sabato 2 luglio 2022

In margine a 9 buche

 Argomenti “difficili”

(di Felice Celato)

In una società autenticamente civile non dovrebbero sussistere argomenti intrinsecamente pericolosi, capaci cioè di attivare metaforiche lapidazioni e sdegni ingiuriosi. Ma tant’è, e oramai ci siamo abituati a tollerare le intolleranze più diffuse, al punto che, di certi argomenti, le persone meno amanti delle risse (anche solo verbali) preferiscono non parlare apertamente.  

Per non farmi mancare niente in questa nervosa estate italiana, sfidiamo questa prudente attenzione e, certo della tolleranza degli amici cui mi rivolgo da queste colonnine, provo ad allineare qui di seguito il mio punto di vista di cattolico & liberale sul tema dell’aborto, improvvisamente tornato di moda anche da noi per le note decisioni transatlantiche. Confesso che l’ispirazione di questa “sfida” mi è nata casualmente, durante un rapido pranzetto fra amici reduci dalle classiche 9 buche da golfisti di scarso valore, quando una nemmeno tanto giovane golf-mate ha fatto sparire l’accenno di qualche commento sul tema dicendo che non le sembrava il caso di discuterne con me, forse presumendo una mia radicale avversità di cattolico integralista.

Partiamo dalla mia posizione di cattolico: come cattolico coltivo gelosamente una concezione creaturale dell’uomo; derivata dalla fede e dalle sue implicazioni ontologiche e morali come sono state nel tempo declinate, sulla base della Rivelazione, dalla Chiesa cattolica di cui sono membro (magari indegno ma grato e convinto). Proprio per questa sua derivazione, tale concezione dell’uomo non può – anzi: non deve! – in alcun modo essere imposta ad altri che non la condividano, anche perché, la fede – da cui trae origine – è un fatto personale e comunitario che non si partecipa attraverso imposizioni. Che tale antropologia cattolica possa e debba coesistere con altre anche radicalmente diverse mi pare pacifico, sia come cattolico che come liberale. [NB: per la verità mi parrebbe altrettanto pacifico – mi pare anzi: doveroso pretendere – che essa possa essere liberamente proclamabile ed argomentabile senza suscitare le metaforiche lapidazioni di cui dicevamo all’inizio o l’ingiuria “infamante” di clericalismo].

Veniamo ora al punto di vista liberale, e quindi politico e sociologico (o per meglio dire: di politica del diritto): ad un liberale autentico e convinto quale mi ritengo ripugna l’idea che la volontà di una parte, quand’anche fosse maggioritaria (e certamente sul tema siamo lontani, assai lontani, da questa situazione!) possa imporre a tutta la società una determinata concezione dell’uomo e della sua libertà comportamentale (fatti salvi, ovviamente, i casi in cui tale libertà comportamentale non si estrinsechi nella inaccettabile violazione delle altrui libertà). E dunque, dal punto di vista liberale, nel caso di specie, secondo me, non può negarsi il diritto/dovere dello Stato di disciplinare liberalmente il ricorso a pratiche abortive, facendo salve forme e condizioni sulle quali non intendo qui prendere alcuna posizione (fra l’altro, non conosco a sufficienza la materia).

Nella semplificazione del ragionamento cui ci siamo abituati quando parliamo per slogan, posso quindi dire senza esitazione, come cattolico & liberale, di essere “favorevole alla legge sull’aborto” (sarebbe più esatto dire “favorevole ad una disciplina organica e liberale dell’aborto”, peraltro inclusiva del diritto all’obiezione di coscienza dei sanitari che sono chiamati a praticarlo; ma – ripeto – non è questo il tema di questa nota); e fermo restando, ovviamente, l’obbligo morale del cattolico di non praticarlo.

Bene: messo da parte il sospetto di integralismo clericale (che proprio non mi sfiora, qualunque cosa questo sintagma voglia veramente dire!), oso però porre una domanda: siamo sicuri che l’assoluta libertà di disporre delle altrui potenzialità vitali [si noti che non dico, come potrei da cattolico, dell’altrui vita prenatale] costituisca un sano innervamento delle nostre civiltà? Che sia, cioè, un patrimonio culturale (una “conquista”, si direbbe su molti giornali) da lasciare in eredità ai new comers del nostro mondo occidentale, perché il dominio della madre sul feto è un bene da tutelare più delle potenzialità vitali del feto stesso? Che la cultura della altrui "non-nascita" in cambio di un libero disegno della propria vita sia un’irrinunciabile ed ingovernabile acquisizione “della donna”? E’ o no – comunque voglia rispondersi alle domande precedenti – lecito dubitarne, dal punto di vista culturale ed antropologico (qualunque sia il concetto che si possa avere della natura umana)?

Ecco: a me pare che questo dubbio debba essere condiviso anche da chi i dubbi non li ama perché confondono le idee, soprattutto a chi ne ha poche e convenzionali.

Roma  2 luglio 2022

 

 

 

.

 

 

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento