prestato da qualcuno per mandarci alla Maldive. 

Credetemi, cari nostri potenziali Rappresentanti nella prossima legislatura: alla fine di questa campagna elettorale, l’adozione di questo semplice metodo non potrà che accrescere la sensazione di serietà che lodevolmente cercherete di suscitare in mezzo al popolo sovrano. Che di serietà dei Rappresentanti ha estremo bisogno, come anche recentemente dimostrato.

Roma 24 luglio 2022

 

 

lunedì 18 luglio 2022

La metafora dell'uovo e del pulcino

In margine alla crisi

(di Felice Celato)

Narrano, gli aneddoti, che il sommo Padre Dante amasse particolarmente l’uovo, che riteneva – così pare – quanto di meglio si potesse gustare ai suoi tempi, nella sua Firenze.

Come al solito, è difficile dare torto al Sommo Poeta: tutti (o quasi tutti) siamo stati nutriti, fin dalla più tenera età, con uova: dal classico “uovo sbattuto” fino ai classicissimi “uovo al tegamino” e alle frittatine variamente aromatizzate.

Nella storia immortale dell’uovo, c’è poi il famoso uovo che Colombo utilizzò per dimostrare le possibilità di nuove soluzioni per problemi ritenuti irrisolvibili, per poter concludere che tutti avrebbero potuto farlo (il suo famoso “viaggio verso le Indie” attraverso l’Atlantico) ma solo lui l’aveva fatto. 

Poi c’è il famoso rompicapo se sia nato prima l’uovo o la gallina, un rompicapo che, quando tenevo dei piccoli corsi aziendali di “finanza per non addetti” (di solito ingegneri), io ponevo a base della matematica finanziaria, intesa come strumento per misurare l’effetto del tempo sui valori (ma di questo ho già parlato in un post del 13 giugno 2017  intitolato Net present value, che chi vuole si può rileggere).

Ma l’uovo, non bisogna dimenticarlo, prima di essere quell’ottimo alimento dell’uomo di cui dicevo all’inizio, è anche un piccolo miracolo biologico: fecondato dal gallo, diventa il protetto abitacolo del futuro pulcino (prefigurazione del futuro pollo, pure di culinaria memoria), al quale fornisce per una ventina di giorni il prezioso nutrimento del tuorlo fino alla schiusa dell’uovo stesso, con l’emersione del pulcino alla sua (prevedibilmente) non lunga vita nel pollaio.

Sono certo che già molti dei miei pazienti lettori si domandino ove mai possa trovarsi un collegamento fra l’uovo, il pulcino e  questa crisi di governo (o di governabilità?) cui assistiamo attoniti in queste calde giornate di luglio.

Il fatto è che mi ha molto colpito – per la sua pretesa di omnicomprensività (?) – un enunciato di un esponente dell’opposizione  (o forse della italianissima opposizione endo-governativa; non lo cito con precisione solo perché non lo ricordo) che sintetizzo con parole mie, per come l’ho capito: il governo cade (e quindi la parola va data agli Italiani, col voto subito!) perché non ha saputo dare agli Italiani le risposte che questi si attendevano.

Ho provato a ragionarci sopra, cercando anch’io una prospettiva… omnicomprensiva: esiste, forse, una Domanda (la domanda delle domande!) che riassume in sé le domande cui gli Italiani, secondo la vulgata dei fautori della crisi, non hanno ricevuto adeguata risposta dall’attività di governo, in questo difficilissimo periodo di concomitanti pandemie, guerra, inflazione, crisi energetica, perturbazioni geo-politiche, minacce finanziarie, problematiche ambientali, etc.?

Forse, volendo esagerare nell’omnicomprensività, la Domanda è una sola: gli Italiani vogliono essere protetti da tutto ciò che c’è intorno (e in mezzo) a loro, vogliono vivere nel loro ovetto continuando a nutrirsi del tuorlo (fuori di metafora: la spesa pubblica) mentre il pollaio è scosso dalla tempesta: tutto ciò che accade fuori dell’uovo (guerra, inflazione, crisi energetica, etc) non li deve sfiorare (si potrebbe dire: non deve porgli problemi), non può e non deve incidere sul rapporto alimentare fra il pulcinetto ed il tuorlo di cui si nutre. 

E  dunque il governo ha il sacrosanto dovere di erogare con abbondanza e continuità ogni possibile rimedio per le turbative meta-oviche, sia, tale rimedio, un bonus, un superbonus, un ristoro, un sostegno, un supporto, un indennizzo, uno sgravio fiscale, un contributo una tantum o permanente, una messe di assunzioni pubbliche, etc. Dove ne prenderà le risorse, non sono fatti che interessino al pulcino.

