venerdì 28 novembre 2014

In margine ad un convegno

Economia e finanza
(di Felice Celato)
Che l’economia non sia una “scienza” amata è cosa nota: in fondo essa ha l’imperdonabile torto di raccontarci ogni giorno (e per questo la si chiama “la scienza triste”) che i fabbisogni degli uomini sono abbondanti (anzi crescenti)  e i mezzi per soddisfarli scarsi; e noi, invece, preferiremmo sentirci dire che ce n’è abbastanza per fare tutti contenti, magari argomentando che sarebbe necessario e sufficiente distribuire meglio le risorse disponibili; il che, si badi bene, è in gran parte anche vero, in prospettiva statica; ma solo ove non si consideri che la “ricchezza” va – ahinoi! – anche continuamente prodotta e in misura sempre più abbondante e sempre più largamente disponibile (come dimostrano i dati che commentavamo nel post del 6 novembre, Aspettando la bomba d’acqua); e che, perciò, necessita di meccanismi che incentivino, appunto, la sua produzione; senza di che, anche la torta più saggiamente distribuita, si consuma e diviene rapidamente insufficiente per tutti.
Però, per essere stato uno che si è molto occupato, nella sua lunga vita lavorativa, di finanza, trovo ancora più incomprensibile – sul piano concettuale – che attorno proprio alla finanza, in fondo una semplice ancella dell’economia, si addensino continuamente fumi diabolici, quasi come se – non essendosene ben compresa la funzione – si preferisca appunto demonizzarla.
Se non ci fosse la finanza come si potrebbe far sopravvivere durante tutto l’inverno, per fare un esempio rozzo e semplificato, la famiglia di un agricoltore che semina in autunno ma raccoglie solo nell’estate successiva?
La spiegazione che mi sono dato di tale concentrazione di biasimo sulla finanza sta forse nel fatto che, in fondo, la finanza non è nient’altro che – mi si passi l’apparente astrazione – il commercio del tempo, cioè di quella dimensione, essenziale nella vita di tutti i giorni (e anche negli scambi di beni e servizi), in cui siamo totalmente immersi ma che, proprio per questo, non ci appare degna di avere un valore in sé. La finanza infatti, nella sua essenza, rende – attraverso tecniche complicate, talora anche molto complicate – convenzionalmente confrontabili – e quindi scambiabili – beni che, invece, si concretizzano in tempi diversi e quindi sono soggetti a tutti i rischi che il decorso del tempo comporta. Questo commercio di un’entità impalpabile come il tempo rende in qualche modo esoterica la finanza e le sue tecniche, circondando dei fumi del diavolo un’attività che in realtà di diabolico non ha nulla, anzi che è fondamentale perché gli elementi costitutivi di ogni scambio non sono mai  contemporanei (salvo forse nel baratto che però….non si usa più tanto).
E questo vale per l’agricoltore di cui all’esempio rozzo che facevo poco fa ma anche per l’imprenditore che paga ogni mese i suoi operai per il loro lavoro ma incassa il controvalore dei prodotti solo sei mesi dopo, quando saranno stati confezionati e, se tutto va bene, venduti; oppure ordina oggi il petrolio per far girare i suoi impianti ma lo pagherà quando gli verrà consegnato, procurandosi i dollari necessari dei quali, al momento dell’ordine, ignora il cambio; o per il capitalista che, indebitandosi, ha comprato le azioni di una società e vede salire il tasso che deve corrispondere ai suoi creditori; etc., etc., etc..
Bene, solita domanda del lettore perplesso: perché ci fai questo pistolotto noioso?
Perché oggi ho partecipato ad un breve convegno sull’economia e la giustizia (distributiva, non era detto nel titolo ma si sarebbe dovuto)  in cui ho osservato un illustre oratore (del quale qui non occorre fare il nome, visto il biasimo di cui l’ho idealmente coperto) esprimere, anche con adeguata mimica facciale, giudizi tanto superficiali e grossolani sulle materie di cui sopra da farmi pensare – ed è il meglio di quanto si possa – che proprio non avesse familiarità alcuna coi temi in discorso; oppure, cosa ahimè più probabile,  che fosse carico di tali e tanti pregiudizi da rendersi totalmente inadatto a parlare in un’ Università. E allora….mi sono sfogato coi miei lettori più pazienti.
Roma 28 novembre 2014

