sabato 30 marzo 2024

Pasqua 2024

Auguri trepidanti

(di Felice Celato)

Eccoci qua, nel Sabato Santo, giorno del silenzio di Dio [ma, come scriveva JR in una sua indimenticabile meditazione, noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui, (cfr. post del 16 4 2022, Nel tempo del Sabato Santo)]; eccoci qua – dicevo – ancora una volta  a farci gli auguri della Pasqua di Risurrezione, con la trepidazione che i tempi generano.

Di questa resurrezione, anche e soprattutto, noi abbiamo bisogno per la nostra vita interiore e per la nostra vita collettiva. Certo, la Chiesa  (come scrive Adrien Candiard O.P. nel libro qui già segnalato) per i destini del mondo non ha nulla da offrire. In magazzino ha un unico prodotto: la salvezza, la vita eterna. Se lascio intendere che abbiamo altre cose, allora rischio di ingannare chi mi ascolta…); ma la Resurrezione che ci propone la fede della Chiesa ha una sconfinata dimensione interiore che di per sé sarebbe in grado di cambiare il mondo, se solo tutti ne vivessimo integralmente il senso più profondo. E così non è, a cominciare da noi cristiani, naturalmente.

Ma la resurrezione non può non apparirci, come uomini, anche una istanza civile, in questo tempo di sonno della ragione, che, come illustrava Francisco Goya, genera mostri. Di quelli del presente, non è nemmeno il caso di fare qui un macro-elenco, tanto ci sono evidenti nelle loro più mostruose manifestazioni quotidiane sugli scenari del mondo. 

Allora di quale risurrezione civile andiamo sognando? Svegliarci dal sonno della ragione è, di per sé, una resurrezione civile alla portata anche di chi nella Resurrezione interiore – nel senso della Pasqua cristiana – non crede? O anche questa, per dirla con Roger Scruton, è una forma di ottimismo senza scrupoli?

Beh, io non credo che sia così; noi nel giorno di Pasqua abbiamo il dovere di credere che è possibile svegliarsi al senso della ragione, che, in fondo, ravvicina ciò che l’uomo moderno pretende essere il suo campo alla profonda natura del Dio Cristiano (In principio era il Logos).

E tuttavia non mi sfuggono le enormi difficoltà di depurare questa umana ragione dalle scorie culturali delle storie dei popoli, dalle contraddizioni delle (vere o più spesso false) “ragioni” che si contrappongono l’una all’altra in sanguinose controversie, per modo che esse confliggono nella congiunta negazione più profonda della stessa ragione; assumendo di volta in volta la natura della prepotenza più smaccata e della violenza più spietata, alla quale d’altra parte è doveroso resistere, senza che ciò faccia venir meno l’istanza suprema della ragione  e la necessità di credere in essa come decisiva possibilità.

L’intreccio è inestricabile, me ne rendo benissimo conto; ma non vedo altre strade ragionevoli, diverse da quella di credere in una resurrezione della ragione. Come cristiano, alla luce della Pasqua, non mi resta che rivolgere a Dio, nel giorno che celebra la Resurrezione del Dio fattosi uomo, la preghiera degli apostoli sulla barca nella tempesta, mentre il Maestro dorme: o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi, e gridarti: svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato Santo…non permettere che la tua parola si perda nel grande sciupio di parole di questi tempi. Signore, dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo. Amen.

Roma, 30 marzo 2024, Sabato Santo

domenica 24 marzo 2024

Settimana santa

In compagnia dei teologi

(di Felice Celato)

In questa giornate di fresca primavera, come ogni anno da qualche tempo, mi fa compagnia un piccolo volumetto (appena un’ottantina di pagine) già altre volte qui segnalato e che torno a raccomandare come fosse un vademecum per le meditazioni che noi cattolici ci affidiamo in questo tempo liturgico. Si tratta di una breve raccolta di pensieri di due grandi teologi del nostro secolo (Karl Rahner e Joseph Ratzinger) raccolti dall’editore Queriniana sotto il semplice titolo Settimana santa (2012). E come altre volte, mi piace, anche quest’anno, trarne una lunga citazione di Joseph Ratzinger che mi pare adatta ai tempi selvaggi che viviamo.

Tu pendi dalla croce. Ti ci hanno inchiodato. Non puoi più staccarti da questo palo ritto fra terra e cielo. Le ferite bruciano nel tuo corpo. La corona di spine tormenta il tuo capo. I tuoi occhi sono iniettati di sangue. Le tue mani e i tuoi piedi feriti son come trapassati da un ferro rovente. E la tua anima è un mare di dolore, di desolazione, di disperazione.

I responsabili di tutto questo son qui, ai piedi della tua croce. Neppure si allontanano, per lasciarti almeno morire solo. Anzi, rimangono, ridono, convinti di avere ragione. Lo stato in cui ti trovi ne è la dimostrazione più evidente: la prova che quanto hanno fatto non è che l'adempimento della più santa giustizia, un omaggio dato a Dio, di cui dovrebbero andare orgogliosi. 