Credo che il presente governo (oltre ad aver fatto molte cose difficili e fruttuose per il restauro della credibilità internazionale del nostro povero Paese) non abbia nemmeno lesinato mezzi per tenere il pulcino, per quanto possibile, al riparo da turbative meta-oviche; ma evidentemente non basta: si può fare di più, anzi si deve fare di più! E dunque, suvvia!, si faccia tosto un nuovo governo ( previa consultazione del saggio popolo sovrano che già tanta buona prova di sé ha dato eleggendo queste rappresentanze politiche) che rigeneri il tuorlo e ci preservi dallo shock della schiusa, quando il pulcino ancora umido dovrà pur cominciare a fare i suoi passi nel pollaio. Per un po' magari ci sarà qualche gallina che provvederà il timido beccuccio di vermetti o di altro cibo adatto alla tenera creatura. Ma il guscio non tornerà più a proteggere la progressiva suzione del tuorlo. E allora il pulcino dovrà adattarsi a convivere nel pollaio. E il nuovo Governo – forte delle tante capacità che il popolo saggio saprà attivare alla luce di una illuminante campagna elettorale – potrà senz’altro insegnarglielo meglio dell’attuale. Dunque: al voto! al voto subito! Senza aspettare le naturali scadenze!

Roma, 18 luglio 2022

 

 

 

martedì 12 luglio 2022

Questa estate nervosa

Guardando il telegiornale

(di Felice Celato)

Ben più di trenta anni fa, Ennio Flaiano era solito dire che “tra trenta anni, l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi ma come l’avrà fatta la televisione”.

Se si guarda al costume del nostro Paese non si può negare che la profezia di Flaiano si sia negli anni largamente avverata; certo, poi l’erosione qualitativa dell’auto-percezione degli Italiani, col declinare della Tv come dominante “scuola” di costume, ha trovato, nello straordinario dilagare della rete e dei social media, un potente frullatore, in grado di alimentare – a base di tweets e di opinionismi stizzosi - quella palude collettiva nella quale si annega o si nasconde la solitudine tormentosa della coscienza (copyright: Natalino Irti, su Il Sole 24ore del 10 luglio u.s.). Ma la televisione e la sua informazione soprattutto restano pur sempre il piatto forte della dieta mediatica degli Italiani.

Queste tristi considerazioni mi sono tornate in mente ieri, mentre - complice una strana estate di tensioni, per me anche di nuova natura - ho passato una solitaria mezz’ora davanti ad un telegiornale (anzi al telegiornale principe, quello  di RAI-Uno delle ore 20!), cosa per me ormai desueta, per ragioni di tutela del mio umore (già gravemente compromesso).

A seguirne l’impaginazione (e la proporzione fra la durata dei servizi) si sarebbe detto che il nostro paese viva in una bolla di futilità, fatta di memorie e di emozioni sproporzionate, di patinate distrazioni mondane, di canore fatuità, contrappuntate – per la completezza dell’informazione, perbacco! – da burocratici racconti di nano-machie parlamentari su problemi che non si possono negare ma che si esorcizzano sottolineando provvide attenzioni, mediante criptiche citazioni di nuovi “sostegni” (da tutti divergentemente voluti) al declinare della nostra – già non brillante – economia.

Vagano, nell’aria mefitica del nostro Paese, “cosucce” come un’ulteriore prova di cachistocrazia rappresentativa (con tanto di allarmante visita “al Colle” del nostro Presidente del Consiglio), una guerra a mille km dal nostro confine, minacce serie di una crisi energetica fra qualche mese, inflazione in ascesa, ulteriori depressioni reddituali, evoluzioni pandemiche, etc. Eppure il telegiornalone nazional-popolare “apre” – con tanto di Inno di Mameli - sul 40° anniversario della vittoria nel mondiale di calcio del 1982 e con le consunte sue immagini di esaltazione collettiva; dopo una non fugace intervista ad uno degli “eroi” (Cabrini) di quell’epico 11 luglio del 1982, divaga poi, con ricchezza di immagini nostalgiche, sulla notizia-bomba del giorno (la conferma del divorzio imminente della coppia Totti-Blasi) e, in piena apoteosi del nulla, annuncia, con tanto di orgoglio aziendale, che l’edizione del 2023 del Festival di San Remo sarà presentata – oltre che da Amadeus (per l’occasione, in studio, già in smoking) – nientepopodimeno che da Gianni Morandi, anche lui bardato da grande festa ma avvolto da una nube di citazioni canore di tempi remoti. Un pensoso cammeo – in omaggio al culto della lacrimuccia e perché non si dica che la televisione non è attenta ai più gravi problemi sociali – è poi dedicato al pianto di un bambino per l’abbandono, da parte della madre, del cane di famiglia (cosa ovviamente deplorevole ma non più, per esempio, delle condizioni in cui vivono i migranti stipati come bestie a Lampedusa; che però sono un tema divisivo!).

Ecco qua, il polpettone è pronto! Agli Italiani, il telegiornale più seguito (cfr. Censis 2021) serve il piatto di una fatua inconsapevolezza, condito con “preziose” spezie che sovrastano il povero sapore della carne macinata ma che evocano una principesca tavola imbandita.

Bene: non me la prendo con la Rai (l’impaginazione di una sera può anche riuscire male) ed io che non “frequento” l’informazione televisiva posso anche essere stato semplicemente sfortunato; ma, memore della profezia di Flaiano di cui dicevo all’inizio, mi domando: è ancora così (l’Italia è quella “fatta” dalla televisione) o si è chiuso l’anello ed è l’Italia che “fa” la sua televisione, che domanda il polpettone, per la voglia soprattutto di inebrianti spezie preziose?

Roma 12 luglio 2022

 

 

 

sabato 2 luglio 2022

In margine a 9 buche

 Argomenti “difficili”

(di Felice Celato)

In una società autenticamente civile non dovrebbero sussistere argomenti intrinsecamente pericolosi, capaci cioè di attivare metaforiche lapidazioni e sdegni ingiuriosi. Ma tant’è, e oramai ci siamo abituati a tollerare le intolleranze più diffuse, al punto che, di certi argomenti, le persone meno amanti delle risse (anche solo verbali) preferiscono non parlare apertamente.  

Per non farmi mancare niente in questa nervosa estate italiana, sfidiamo questa prudente attenzione e, certo della tolleranza degli amici cui mi rivolgo da queste colonnine, provo ad allineare qui di seguito il mio punto di vista di cattolico & liberale sul tema dell’aborto, improvvisamente tornato di moda anche da noi per le note decisioni transatlantiche. Confesso che l’ispirazione di questa “sfida” mi è nata casualmente, durante un rapido pranzetto fra amici reduci dalle classiche 9 buche da golfisti di scarso valore, quando una nemmeno tanto giovane golf-mate ha fatto sparire l’accenno di qualche commento sul tema dicendo che non le sembrava il caso di discuterne con me, forse presumendo una mia radicale avversità di cattolico integralista.

Partiamo dalla mia posizione di cattolico: come cattolico coltivo gelosamente una concezione creaturale dell’uomo; derivata dalla fede e dalle sue implicazioni ontologiche e morali come sono state nel tempo declinate, sulla base della Rivelazione, dalla Chiesa cattolica di cui sono membro (magari indegno ma grato e convinto). Proprio per questa sua derivazione, tale concezione dell’uomo non può – anzi: non deve! – in alcun modo essere imposta ad altri che non la condividano, anche perché, la fede – da cui trae origine – è un fatto personale e comunitario che non si partecipa attraverso imposizioni. Che tale antropologia cattolica possa e debba coesistere con altre anche radicalmente diverse mi pare pacifico, sia come cattolico che come liberale. [NB: per la verità mi parrebbe altrettanto pacifico – mi pare anzi: doveroso pretendere – che essa possa essere liberamente proclamabile ed argomentabile senza suscitare le metaforiche lapidazioni di cui dicevamo all’inizio o l’ingiuria “infamante” di clericalismo].

Veniamo ora al punto di vista liberale, e quindi politico e sociologico (o per meglio dire: di politica del diritto): ad un liberale autentico e convinto quale mi ritengo ripugna l’idea che la volontà di una parte, quand’anche fosse maggioritaria (e certamente sul tema siamo lontani, assai lontani, da questa situazione!) possa imporre a tutta la società una determinata concezione dell’uomo e della sua libertà comportamentale (fatti salvi, ovviamente, i casi in cui tale libertà comportamentale non si estrinsechi nella inaccettabile violazione delle altrui libertà). E dunque, dal punto di vista liberale, nel caso di specie, secondo me, non può negarsi il diritto/dovere dello Stato di disciplinare liberalmente il ricorso a pratiche abortive, facendo salve forme e condizioni sulle quali non intendo qui prendere alcuna posizione (fra l’altro, non conosco a sufficienza la materia).

Nella semplificazione del ragionamento cui ci siamo abituati quando parliamo per slogan, posso quindi dire senza esitazione, come cattolico & liberale, di essere “favorevole alla legge sull’aborto” (sarebbe più esatto dire “favorevole ad una disciplina organica e liberale dell’aborto”, peraltro inclusiva del diritto all’obiezione di coscienza dei sanitari che sono chiamati a praticarlo; ma – ripeto – non è questo il tema di questa nota); e fermo restando, ovviamente, l’obbligo morale del cattolico di non praticarlo.

Bene: messo da parte il sospetto di integralismo clericale (che proprio non mi sfiora, qualunque cosa questo sintagma voglia veramente dire!), oso però porre una domanda: siamo sicuri che l’assoluta libertà di disporre delle altrui potenzialità vitali [si noti che non dico, come potrei da cattolico, dell’altrui vita prenatale] costituisca un sano innervamento delle nostre civiltà? Che sia, cioè, un patrimonio culturale (una “conquista”, si direbbe su molti giornali) da lasciare in eredità ai new comers del nostro mondo occidentale, perché il dominio della madre sul feto è un bene da tutelare più delle potenzialità vitali del feto stesso? Che la cultura della altrui "non-nascita" in cambio di un libero disegno della propria vita sia un’irrinunciabile ed ingovernabile acquisizione “della donna”? E’ o no – comunque voglia rispondersi alle domande precedenti – lecito dubitarne, dal punto di vista culturale ed antropologico (qualunque sia il concetto che si possa avere della natura umana)?

Ecco: a me pare che questo dubbio debba essere condiviso anche da chi i dubbi non li ama perché confondono le idee, soprattutto a chi ne ha poche e convenzionali.

Roma  2 luglio 2022

 

 

 

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