venerdì 21 novembre 2014

Una giornata di luce

Discorsi
(di Felice Celato)
Se c’è una cosa che sempre mi rilassa e nei giorni di luce giova grandemente al mio umore (e anche risveglia profonde e concusse speranze) è ascoltare – non visto – i discorsi degli altri. Voi direte: ma che fai, il sentone (una specie di guardone dell'udito)?! O addirittura, più italianamente, vergogna!
No, nessuna curiosità malevola, nessuna morbosa attenzione ai fatti degli altri: solo una umanissima e tenace passione per la vita che si svolge attorno a noi, non notata, a suo modo discreta e banale ma spesso pervasa di buoni sensi lontani, dimenticati nel chiasso rivendicativo, e fragili tanto che la banalità del bene che vi circola si dissolve facilmente nella teatralità non appena qualcuno immagina (o spera) di essere ascoltato.
Oggi mi è capitato di seguire il discorso di una ragazza che, al cellulare, parlava, forse con la sorella, e le dava consigli su come parlare col padre, col quale forse aveva un rapporto difficile.
Mi pare che al fondo, ben al disotto degli strati di scialbo cinismo delle parole consunte dall’uso mediatico, si intravveda sempre una pasta umana più solida della crosta mostrata, più mite, più naturalmente disposta ai sentimenti buoni, forse addirittura misericordiosa, se posso usare questa parola desueta.
E poiché sono convinto che tutto il bene viene dal quel vecchio soffio che ci ha dato la vita e ancora ci spinge anche fra i flutti, mi commuovo facilmente ed inspiegabilmente; anzi penso che sia naturale farlo quando si sente quel soffio spirare di nuovo vicino, anche se leggero come quello di Elia sul monte Oreb e mi immagino che anche a me venga rivolta quella domanda inquietante e al tempo stesso affettuosa: Che fai qui, Elia?

Beh! Per cambiare discorso, voglio raccontare un divertente colloquio – sempre di oggi, giornata pervasa di luce – con un tassista, giovane, romanissimo, un po’ sboccato (anzi molto); guardava, il giovane tassista, tutte le ragazze che lungo via del Corso sfilano sui marciapiedi più veloci delle vetture e di tutte notava particolari…eroticamente rilevanti senza nascondermi nulla delle sue analitiche valutazioni. A un certo punto mi fa: “Lei che dice, dottò?
Io, schermandomi, come spesso mi diverte fare, dietro parole poco usate, rispondo : “Per la verità io ho un approccio più olistico al rapporto con le donne.
E il tassista mi fa: “non ho capito, ma me sa che nun stamo a dì la stessa cosa”.
Roma, 21 novembre 2014

giovedì 20 novembre 2014

Parole, parole, parole

Scioglilingua mediatici
(di Felice Celato)

Bombe d'acqua, dissesto idrogeologico, frana la collina, cronaca di una tragedia annunciata, bollettino di guerra, traffico impazzito, voragini, angeli del fango, anni di incuria, stato di degrado del patrimonio paesaggistico (che tutto il mondo ci invidia), stato di degrado delle nostre belle città (che, anch’esse, tutto il mondo ci invidia).

Fuga di cervelli, insegnanti sottopagati, università superaffollate, baroni inamovibili, esodo di giovani ricercatori (che tutto il mondo ci invidia); musei deserti, musei aperti, musei multi-mediali, teatri storici, musei all’aperto, passeggiate archeologiche, patrimonio di beni culturali (che tutto il mondo ci invidia).

Patrimonio idro-oleo-eno-gastronomico, fare squadra, fare sistema, mangiare sano, filiera agricola, prodotti a Km 0, fitness, agricoltura biologica, pesce azzurro, dieta mediterranea (che tutto il mondo ci invidia).

Strutture psico-socio-sanitarie, spazi di aggregazione sociale, bonus-bebè, quartieri-lager, bullismo, cyberbullismo, nonnismo, numeri shock, video shock, spese pazze, fatture false, mazzette, scoppia la rabbia, vergogna!, emergenza sbarchi, falsi invalidi, torna la paura, aperto un tavolo, i vu'cumprà invadono le spiagge (che tutto il mondo ci invidia).