Per questo ridono, insultano, bestemmiano. Intanto su di te si abbatte, più spaventosa di tutti i dolori del corpo, la disperazione verso una tale malvagità. Ci sono davvero degli uomini capaci di tale bassezza? C'è ancora tra te e loro un pur minimo punto in comune? Può un uomo torturarne un altro, così, fino alla morte? Straziarlo fino ad ucciderlo, col potere che deriva dalla menzogna, dall'abiezione, dal tradimento, dall'ipocrisia, dalla perfidia, e mantenere ancora le apparenze del diritto, l'aspetto dell'innocente, la posa del giudice imparziale? E Dio permette questo nella sua creazione? E la risata e lo scherno dei nemici possono risuonare, chiari e trionfanti, nel mondo di Dio? O Signore, il nostro cuore si sarebbe già spezzato in una forsennata disperazione. Noi avremmo maledetto i nostri nemici e Dio con loro. Noi avremmo urlato e cercato di strappare, come pazzi, i chiodi per riuscire a stringere ancora una volta il pugno.

Tu invece dici: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Sei incomprensibile, Gesù. C'è ancora, nella tua anima martoriata, terremotata dal dolore, una zolla sulla quale possa fiorire questa parola? Sei proprio incomprensibile. Tu ami i tuoi nemici e li raccomandi al Padre tuo. Tu preghi per loro. Signore! se non fosse bestemmia direi che tu li discolpi con la più inverosimile delle scuse: “Non lo sanno”. Si, invece, che lo sanno: sanno tutto! Ma hanno voluto ignorare tutto. Non c'è cosa che si conosca meglio di quella che si vuole ignorare, nascondendola nel sotterraneo del più segreto cuore. Ma nel tempo stesso la si odia, e perciò le si rifiuta l'accesso alla chiara coscienza. E tu dici che essi non conoscono quello che fanno. Una cosa soltanto certamente non conoscono: il tuo amore per loro, perché quello lo può conoscere solo chi ti ama. Solo l'amore, infatti, permette di comprendere il dono d'amore…. 

Roma 24 marzo 2024, Domenica delle Palme.

 

martedì 12 marzo 2024

Voci dall'Italia

“Ambrosia, e impiccarli”

(di Felice Celato)

Sono (quasi) certo che tutti i lettori di queste colonnine avranno riconosciuto nel titolo di questo post un divertente passo dal capitolo V de’ I promessi sposi del nostro grande Don Lisander (Alessandro Manzoni, ovviamente). Il buon fra’ Cristoforo, nell’intento di difendere i suoi figlioli (Renzo e Lucia), si mette in cammino per affrontare Don Rodrigo, certo solo del provvido sguardo di Dio [Egli v’assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d’ un uomo da nulla come sono io per confondere un…. Vediamo, pensiamo a quel che si possa fare…. Se Dio gli tocca il cuore e dà forza alle mie parole, bene: se no, Egli ci farà trovare qualche altro rimedio.]

Giunto al palazzotto di Don Rodrigo, vi trova – riuniti a rumoroso banchetto –, oltre al padrone di casa, un certo conte Attiliosuo collega di libertinaggioil signor podestà (quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino) e il dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito, e – infine – due convitati oscuri… che non facevano altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale e a cui un altro non contraddicesse.

Inevitabilmente, dato il prestigio di cui godeva Fra Cristoforo anche presso tali personaggi (prestigio morale, si sarebbe detto se il profilo umano dei commensali lo avesse consentito), il buon cappuccino viene invitato al tavolo dei commensali, gli viene offerto del vino; e, inevitabilmente, assiste alla conversazione fra gli allegri commensali che si sfidano su controversie cavalleresche e discussioni politiche [era in corso la guerra di successione per il ducato di Mantova… e so di buon luogo che il Papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto proposizioni… dice il conte Attilio. Così deve essere; la cosa è in regola; sua Santità fa il suo dovere; un Papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha la sua politica, e... dice il podestà], senza dimenticare pomposi brindisi ed elogi del vino [un liquore simile non si trova in tutti i ventidue regni del nostro signore, che Dio guardi] e feroci commenti sulla carestia [non c'è carestia - diceva uno - sono gli incettatori. E i fornai - diceva un altro - che nascondono il grano. Impiccarli! Appunto; impiccarli, senza misericordia. De’ buoni processi – gridava il podestà. Che processi? – gridava più forte il conte Attilio – giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli. Esempi! esempi!  senza esempi non si fa nulla.]

Commenta il buon Don Lisander (che mi perdonerà per lo scempio della sintesi): Chi, passando per una fiera, s’è trovato a goder l’armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l’altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s’immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S’andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com’era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica; sicché le parole che s’udivan più sonore e più frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli.

Finito il ripasso di antiche (ma perenni) letture, vengo al presente; l’ho riletto, questo capitolo V de’ I promessi sposi (come consiglio a tutti di fare), perché la conversazione al banchetto di Don Rodrigo mi è tornata in mente, in questi giorni, leggendo le voci dall’Italia: lo stesso mix di fatuità e sommarietà, la banalità dei “giornalisti”-tifosi di questa o di quell’altra fazione, le contese più o meno cavalleresche, le geo-politiche regionalistiche, etc. 

Sullo sfondo, però, c’è ben altro che la guerra di successione al Ducato di Mantova, purtroppo. E di ambrosia, nemmeno la traccia. Di contemporanei podestà, di conti Attilio dalla facile impiccagione di incettatori, di Azzecca-garbugli in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito e di convitati oscuri che non fanno altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare (magari in favore di telecamera) ogni cosa che dicesse un commensale e a cui un altro non contraddicesse, invece, c’è grande abbondanza.

Roma  12  marzo 2024.