Asfalto reso viscido dalla pioggia, voglio giustizia!, perdona?, femminicidio, aperto un fascicolo, silenzio assordante, mafie ed eco-mafie, non uccidiamoli una seconda volta!, maxi-rissa, bagarre in aula, mini-condono, mega-ingorgo, maxi-truffa, maxi-esodo, maxi-risarcimento, maxi-multa, maxi-blitz dei carabinieri, diritto alla salute, diritto al lavoro, costituzione più bella del mondo (che tutto il mondo ci invidia).

Flessibilità, austerity, sforare, euroburocrati,  Draghi lancia l’allarme, spingere la crescita, la maggioranza si spacca, tunnel della crisi, patto segreto, maxirimescolamento delle deleghe, patto del Nazareno, rimpasto, patto della crostata, linea dura, tolleranza 0, boom del dopoguerra, armi di distrazione di massa, rottamazione, il miracolo economico (che tutto il mondo ci invidiò).

Roma 20 novembre 2014






lunedì 17 novembre 2014

Federigo Borromeo

"Così va spesso il mondo... voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo"
(di Felice Celato)
E’ noto che Alessandro Manzoni amasse particolarmente un personaggio storico che, quasi unico, compare col suo vero nome ne I promessi sposi, ed anzi è anche protagonista di vicende cruciali nel romanzo (per esempio, della conversione dell’Innominato). Si tratta, come tutti avrete capito, del cardinale Federigo Borromeo che, anche qui unico fra i vari personaggi che compaiono nella storia, è un potente che non scende a compromessi col potere politico e si comporta sempre in modo esemplare, con grande cura ed attenzione verso i deboli e gli indifesi.
Eppure anche di lui, nel capitolo XXXII de I Promessi sposi, Manzoni, con grande riluttanza, menziona una debolezza a proposito, ahinoi!, di una certa accondiscendenza del Cardinale al “pensiero comune”. Ecco il passo:
Due illustri e benemeriti scrittori hanno affermato che il cardinal Federigo dubitasse del fatto dell'unzioni . Noi vorremmo poter dare a quell'inclita e amabile memoria una lode ancor più intera, e rappresentare il buon prelato, in questo, come in tant'altre cose, superiore alla più parte de' suoi contemporanei, ma siamo in vece costretti di notar di nuovo in lui un esempio della forza d'un'opinione comune anche sulle menti più nobili. S'è visto, almeno da quel che ne dice il Ripamonti, come da principio, veramente stesse in dubbio: ritenne poi sempre che in quell'opinione avesse gran parte la credulità, l'ignoranza, la paura, il desiderio di scusarsi d'aver così tardi riconosciuto il contagio, e pensato a mettervi riparo; che molto ci fosse d'esagerato, ma insieme, che qualche cosa ci fosse di vero. Nella biblioteca ambrosiana si conserva un'operetta scritta di sua mano intorno a quella peste; e questo sentimento c'è accennato spesso, anzi una volta enunciato espressamente. "Era opinion comune," dice a un di presso, "che di questi unguenti se ne componesse in vari luoghi, e che molte fossero l'arti di metterlo in opera: delle quali alcune ci paion vere, altre inventate."
Voi mi domanderete: ma come ti viene in mente questa memoria?
Boh!? Chissà…. forse perché mi assilla il “pensiero” comune…
Roma 17 novembre 2014


martedì 11 novembre 2014

Un paese normale

L’Aquila
(di Felice Celato)
Non amo parlare della giustizia, in Italia: ne parlano già tanto i solleticatori (politici e giornalisti di basso livello) di pulsioni emotive e di “vergogna!” a buon mercato; ma penso che la sentenza di ieri a L’Aquila sia un esempio di quel paese normale del quale sentiamo tanta nostalgia, un paese in grado, alla fine di tortuose vicende giudiziarie, di recuperare comunque una dignità giuridica e civile che tante volte mi pare persa. “Non era mai accaduto che scienziati e tecnici incaricati di valutare il rischio sismico venissero condannati in primo grado per omicidio e rischiassero di pagare con la prigione per le troppe cose andate storte nel corso di un terremoto che nessuno poteva prevedere. Al posto di costruttori che hanno costruito male, al posto delle autorità che non hanno vigilato sul rispetto delle norme antisismiche. In questi anni tanti sismologi di tutto il mondo hanno seguito con incredulità quel che accadeva in Italia”. Così, fra l’altro, scrive, sacrosantamente, Anna Meldolesi in un commento sul Corriere della sera di oggi, nell’ovvio “rispetto del dolore della città e dei familiari delle vittime”. Onore ai giudici di L’Aquila e al loro – certamente sofferto – distacco dalle esigenze della piazza.

Roma, 11 novembre 2014

domenica 9 novembre 2014

Lieve brezza da sud

Una domanda (spero)* senza risposta.
(di Felice Celato)
Provo a porci una domanda alla quale da solo non voglio rispondere (perché la risposta credo di averla ma non voglio accettarla): non avete anche voi l’impressione che l’Italia, per lo meno l’Italia che credevamo di volere, stia per implodere? [dal Devoto Oli: Implosione= cedimento violento delle pareti di un corpo cavo sotto l’azione di una pressione esterna superiore a quella interna]. Lo sviluppo è lontano dal manifestarsi, perché fingiamo di ignorarne le fonti; le poche grandi imprese che avevamo si rifugiano all’estero o tengono chiusi gli impianti perché non sanno più le regole che disciplinano la loro produzione; consumiamo il risparmio (ora anche distribuendo il TFR, peraltro senza chiarezza sull’impatto fiscale); il debito pubblico seguita a crescere e sembriamo anche incapaci di capire perché; la disoccupazione pure (di quella giovanile non parliamo neppure); spendiamo per interessi (non ostanti i tassi bassi a livelli mai raggiunti) quanto spendiamo per istruzione; lo scenario politico è a dir poco confuso (Napolitano che vuole lasciare, il sistema elettorale ancora è un discusso progetto sul quale ognuno misura le proprie convenienze anziché quelle del Paese, i sindacati seguitano a minacciare uno sciopero generale, non ho capito bene con quale reale intento; ci mettiamo a fare sciocche polemiche sull’Europa vociando di una nostra rispettabilità assunta come un dato; non sappiamo nemmeno più quali e quante tasse gravino sulle nostre case e nemmeno quanto varranno le nostre pensioni; le regioni si ribellano ai tagli ma non riescono a spendere le risorse messe a disposizione dell’Europa dalla quale invochiamo nuovo fondi; non riusciamo a mettere mano alla riforma della giustizia che pure tutti diciamo urgente, etc); governiamo le città con allarmismi finalizzati solo a poter dire “vi avevamo avvertito!”; i partiti sono diventati il supporto di leaderismi, nessuno dei quali sensibile all’obbligo di dire la verità ai propri elettori (che, forse, non la vogliono nemmeno sentire). E sicuramente ho dimenticato qualcosa.
Spero di sbagliarmi, ma mi torna alla mente lo scoramento di un mio vecchio collega difronte all’incombere di soverchianti difficoltà: “il numero e la qualità dei problemi che abbiamo difronte supera largamente la nostra capacità di risolverli”.
Rimuginando queste…allegre considerazioni, oggi, davanti a Montecitorio ho ascoltato la banda della Marina Militare che, con lodevole intento, tentava di ravvivare gli scarsi spiriti dei pochi astanti suonando pezzi della nostra tradizione patriottica o popolare. Curiosamente, invece, le musiche mi hanno fatto l’impressione di un epicedio (canto funebre degli antichi Greci), come se fosse un triste vento a suonare le cetre che abbiamo appese alle fronde dei salici (dal salmo 137). Ma non per voto, come dice Salvatore Quasimodo, attingendo al salmo;…..forse col voto, anche lontano?
Roma, 9 novembre 2014 (76° anniversario della Kristallnacht)

PS: Come dicevo nel titolo, spero che questa domanda resti senza risposta; perché, magari, è sbagliata, forse solo frutto della lieve brezza del sud che rende questo novembre troppo dolce. Vedremo presto.